Cosa dice il ddl Zan contro l’omofobia? Ecco una rapida analisi dei contenuti del decreto punto per punto

Si è acceso un vivace dibattito politico in questi ultimi giorni in particolare intorno al Ddl Zan contro l’omofobia, un disegno di legge che dovrebbe avere la funzione di prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità.

Ma cosa dice alla fine il ddl Zan di cui tanto si parla? A questo link è possibile prendere visione del testo completo del disegno di legge. Di seguito invece proviamo ad analizzare alcuni dei punti cardine su cui si struttura il ddl Zan.

Il ddl Zan è stato approvato alla Camera dei Deputati in data 4 novembre 2020, ed attualmente si trova all’esame della Commissione Giustizia del Senato. Si tratta di un disegno di legge che nasce con l’accorpamento di più progetti diversi e che va ad integrare la Legge Mancino del 1993 di fatto estendendo le categorie indicate come oggetto di pregiudizio e discriminazioni.

In pratica il Ddl Zan si prefigge l’obiettivo di estendere quanto già presente el codice italiano anche ad altre categorie, quindi non solo a persone perseguitate per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, ma anche a chi rischia di esserlo per motivi legati a vario titolo ai gusti sessuali.

Cosa dice l’articolo 1 del Ddl Zan

Il Ddl Zan fissa anzitutto alcuni concetti ritenuti di importanza fondamentale al fine di tutelare alcune specifiche fasce della popolazione. Vi si leggono infatti nell’articolo 1 le seguenti definizioni:

“Ai fini della presente legge:
a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico
b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso
c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

Viene fatto notare prima di tutto che in questo modo si va ad introdurre nell’ordinamento giuridico italiano un concetto nuovo, vale a dire quello dell’identità di genere. Tuttavia va ricordato che il termine è già stato usato in passato in una sentenza della Corte Costituzionale, la 221 del 2015.

In questa sentenza la Corte Costituzionale stabiliva che l’identità di genere è un “elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”.

Troviamo poi il concetto dell’identità di genere anche nella Raccomandazione sulle misure per combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere dal Comitato dei ministri del Consiglio europeo e nella Raccomandazione 15/2015 della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza che sono state anche adottate dall’Italia, nonché in leggi regionali come quella sull’Ordinamento penitenziario del 2016 della Regione Piemonte.

Viente altresì fatto notare come la formula “ai fini della presente legge” di fatto limiti la validità delle definizioni che vengono elencate all’articolo 1 esclusivamente al ddl Zan. In questo modo queste non potranno essere utilizzate per cambiare l’interpretazione di altre norme in vigore.

Ed in particolare con il ddl Zan non si va ad apportare alcuna modifica alla legge esistente che riguarda il cambio di genere sui documenti, cioè la legge sul transessualismo del 1982 che permette di modificare il sesso all’anagrafe attraverso un lungo processo che prevede anche sessioni di psicoterapia e solo a seguito dell’autorizzazione da parte del giudice.

La sociologa Chiara Saraceno, nel corso di una intervista rilasciata a La Stampa, ha chiarito alcuni punti che riguardano il ddl Zan, spiegando che “non è vero che il disegno di legge Zan autorizzerebbe a cambiare la propria appartenenza di sesso solo con un’autodichiarazione. Tantomeno autorizzerebbe interventi medici intesi a rallentare lo sviluppo sessuale di bambini/e che manifestano un’incertezza sulla propria identità sessuale”.

Vi è poi un altro nodo che resta da sciogliere, come la dottoressa ha confermato, spiegando che il Ddl Zan “non offre una soluzione alla questione se le atlete transessuali che da uomini sono diventate, anche legalmente, donne possano concorrere con atlete che sono state sempre donne, vista la diversa conformazione dell’apparato muscolare”.

Cosa dice l’articolo 2 del Ddl Zan

Il secondo articolo del Ddl Zan interviene direttamente sull’articolo 604-bis del codice penale aggiornandolo. Questo è uno degli articoli che tentano di regolare i “delitti contro l’eguaglianza” e prevede quanto segue:

a) Reclusione fino a un anno e sei mesi o multa fino a 6.000 euro per chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
b) Reclusione da sei mesi a quattro anni per chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Sempre nell’articolo 604-bis del codice penale sancisce che “è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anno. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni”.

“Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto i in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”.

La modifica apportata a questa legge dal Ddl Zan consiste nell’aggiunta, alla formula “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” della parte in cui si elencano anche motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulle disabilità”.

La fondamentale distinzione tra il concetto di propaganda a quello di istigazione

Uno degli aspetti più delicati nell’ambito delle novità che il Ddl Zan potrebbe introdurre riguarda la libertà di espressione. A tal proposito è sicuramente interessante notare come le modifiche previste dal Ddl Zan vadano a toccare il concetto di istigazione ma non quello di propaganda.

Si tratta di una distinzione di fondamentale importanza. Stando a quanto afferma la Corte di Cassazione, con il termine di propaganda si intende infatti qualsiasi “divulgazione di opinioni finalizzata a influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni”.

L’istigazione invece, sempre stando a quanto afferma la Cassazione è un “reato di pericolo concreto” determinato dal fatto che consiste di affermazioni che in qualche modo possono determinare un concreto pericolo che inducano a mettere in atto comportamenti discriminatori o violenti, non invece limitati alla mera e generica espressione di antipatia.

Secondo quanto viene spiegato da Il Corriere, in questo modo si ottiene il risultato che “una stessa dichiarazione di ostilità e pregiudizio non sia perseguibile se pronunciata tra amici al bar ma lo diventi solo se a proferirla è un politico durante un comizio”.

In teoria quindi il Ddl Zan non dovrebbe riguardare la parte dell’articolo 604-bis del codice penale inerente la propaganda, ma quella che riguarda l’istigazione, volta a discriminare o a compiere atti di violenza ai danni di persone che rientrino in specifiche categorie, vale a dire membri della comunità Lgbt, donne e disabili.

Mia Caielli, professoressa di diritto pubblico comparato dell’Università di Torino, ha spiegato a proposito del Ddl Zan che in questo caso esso “tutela la libertà di espressione in misura molto maggiore della maggior parte delle leggi straniere che reprimono penalmente l’omotransfobia. Per esempio l’articolo 510 del codice penale spagnolo e l’articolo 1372 del codice penale olandese puniscono anche soltanto l’incitamento all’odio, mentre secondo la proposta di legge italiana questa non basta. Ci deve essere un pericolo concreto di discriminazione e violenza”.

Cosa dice l’articolo 3 del Ddl Zan

L’articolo 3 del Ddl Zan interviene con modifiche analoghe a quelle dell’articolo 2, ma sull’articolo 604-ter del codice penale. Anche in questo caso abbiamo un’aggiunta alle ‘categorie’ di persone che potrebbero essere oggetto di atti discriminatori o violenti.

Il testo della legge oggi recita: “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà”.

Il Ddl Zan andrebbe ad aggiungere ulteriori finalità di discriminazione integrando il testo attuale come segue: “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità” senza apporre ulteriori modifiche sulla restante parte.

Cosa dice l’articolo 4 del Ddl Zan

Nell’articolo 4 del Ddl Zan ci si concentra sulla questione della libertà di espresione, infatti nel testo leggiamo quanto segue: “ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Questa sarebbe la cosiddetta “clausola slava-idee”, quella cioè che dovrebbe garantire la possibilità di esprimere opinioni che seppur non condivise ad esempio dalla comunità LGBT, non sono da ritenersi comunque forme di incitamento all’odio o alla discriminazione.

Ed è ancora la professoressa Caielli a spiegare che “in particolare grazie a questa formula non è in alcun modo perseguibile per esempio chi, per motivi religiosi o ideologici, manifesti idee contrarie al matrimonio tra persone dello stesso sesso, o all’adozione omogenitoriale o che affermi che l’omosessualità è un peccato”.

Una distinzione che abbiamo peraltro già visto, vale a dire quella tra propaganda, del tutto lecita, e istigazione alla discriminazione o alla violenza, che invece si va ad inserire nel campo dell’illecito. L’articolo 4 del Ddl Zan qiuindi dovrebbe avere proprio la funzione di ribadire e sottolineare che la libertà di espressione viene garantita e deve essere tutelata.

