Potrebbe essere del tutto temporaneo l’aumento dei prezzi che si sta verificando, seppur in misura leggermente diversa, in tutti i Paesi europei, ma se la normalizzazione ad opera della politica monetaria non dovesse sopravvenire in tempi adeguatamente brevi il rischio è che ci si ritrovi in una stagflazione come quella vissuta negli anni ’70.
La ripartenza della macchina economica c’era stata, quanto meno nella prima metà del 2021, ma poi sono intervenuti diversi fattori che hanno posto un freno improvviso all’impennata della domanda. Parliamo del rincaro del prezzo del gas e delle materie prime, e soprattutto della crisi della supply chain che perdura tuttora.
“Dopo il forte rialzo della prima metà del 2021 l’economia mondiale sta ora perdendo slancio” spiega Andrea Siviero, investment strategist di Ethenea Independent Investors “tra i principali fattori di incertezza che minacciano le prospettive economiche, ci sono l’emergere di nuove varianti del Covid-19, la riduzione del supporto politico, le pressioni inflazionistiche e il rallentamento dell’economia cinese”.
Il rallentamento della crescita accompagnato da pressioni inflazionistiche non solo è preoccupante, ma rappresenta anche una sfida particolarmente insidiosa per le autorità politiche” spiega ancora l’esperto di Ethenea Independent Investors “negli ultimi tempi si sono colti segnali che indicano che l’economia mondiale potrebbe presto entrare in un periodo di stagflazione simile a quello attraversato negli anni ’70”.
Cos’è la stagflazione e perché rappresenta un rischio per i Paesi Ue
Nell’analisi di Andrea Siviero troviamo diversi spunti per arrivare a comprendere gli sviluppi dell’attuale contesto economico, ma prima di andare avanti cerchiamo di capire cos’è esattamente la stagflazione.
Sappiamo che l’inflazione è in sostanza la perdita di potere d’acquisto della moneta ma è un processo del tutto normale e sotto certi aspetti perfino necessario in determinati contesti economici.
La stagflazione invece si verifica molto più raramente, e in particolare abbiamo avuto qualcosa di simile negli anni ’70, quando ad innescarla furono alcune scelte politiche discutibili accompagnate da altre concause. Tra queste ultime troviamo una politica troppo timida da parte della Federal Reserve, ma anche il cambiamento storico del sistema monetario, il tutto condito con gravi shock petroliferi.
Ma cosa succede esattamente in un periodo di stagflazione? Ci sono prima di tutti alti tassi di inflazione ai quali si aggiunge una crescita economica lenta accompagnata da alti livelli di disoccupazione. In alcuni casi la stagflazione può anche essere accompagnata da un calo del Prodotto Interno Lordo, che è indice del fatto che ci si trova in uno dei peggiori scenari di stagflazione.
Rispetto a quanto accaduto negli anni ’70 però oggi abbiamo tutta una serie di fattori che delineano una situazione molto diversa. Un ruolo molto importante lo hanno giocato gli interventi politici decisi, grazie ai quali è stato possibile scongiurare gli effetti più gravi che sarebbero stati prodotti dalla politica di lockdown e restrizioni con cui si è deciso di gestire l’emergenza Covid-19.
Si è avuta in questo modo una ripresa su scala mondiale inconsueta e rapida, con la domanda complessiva che è improvvisamente cresciuta, registrando un’impennata che l’offerta non è stata in grado poi di soddisfare. Di conseguenza il sistema economico globale si trova in questa fase a doversi adeguare, il che non può avvenire però in tempi brevi.
Secondo quanto leggiamo su Milano Finanza tuttavia, siamo di fronte ad una “crescita economica solida” con tassi di disoccupazione tutto sommato vicini a quelli che avevamo prima della pandemia. Lo stesso quotidiano specifica che nonostante le recenti correzioni gli analisti prevedono che nel 2021 e nel 2022 avremo dei “tassi di crescita robusti che supereranno il trend di crescita del recente passato”.
