Guerra in Ucraina e crisi del gas, ecco come gli Usa modificheranno le proprie politiche energetiche

La crisi ucraina, con l’avvio dell’operazione militare speciale da parte della Russia e le conseguenti sanzioni imposte dai Paesi occidentali, ha innescato una serie di effetti negativi sull’economia con ripercussioni soprattutto per i Paesi europei.

Tralasciando in questa sede l’analisi dettagliata di tutti i fattori che hanno contribuito all’ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti energetici e alla crescita dell’inflazione, proviamo ad analizzare quali potrebbero essere gli scenari del prossimo futuro, in particolare per quel che riguarda la questione energetica.

In un’analisi a cura di Michael Pinkerton, Washington Associate Analyst, U.S. Equity Division di T. Rowe Price, troviamo una serie di indicazioni interessanti in merito alle scelte che gli Stati Uniti si apprestano ad operare proprio per far fronte al forte disagio che soprattutto i Paesi europei stanno vivendo nell’ambito della crisi del gas.

È sotto gli occhi di tutti che le sanzioni imposte dai Paesi occidentali per mettere in ginocchio l’economia russa hanno intanto danneggiato gravemente l’economia dei Paesi Ue, e se si dovesse effettivamente arrivare ad un totale stop delle esportazioni di gas verso gli Stati europei, nei prossimi mesi non possiamo che aspettarci un periodo di recessione economica.

I Paesi europei sono troppo dipendenti dal gas russo, cosa faranno gli Usa

Ed è proprio questa estrema vulnerabilità dei Paesi europei, sul profilo energetico troppo dipendenti dalla Russia, ad aver indotto il governo Usa a valutare eventuali modifiche delle proprie politiche energetiche.

Secondo l’analisi dell’esperto di T Rowe Price, gli Usa si apprestano infatti a rivedere la propria politica energetica, con un’amministrazione Biden che in questo frangente si mostra più favorevole al gas naturale domestico. Ma ciò non vuol dire che la Casa Bianca abbia rinunciato a perseguire gli obiettivi prefissati per quel che riguarda il processo di transizione dai combustibili fossili.

Le iniziative legislative dell’amministrazione Biden sembrano volte ad impostare il percorso su un approccio condiviso al perseguimento degli obiettivi a lungo termine per la decarbonizzazione dell’economia Usa.

L’Europa passa dal gas naturale al GNL

Ma cosa sta succedendo in Europa in questa fase? Più del 35% del gas naturale importato dai Paesi dell’Ue ogni anno arriva dalla Russia. Importare gas non è come importare altri prodotti energetici come il petrolio, che possono anche arrivre da altre parti del mondo, perché per ricevere il gas occorrono determinate infrastrutture, i gasdotti, e questo rappresenta un vincolo difficile da superare.

La prima alternativa al gas naturale russo è costituita dal GNL cioè Gas Naturale Liquefatto, che è quello che i Paesi Ue stanno ricevendo via nave dagli Stati Uniti. Qui però le cose si complicano per questioni meramente tecniche in quanto il GNL deve essere prima portato alla forma liquida per il trasporto e poi rigassificato per essere immesso nella rete dei gasdotti una volta a destinazione.

Un processo che ha dei costi e dei tempi tecnici che rendono tutto molto più complicato e meno conveniente del semplice acquisto di gas dalla Russia. Inutile soffermarsi su quali siano gli interessi in gioco e sul fatto che i disagi provocati a milioni di cittadini non sono esattamente in cima alla lista delle priorità.

Il processo funziona così: il gas naturale viene raffreddato a circa -260°F fino a condensarsi in forma liquida. In questo modo può essere stoccato sulle navi e trasportato oltreoceano dove raggiungerà gli impianti di rigassificazione che lo riporteranno alla forma gassosa e lo immetteranno nella rete di gasdotti europei perché raggiunga i vari Paesi membri.

Ma ci sono costi tutt’altro che indifferenti da sostenere per questo processo, con una spesa infrastrutturale significativa sul lato dell’offerta e della domanda per aumentare la capacità. Inoltre come fa notare l’esperto di T. Rowe Price, “i progetti di GNL richiedono solitamente diversi anni per essere completati e sono necessari accordi di vendita a lungo termine per garantire il finanziamento”.

Non si esclude poi che il sistema dei gasdotti europeo abbia bisogno di essere “radicalmente riallestito per distribuire questi volumi alle aree interessate”.

L’impegno di Bruxelles per spingere sul GNL

Da una parte l’impegno degli Stati Uniti, dall’altra quello dell’Unione Europea, due realtà che agiscono parallelamente nell’ottica di ridurre la dipendenza energetica dei Paesi europei dalla Russia di Vladimir Putin.

Tutti pronti quindi a sostenere progetti chiave relativi al GNL, con la commissione Ue che ha garantito il proprio impegno nel mantenere stabile la domanda per un aumento significativo del GNL dagli Usa fino al 2030. Gli Usa dal canto loro possono vantare enormi riserve di gas di scisto e hanno concordato di adottare politiche normative a sostegno dei progetti di espansione della capacità di esportazione di GNL.