Articolo 5 e articolo 6 del Ddl Zan: cosa dicono

Per quanto riguarda l’articolo 5 del Ddl Zan, contiene “una serie di disposizioni tecniche che servono a coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’uguaglianza” si legge su Il Corriere, dove si fa l’esempio in questo caso della legge Mancino.

Nell’articolo 6 del Ddl Zan invece si stabilisce che per le persone discriminate in virtù del genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità, si applichino le norme previste per le “vittime particolarmente vulnerabili” secondo quanto indicato nell’articolo 90-quater del codice di procedura penale.

In questi casi infatti sono previste alcune forme di cautela nella raccolta della denuncia o della testimonianza, al fine di evitare ulteriori traumi o violenze ai danni di chi ne ha già subiti, come ad esempio nel caso delle vittime di stupro.

L’articolo 7 del Ddl Zan istituisce la giornata di riflessione contro l’omotransfobia

Sulla falsariga della giornata della Memoria, il Ddl Zan nell’articolo 7 istituisce una giornata di riflessione contro l’omotransfobia. Nel testo del Ddl si legge infatti dell’istituzione della “giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, e viene anche sottolineato che non si tratta di un’occasione per fare vacanza, bensì per informarsi e riflettere sul tema.

In questa occasione quindi il Ddl Zan prevede che le scuole “nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa” e le “altre amministrazioni pubbliche” organizzino “cerimonie, incontri” e altre iniziative definite ‘di sensibilizzazione’ contro i pregiudizi omotransfobici.

Tutto questo dovrà avvenire “compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. In altre parole le iniziative intraprese dalle scuole in tal senso devono essere necessariamente a costo zero.

E sempre per quel che riguarda l’ambiente scolastico, nel Ddl Zan non vengono sciolti alcuni nodi quali la possibilità di utilizzare l’identità “alias” per gli studenti transgender, vale a dire un nome da usare in classe scelto dallo studente sulla base del genere in cui si identifica. Irrisolta resta anche la questione dell’organizzazioni dei bagni nelle scuole, in quanto nel Ddl Zan non viene fornita alcuna indicazione in tal senso.

Articolo 8 Ddl Zan: i compiti dell’Unar

L’articolo 8 del Ddl Zan stabilisce che ai compiti dell’Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, si va ad aggiungere anche quello relativo alla “prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere”.

Viene altresì precisato che questi compiti devono essere adempiuti “compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” il che significa che non devono esserci, anche in questo caso dei costi aggiuntivi per le casse pubbliche.

Articolo 9 Ddl Zan: le case di accoglienza

Nell’articolo 9 del Ddl Zan troviamo le disposizioni riguardanti la possibilità per le vittime di atti di discriminazione e violenza per ragioni legate all’identità di genere o all’orientamento sessuale, di fruire delle case di accoglienza e dei centri contro le discriminazioni .

I centri in questione sono quelli istituiti dal decreto legge 34 del 2020, poi convertito in legge, la cui funzione è quella di proteggere e sostenere le vittime Lgbt+ di atti di violenza anche in ambiente domestico. Potrebbero quindi fruire di queste strutture gli adolescenti maltrattati in quanto gay, lesbiche, bisessuali o transgender, e coloro che per le stesse ragioni vengono allontanati dalla famiglia o minacciati.

Su Il Corriere viene chiarito che il Ddl Zan, contrariamente a quanto alcuni detrattori affermano, non consentirà “agli uomini che si definiscono donne” di accedere ai centri antiviolenza la cui funzione è quella di aiutare le donne vittime di maltrattamenti.

Viene inoltre precisato che in Italia non è sufficiente una auto-definizione per ottenere la modifica del genere anagrafico sui documenti. Serve invece un percorso di psicoterapia, nonché l’approvazione del giudice. Non solo, perché per l’ingresso nei centri per le donne vittime di maltrattamenti è necessario ottenere l’approvazione delle associazioni che si battono contro la violenza di genere e che dovranno valutare i casi singolarmente.

Articolo 10 Ddl Zan: la raccolta di dati sulle discriminazioni

L’ultimo articolo del Ddl Zan infine non fa altro che affidare all’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori la raccolta dati circa le discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ai quali si vanno ad aggiungere quindi gli episodi di discriminazione legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere.

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