Verbali del Cts restano segreti. Per l’avvocatura dello Stato si rischia “danno concreto all’ordine pubblico”

I verbali del Comitato Tecnico Scientifico non verranno resi pubblici almeno fino al 10 settembre. Questa è in estrema sintesi la notizia che nei giorni scorsi è stata diffusa dai vari media, ma la decisione del Consiglio di Stato di sospendere la sentenza del Tar è legata più che altro a questioni di forma più che di sostanza, perché all’atto pratico “conferma la bontà delle ragioni esposte dalla Fondazione”.

Nel merito quindi sia il Tar che il Consiglio di Stato si esprimono su una linea comune, quella secondo cui i verbali del Cts, vale a dire i documenti che spiegano per quali ragioni sono state adottate le misure restrittive imposte in Italia nel periodo di lockdown, non hanno ragione di restare segreti.

Il governo ricorre contro la sentenza del Tar

Non è esattamente il miglior modo per dimostrare di avere “la coscienza a posto” quello di non voler mostrare ai cittadini quei documenti che sarebbero in grado di spiegare in maniera dettagliata quali sono le basi su cui poggiavano le misure restrittive imposte durante il lockdown.

Si è discusso a lungo della validità dei pareri espressi dal Cts, pareri sui quali le scelte dell’esecutivo si sono fondate sin dall’inizio dell’emergenza. Il lavoro, buono o cattivo che sia, svolto dal Cts è contenuto in quei verbali che la Fondazione Einaudi ha chiesto siano resi pubblici facendo poi ricorso al Tar.

Il Tar con la sentenza emessa il 22 luglio dava ragione alla Fondazione. Su IlTempo leggiamo che “il Tar del Lazio aveva dato ragione alla Fondazione Einaudi che si era vista negare l’accesso agli atti per capire su quali basi si era mosso il presidente del Consiglio nalla sua raffica di DPCM. Gli avvocati Rocco Mauro Todero, Andrea Pruiti Ciarello e Enzo Palumbo avevano convinto il Tar con motivazioni assolutamente pregnanti”.

Quindi cos’è successo esattamente? La Fondazione Einaudi aveva chiesto di visionare i verbali del Comitato tecnico scientifico in virtù dei quali sono state decise e imposte le misure restrittive che, tra le altre cose, hanno causato la più grave crisi economica dell’Italia dal dopoguerra.

Il Governo però non ne vuole sapere, così la Fondazione decide di fare ricorso al Tar, vincendolo appunto. L’esecutivo a questo punto ha l’occasione per dimostrare di agire con quella trasparenza di cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte spesso parla. Difficile dimenticare la conferenza stampa in cui in piena emergenza il premier precisò: “questo governo non lavora col favore delle tenebre”.

Evidentemente il favore delle tenebre all’occorrenza torna utile a questo governo, visto che davanti alla sentenza del Tar che chiede di rendere pubblici i verbali del Cts, si oppone la Protezione Civile, che di questo è un dipartimento, rivolgendosi all’avvocatura di Stato per fare ricorso contro questa decisione.

Per l’associazione Einaudi sono “atti che hanno compresso i diritti e le libertà costituzionali”

Sono gli stessi avvocati dell’Associazione Einaudi ad evidenziare questo aspetto. L’avvocato Andrea Pruiti Ciarello, consigliere di amministrazione della Fondazione ha infatti dichiarato in merito all decisione del governo di rivolgersi all’avvocatura di Stato per opporsi alla sentenza del Tar: “è grave aver fatto l’appello perché dimostra che il governo non è disponibile ad essere trasparente su atti così importanti”.

Atti che hanno compresso i diritti e le libertà costituzionali per i cittadini come mai nella storia della Repubblica” prosegue l’avvocato, che quindi invitava il governo a ritirare il ricorso in modo da “consentire ai cittadini di giudicare le scelte dell’esecutivo”.

Il presidente della fondazione, Giuseppe De Benedetto, ha poi commentato la decisione del governo di ricorrere in appello al Consiglio di Stato affermando: “non abbiamo alcun intento di partecipare al confronto politico in corso. Per questo avremmo auspicato e abbiamo sino all’ultimo sperato in un gesto di grande eleganza e di sostanza democratica da parte della presidenza del Consiglio dei ministri, che di fronte a una sentenza del giudice amministrativo avrebbe potuto adempiere senza proporre appello e insistere in una linea che appare di retroguardia”.

I verbali restano segreti per rischio di “danno concreto all’ordine pubblico”

Il Governo però ha deciso di far ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar di rendere pubblici i verbali secretati dal Comitato tecnico scientifico della Protezione Civile. Secondo quanto leggiamo anche su LaRepubblica si tratta di “tutti i documenti scientifici usati dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte per emanare i dpcm di marzo e aprile, quelli del lockdown”.