Gli Usa insomma hanno solo da guadagnare dalla decisione autolesionista dell’Unione europea di troncare i rapporti con la Russia fino a rinunciare alle abbondanti forniture di gas a basso costo. L’alternativa per i prossimi anni, almeno fino al 2030, sarà una maggiore importazione di GNL dagli Usa che comporta tutta una serie di maggiori costi per i Paesi europei.

La macchina è in moto, e Washington sta lavorando per incoraggiare le agenzie di regolamentazione ad accelerare l’approvazione delle licenze di esportazione e dei permessi di costruzione dei terminali GNL. A tal proposito nell’analisi di T. Rowe Price leggiamo che “negli ultimi 4 mesi, la prospettiva di un quadro normativo favorevole e l’ampio divario tra i prezzi del gas naturale della costa del Golfo e quelli dell’Europa e dell’Asia hanno contribuito a una raffica di accordi offtake a lungo termine per la futura capacità di esportazione di GNL”.

I nuovi accordi sulla capacità di esportazione di GNL dovrebbero fornire ai produttori di energia statunitensi le necessarie garanzie per procedere con un incremento della produzione nel tempo. Tutto ciò avvantaggerebbe inoltre alcune società proprietarie di gasdotti e infrastrutture di trattamento.

“A nostro avviso, però, Biden rimane concentrato sulla riduzione delle emissioni di carbonio” spiega l’esperto di T. Rowe Price “ci aspettiamo che l’amministrazione dia priorità alla riduzione delle emissioni di gas naturale provenienti da pozzi e gasdotti”.

Si ricorda infatti che nonostante il gas naturale produca meno anidride carbonica del carbone nell’ambito del processo di combustione, è comunque un potente gas serra quando viene rilasciato direttamente nell’atmosfera, il che significa che “i tassi di fuoriuscita del metano dalla produzione di gas naturale saranno probabilmente un punto cruciale per le autorità di regolamentazione”.

Cosa dobbiamo aspettarci nel mercato del petrolio

Gli aumenti del prezzo del petrolio cui abbiamo assistito nelle ultime settimane determineranno elevati costi per il rifornimento di carburante per famiglie e imprese per un periodo di tempo presumibilmente lungo.

Gli aumenti dei prezzi di diesel e benzina in Europa potrebbero indurre l’amministrazione Biden ad intraprendere delle iniziative a breve termine in grado di attenuare il problema nell’immediato. Tra le possibili iniziative indicate da T. Rowe Price una più rapida autorizzazione dei pozzi nell’intento di aumentare la produzione di petrolio in tempi brevi, e/o aggiustamenti politici che vadano ad incidere direttamente sui prezzi finali dei carburanti dando sollievo immediato alle tasche dei cittadini.

L’esperto spiega tuttavia: “riteniamo che nel medio termine lo scenario per il complesso della produzione petrolifera statunitense sia destinato a rimanere difficile”. “Anche se la Casa Bianca di Biden sembra assumere un atteggiamento più costruttivo nei confronti delle esportazioni di GNL” prosegue Michael Pinkerton “l’amministrazione rimane impegnata a perseguire iniziative che promuovono gli obiettivi a lungo termine di una significativa riduzione delle emissioni di carbonio”.

Ci si aspetta infatti che la Securities and Exchange Commission porti avanti l’implementazione di rigorosi requisiti di disclosure sul clima per le società pubbliche, e intanto l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente ha deciso di emanare standard di emissioni più severi per i modelli di automobili che verranno prodotti tra il 2024 e il 2025.

Le fonti di energia rinnovabile restano una priorità del governo Usa

L’analisi di T. Rowe Price termina facendo il punto sulla promozione e sull’adozione delle fonti di energia rinnovabili, che vengono indicate ancora oggi come una proprità per l’amministrazione di Joe Biden.

Michael Pinkerton spiega che “la legge bipartisan sulle infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari approvata lo scorso autunno comprendeva 73 miliardi di dollari per il miglioramento della rete elettrica nazionale. Questi finanziamenti saranno probabilmente fondamentali per la transizione energetica degli Stati Uniti, aiutando il sistema ad accogliere una percentuale maggiore di energia eolica e solare intermittente”.

Washington non ha perso di vista gli obiettivi della svolta Green, e secondo T. Rowe Price spinge ancora sull’approvazione del Build Back Better Act, che prevede tra le altre cose l’estensione e l’ampliamento dei crediti d’imposta per i progetti di energia pulita e per i veicoli elettrici. Inoltre sarebbe prevista la creazione di nuovi progetti per le tecnologie emergenti che potrebbero favorire la transizione dai combustibili fossili.

Questa legge tuttavia potrebbe alla fine non andare in porto, ciò nonostante nel corso del 2022 potrebbe arrivare l’estensione dei crediti d’imposta per l’energia eolica e solare, in quanto a queste misure entrambe le principali formazioni politiche Usa offrono aperto sostegno.

“Riteniamo che la transizione verso l’energia pulita sia un trend secolare duraturo, che potrebbe godere di una spinta grazie al sostegno dell’amministrazione Biden” conclude quindi l’esperto di T. Rowe Price Michael Pinkerton.

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