Biden firma l’ordine esecutivo e nella black list USA finiscono 59 aziende cinesi

Non hanno preso la piega sperata, i colloqui diplomatici tra Usa e Cina, con il vicepremier di Pechino, Liu He a capo della delegazione cinese per la ripresa dei Trade Talks che si scontra con il muro della linea dura della strategia di Kurt Campbell.

Alla fine il governo Usa non ha cambiato idea rispetto alla linea del precedente inquilino della Casa Bianca, e la black list non solo non verrà sfoltita, ma comprenderà nuove aziende cinesi legate alla Difesa.

Poche ore prima della videoconferenza tra Liu He e Jane Yellen, responsabile del Tesoro Usa, il presidente Joe Biden ha firmato il nuovo ordine esecutivo con cui viene vietato alle realtà statunitensi investire in quelle aziende cinesi che potrebbero avere dei legami con i settori della tecnologia di difesa o sorveglianza.

Se nelle scorse settimane erano pervenuti dei seppur timidi segnali di un allentamento delle tensioni commerciali tra i due colossi, ora è chiaro che gli sviluppi andranno in tutt’altra direzione. Da ora in avanti il ministero del Tesoro di Washington dovrà far rispettare e aggiornare su base ‘continuativa’ la nuova lista contenente le 59 aziende cinesi su cui è fatto divieto di investire.

La nuova lista di fatto sostituisce quella stilata dall’amministrazione guidata da Donald Trump, e prevede che viga il divieto di acquisto o vendita di titoli negoziati in borsa per tutte quelle società cinesi ritenute sospette per presunti legami coi settori della tecnologia di difese e della sorveglianza.

Cosa dice l’ordine esecutivo firmato da Joe Biden

Con l’ordine esecutivo firmato da Joe Biden nei giorni scorsi, vengono di fatto proibiti gli investimenti degli Stati Uniti nel settore militare-industriale cinese. È altresì vietata la partecipazione a programmi militari, di intelligence e sviluppo della sicurezza.

L’ordine esecutivo fa riferimento anche all’uso della tecnologia di sorveglianza cinese fuori dai confini dello Stato, e lo sviluppo o l’utilizzo di queste tecnologie “per facilitare la repressione o gravi violazioni dei diritti umani che costituiscano minacce insolite e straordinarie”.

A prevalere è la lina dura di Kurt Campbell

Il divieto che interesserà le società a stelle e strisce entrerà in vigore a partire dal 2 agosto 2021. Si tratta di una mossa che fa parte di una strategia ben precisa il cui scopo è contrastare la Cina e al contempo rafforzare le difese americane anche attraverso grandi investimenti interni volti a implementare la competitività economica Usa.

Il tutto si colloca nella cornice di rapporti sempre più complicati tra i due Paesi, motivo per cui Joe Biden ha assegnato un ruolo di primaria importanza a Kurt Campbell, incaricato di coordinare la politica americana nella regione dell’Indo-Pacifico e durante l’amministrazione Obama autore della policy Pivot to Asia che l’amministrazione Trump aveva invece messo da parte.

Secondo Campbell i rapporti tra Usa e Cina saranno contraddistinti da una forte concorrenza negli anni a venire. L’amministrazione Biden non intende lasciarsi cogliere impreparata, ed ecco dal ministero del Tesoro ci si aspetta che dia “indicazioni su cosa significhi la portata della tecnologia di sorveglianza” come riportato da Il Sole 24 Ore, e stabilisca se le aziende stanno in qualche modo agevolando “la repressione o gravi violazioni dei diritti umani”.

All’amministrazione democratica di Joe Biden servono quindi basi giuridicamente solide sulle quali impostare la propria strategia.

Quali aziende cinesi sono colpite dall’ordine esecutivo di Biden?

L’ordine esecutivo firmato nei giorni scorsi da Joe Biden riguarderà come accennato 59 aziende cinesi nelle quali è fatto divieto agli Stati Uniti di investire. Ciò provocherà inevitabilmente degli effetti importanti sui mercati globali oltre che sul versante interno cinese, cosa che d’altra parte abbiamo già visto nei mesi scorsi visto che non vi sono sostanziali variazioni rispetto alla politica di Donald Trump.

Nella black list di Biden però non troviamo ad esempio la Commercial Aircraft Corp of China (COMAC), concorrente di Boeing ed Airbus, e neppure la Gowin Semiconductor Corp e Luokung Technology Corp, due società che avevano contestato il divieto imposto dall’ordine esecutivo nelle aule di tribunale.

Xiaomi, produttore cinese di telefonini è riuscito a farsi escludere dalla black list di Biden per ordine di un giudice emesso nel mese di maggio. L’inserimento nella lista era dovuto a presunti legami tra la società high tech e l’esercito cinese.

Per Xiaomi questo si è tradotto in un’impennata del valore delle azioni che ha permesso alla società di superare il concorrente Huawei nel mercato domestico dei telefonini. La Xiaomi ha infatti registrato un incremento del fatturato del 54,7% per circa 76,9 miliardi di yuan – che corrispondono a circa 12 milioni di euro – in tre mesi.

Nel frattempo la Huawei, che è rimasta nella black list, continua a perdere terreno sulla concorrenza anche sul fronte internazionale per via delle disdette legate alla rete 5G.

Confermate nella black list anche la Aviation Industry Corp of China (AVIC), la China Mobile Communications Group, la China National Offshore Oil Corp (CNOOC), così pure la Hangzhou Hikvision Digital Technology e la Semiconductor Manufaturing International Corp (SMIC). Tra le new entry nella black list troviamo invece la Zhonghang Electronic Measuring Instruments e la Jiangxi Hongdu Aviation Industry.

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