In parole povere se siamo stati chiusi dentro casa per mesi, senza lavorare, senza poter vedere parenti e amici, se le scuole sono state chiuse, così come tutte le attività non ritenute strettamente necessarie con tutto ciò che ne è derivato, le ragioni sono riportate in quei verbali che la sentenza del Tar stabilisce che siano resi pubblici.

“I ricorrenti hanno concesso al governo la possibilità di rendere trasparente l’azione esecutiva e valutabile a posteriori l’operato in quella delicata fase emergenziale” scrivono gli avvocati che hanno vinto al Tar “‘appello avverso la sentenza del Tar Lazio dimostra qual è la volontà del Governo e del suo presidente: non far sapere agli Italiani quali sono le reali motivazioni alla base degli innumerevoli decreti del Presidente del Consiglio”.

Il governo che “non lavora col favore delle tenebre” insomma decide di tenere tutto nascosto, preferendo che crescano i sospetti e che precipiti ancora più in basso il livello di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, piuttosto che mostrare i verbali del Comitato tecnico scientifico. Il che significa che il loro contenuto sortirebbe effetti di gran lunga peggiori sull’immagine del Governo e delle istituzioni.

Ed è lo stesso esecutivo a confermarlo attraverso la dichiarazione rilasciata proprio dall’avvocatura di Stato, che nel suo ricorso contro la sentenza emessa dal Tar parla di “danno concreto all’ordine pubblico e alla sicurezza che la conoscenza dei verbali del C.T.S., nella presente fase dell’emergenza, comporterebbe sia in relazione alle valutazioni tecniche che agli indirizzi generali dell’organo tecnico”.

Questo significa che se il lavoro svolto dal Cts nell’ambito dell’emergenza Covid, i cui dettagli emergerebbero dalla pubblicazione dei verbali, venisse messo sotto gli occhi di tutti, non solo metterebbe in cattiva luce lo stesso Cts, ma verrebbero messi a rischio l’ordine pubblico e la sicurezza.

Il popolo italiano ancora una volta viene tenuto in scarsa considerazione. Si evince una totale sfiducia (inevitabilmente reciproca) da cui la necessità di tenere l’opinione pubblica all’oscuro di tutto.

Giungono quindi le considerazioni dell’avvocato della Fondazione, Pruiti Ciarello, che all’indomani della presa di posizione dell’esecutivo che cerca di prendere tempo trincerandosi dietro il Consiglio di Stato, afferma: “ritengo che sia un preciso dovere del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quello di consentire agli Italiani di giudicarlo politicamente“.

“I DPCM non sono atti sottoposti ad un dogma di fede. Gli Italiani hanno diritto di conoscere per poter giudicare chi sta al governo. Se non ci si vuole far giudicare politicamente non si ha il rispetto del popolo” ha sottolineato ancora l’avvocato della Fondazione.

Cosa dice la sentenza del Tar

Il Tar del Lazio, con sentenza n.8615/2020, pubblicata il 22 luglio 2020 ha ordinato alla Presidenza del Consiglio-Dipartimento della Protezione Civile “di consentire alla parte ricorrente di prendere visione ed estrarre copia della documentazione richiesta” vale a dire i verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts), che sono stati posti a fondamento delle misure imposte durante il lockdown attraverso i Dpcm Conte.

In particolare l’istanza di accesso civico generalizzato aveva ad oggetto l’ostensione di 5 verbali relativi ai pareri che il Comitato tecnico scientifico aveva espresso nella fase acuta dell’emergenza coronavirus in Italia. Per l’esattezza il riferimento era ai seguenti verbali:

  1. Verbale del 28 febbraio 2020, citato nelle premesse del DPCM del 1° marzo 2020
  2. Verbale del 1° marzo 2020, citato anch’esso nelle premesse del DPCM del 1° marzo 2020
  3. Verbale del 7 marzo 2020, citato nelle premesse del DPCM dell’8 marzo 2020
  4. Verbale n. 39 del 30 marzo 2020, citato nelle premesse del DPCM del 1° aprile 2020
  5. Verbale n. 49 del 9 aprile 2020, citato nelle premesse del DPCM del 10 aprile 2020

La sentenza del Tar afferma quindi che “la ratio dell’intera disciplina normativa dell’accesso impone di ritenere che se l’ordinamento giuridico riconosce, ormai, la più ampia trasparenza alla conoscibilità anche di tutti gli atti presupposti all’adozione di provvedimenti individuali o atti caratterizzati da un ben minore impatto sociale, a maggior ragione deve essere consentito l’accesso ad atti, come i verbali in esame, che indicando i presupposti fattuali per l’adozione dei descritti DPCM si connotano per un particolare impatto sociale, sui territori e sulla collettività“.

Il Consiglio di Stato dà ragione al Tar ma rimanda al 10 settembre

Il governo però, nella fattispecie il Dipartimento della Protezione Civile, impugna la sentenza del Tar rivolgendosi all’avvocatura di Stato che ha presentato ricorso presso il Consiglio di Stato.