Naturalmente ogni Paese presenta scenari economici caratterizzati da differenze tutt’altro che marginali, con spinte inflazionistiche tutt’altro che omogenee. In tutti i casi però i recenti catalizzatori riflettono una forte accelerazione dell’attività economica, si registra un aumento dei prezzi energetici particolarmente accentuato e puntualmente abbiamo un accentuato squilibrio tra domanda e offerta.
I suddetti squilibri, si presume, saranno solo temporanei, ma non è dato sapere naturalmente quanto ancora perdureranno. Molto dipende dalla rapidità con cui la supply chain sarà in grado di raggiungere la forte domanda, il che dovrebbe essere facilitato in una certa misura dal caro prezzi e da un’inversione di tendenza rispetto alla spesa da parte dei consumatori.
Ci si aspetta nei prossimi mesi che il problema della carenza di materie prime inizi a sfumare, e che le catene di approvvigionamento tornino gradualmente all’efficienza del periodo pre-pandemico. Nel frattempo dovrebbe registrarsi un aumento degli investimenti nelle attività produttive legato all’aumento dei prezzi.
Non dovrebbe avere vita lunga nemmeno il rincaro registrato nell’ambito delle risorse energetiche, infatti come spiegato su MF, “quando i prezzi sono abbastanza elevati, il mercato è inondato dalle nuove offerte dei produttori di petrolio da scisto statunitensi e di altri Paesi non appartenenti all’Opec. Con il tempo, anche la transizione energetica e l’affermarsi di energie rinnovabili contribuiranno a contenere la crescita dei prezzi energetici”.
I segnali che indicano che l’attuale pressione inflazionistica produrrà effetti secondari e un generale aumento dei salari sono ancora decisamente pochi. Gli aumenti almeno per il momento sembrano concentrarsi sui settori che sono stati maggiormente colpiti dalle misure restrittive imposte nel dichiarato intento di contrastare la diffusione del virus, e più in generale nelle fasce retributive più basse.
Stiamo anche assistendo ad un rapido passaggio della forza lavoro alle macchine attraverso il processo dell’automazione. I ritmi di questa transizione sono decisamente rapidi e con la carenza di manodopera che si sta registrando in questa fase non si può che prevedere un’ulteriore accelerazione di questo processo comunque apparentemente radicato e irreversibile.
Resta una lunga serie di quesiti che riguardano gli scenari futuri che seguiranno l’attuale situazione economica determinata da questo forte squilibrio tra domanda e offerta, alta inflazione, alta disoccupazione, bassi salari e rallentamento della ripresa che potrebbe portare in seguito ad un calo del PIL.
Non è dato sapere ad esempio se dall’attuale situazione inflazionistica si finirà col passare ad una condizione di stagflazione simile a quella degli anni ’70. I segnali che indicherebbero questo scenario in realtà non sono poi così tanti, infatti su MF viene fatto notare come “l’attuale situazione non fa presagire alcun mutamento delle dinamiche inflazionistiche nel lungo termine”.
In un futuro meno prossimo potremmo avere invece spinte deflazionistiche determinate dalla combinazione di fattori strutturali come demografia, tecnologia, aumento delle disuguaglianze economiche e globalizzazione.
Secondo l’esperto di Ethenea Independent Investors “malgrado la bassa probabilità di un ritorno della stagflazione degli anni ’70, non bisogna sottovalutare i rischi insiti nell’attuale contesto”.
“Il rischio di inflazione è tendenzialmente piuttosto elevato e i timori in tal senso potrebbero trovare conferma nel caso in cui gli squilibri tra domanda e offerta dovessero permanere più a lungo del previsto” spiega ancora Andrea Siverio “tassi di inflazione persistentemente elevati frenerebbero la produzione e minerebbero la fiducia dei consumatori, mettendo potenzialmente in pericolo la ripresa”.
“Quanto più dureranno i problemi sul fronte dell’offerta, tanto maggiore è il rischio che possano causare effetti secondari e un’inflazione generalizzata. Con l’aumento delle aspettative di inflazione, la normalizzazione della politica monetaria nelle economie sviluppate potrebbe essere più rapida del previsto, il che potrebbe pregiudicare la ripresa economica” conclude l’esperto.
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