Il 31 luglio, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione III, ha accolto l’istanza di cui sopra, sospendendo di fatto l’esecutorietà della sentenza appellata fino alla discussione collegiale che è stata fissata per la Camera di consiglio del 10 settembre 2020.

Ma quali sono le ragioni di questa sospensione? Ad una prima occhiata verrebbe da pensare che il Consiglio di Stato dà ragione all’Avvocatura dello Stato e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma in realtà non è affatto così, e questo lascia uno spiraglio di speranza perché prima o poi si faccia luce sulla vicenda.

Il presidente Franco Frattini nel decreto afferma infatti quanto segue:

“Non persuade, seppure in questa sede di delibazione sommaria, la tesi dell’appellante, che fonda la sua censura sulla qualificazione dei verbali quali ‘atti presupposti’ per l’adozione di atti amministrativi generali, ovvero ‘tout court’ come atti amministrativi generali: non sembrerebbe infatti che con tale categoria di atti si possa incidere, in modo significativo, su diritti fondamentali della persone, ciò che invece potrebbero fare ordinanze contingibili e urgenti che, però, nella legislazione anti-COVID, sono solo quegli atti (ad es. del Ministero della Saluta) che in tal modo la legge qualifica espressamente”.

“Rilevato che, i verbali di cui si è chiesta l’ostensione hanno – nel quadro della cennata eccezionalità e specialità normativa e amministrativa – il carattere di atti procedimentali tecnici prodomici alla adozione di DPCM volti a fronteggiare la pandemia, la domanda di accesso, e l’istanza cautelare volta a sospenderne l’esecuzione, deve essere valutata in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata del sistema eccezionale ancora, auspicabilmente per poco tempo vigente, in particolare:

1) detti verbali hanno costituito il presupposto per l’adozione di misure volte a comprimere fortemente diritti individuali dei cittadini, costituzionalmente tutelati, ma non contengono elementi o dati che la stessa appellante abbia motivatamente indicato come segreti;

2) le valutazioni tecnico-scientifiche si riferiscono a periodi temporali pressoché del tutto superati e la stessa Amministrazione, riservandosi una volontaria ostensione, fa comprendere di non ritenere in esse insiti elementi di speciale segretezza da opporre agli stessi cittadini, che le forti riduzioni di libertà hanno accettato in nome di una emergenza sanitaria i cui aspetti proprio quei verbali elaborano;

3) non si comprende, proprio per la assoluta eccezionalità di tali atti, rispetto alle categorie tradizionali invocate in senso opposto dalle due parti, perché si debba includere tali atti atipici nel novero di quelli sottratti alla generale regola di trasparenza e conoscibilità da parte dei cittadini, giacché la recente normativa – ribattezzata ‘freedom of information act’ sul modello americano – prevede come regola l’accesso civico e come eccezione – tra cui questi atti atipici non possono essere inclusi né per analogia né per integrazione postuma della norma – la non accessibilità di quelle sole categorie di atti che, trattandosi di eccezione alla regola, devono essere interpretate restrittivamente;

È stato perlatro chiarito che le norme sull’accesso civico generalizzato e quelle sull’accesso documentale vanno congiuntamente considerate come complesso regolatore che non restringe ma globalmente amplia la trasparenza e quindi il diritto di partecipazione del cittadino.

Considerato che, in mancanza della considerazione di tali verbali tra le categorie per cui la norma sull’accesso civico prevede la non ostensione, essa non può essere affidata, come sostiene l’appellante, ‘alla facoltà della Amministrazione, di valutare l’ostensibilità, qualora ritenuto opportuno, di tali verbali al termine dello stato di emergenza‘.

Ritenuto infatti che tale riserva – specie se riferita alla stragrande maggioranza dei verbali riferiti a periodi da tempo superati – si risolve in un discrezionale e unilaterale potere di esibire o meno atti la cui ostensibilità la legge non esclude espressamente dunque, secondo la regola generale, deve essere consentita…”.

Ciò che è accaduto quindi è che lo stesso Consiglio di Stato, cui l’avvocatura di Stato per conto dell’esecutivo ha presentato appello contro la sentenza del Tar, ha di fatto dato ragione alla Fondazione Einaudi che chiede appunto al pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico.

In questa primissima fase cautelare il Consiglio di Stato ha sostanzialmente ritenuto infondate le ragioni addotte dall’Avvocatura di Stato. Allora perché la sospensione fino al 10 settembre? Si tratta in realtà di un ‘atto dovuto’.

La sospensione dovrebbe consentire al Collegio di approfondire compiutamente le tematiche esposte dalle parti, senza pregiudicarne il merito. Ed è per questo che dalla Fondazione Einaudi, tutti i giuristi che stanno conducendo questa battaglia legale si dichiarano molto soddisfatti del decreto del Consiglio di Stato.

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