Crisi di governo, se si votasse oggi cambierebbe tutto. Ecco cosa dicono gli ultimi sondaggi

Le probabilità che questa crisi di governo si risolva alla fine riconsegnando la parola agli elettori non sono particolarmente alte, aleggia infatti ancora lo spettro di un governo transitorio che traghetti il Paese fino alla scadenza naturale della legislatura, e nel frattempo c’è chi continua a sperare che il premier ci ripensi e si renda disponibile per un Draghi bis anche senza l’appoggio di Giuseppe Conte.

Quello che ci si aspetta quindi è l’ennesimo rimpasto, e in ogni caso siamo vicini al quarto governo in meno di 5 anni. Ma cosa succederebbe se alla fine si decidesse per un ritorno alle urne anticipato? Secondo il sondaggio di Bi.Di.Media che ha raccolto le intenzioni di voto al 14 luglio 2022, a vincere le elezioni se si andasse a votare adesso sarebbe Fratelli d’Italia.

Quando mancano ormai 24 ore al discorso di Mario Draghi con cui il premier si ripresenta alle Camere per fare il punto della situazione e, eventualmente, ricostituire una maggioranza solida, gli Italiani sembrano voler premiare il partito di Giorgia Meloni al quale era stata appositamente assegnata la funzione di recipiente del malcontento.

Con le elezioni anticipate il Parlamento cambia volto

Sarebbe il centrodestra a vincere le elezioni se si decidesse per il voto anticipato tra fine settembre e inizio ottobre, con FdI che conquisterebbe la maggioranza relativa e il Pd distaccato di pochi decimali.

Per l’esattezza, secondo il sondaggio realizzato da Bi.Di.Media, i consensi ai vari partiti sarebbero così distribuiti:

  • Fratelli d’Italia 22,9%
  • Partito Democratico 22,3%
  • Lega 14,2%
  • Movimento 5 Stelle 10,2%
  • Forza Italia 7,2%
  • Azione e +Europa 4,7%
  • Sinistra italiana ed Europa Verde 4,0%
  • Italexit 2,3%

Cosa succederebbe quindi se si andasse al voto in questo momento? Prima di tutto non dimentichiamo che si applicherebbe il taglio dei parlamentari come da riforma costituzionale, il che significa che il numero totale dei Deputati passerebbe dagli attuali 630 a 315, mentre il numero dei Senatori passerebbe dagli attuali 400 a 200 soltanto.

Ma soprattutto le elezioni permetterebbero di ripulire il Parlamento da tutte quelle realtà politiche che sono state create nel corso della legislatura in seguito a scissioni, espulsioni, cambi di casacca e altre dinamiche di questo tipo. Sparirebbero diversi partiti che hanno una base elettorale pressoché nulla, tanto che non compaiono neppure nel sondaggio, a cominciare da Italia Viva di Matteo Renzi.

Le elezioni anticipate farebbero quindi pulizia di tutti questi partiti che in questo momento hanno diversi esponenti che siedono in Parlamento, non solo senza aver mai ottenuto la delega dai cittadini attraverso il voto, ma soprattutto, stando a quanto evidenziano i sondaggi, con percentuali di consenso che in alcuni casi raggiungono a fatica il 2%, e in altri restano al di sotto dell’1%.

Il volto del Parlamento cambierebbe completamente in caso di elezioni anticipate anche perché quello che aveva vinto le politiche del 2018 è ora il quarto partito, con il rischio di subire ulteriori ridimensionamenti proprio in questi giorni con un’altra scissione dopo quella che ha portato alla nascita di Noi per il Futuro di Luigi Di Maio.

A vincere sarebbe il partito di Giorgia Meloni, e sarebbe una grande novità quanto meno sulla carta perché per la prima volta da decenni sarebbe un partito dichiaratamente di destra a vincere le elezioni. Nella sostanza non cambierebbe assolutamente nulla, giusto qualche sfumatura nel linguaggio usato nella comunicazione, con lo scopo di dare la percezione di una svolta politica epocale, un teatrino del quale effettivamente gran parte degli italiani non sente il bisogno, specialmente in una fase così critica.

Ma quello delle elezioni anticipate è uno scenario effettivamente realistico? Alcuni ci credono, altri molto meno, fatto sta che in queste fasi sembra davvero impossibile escludere qualsiasi risvolto.

Vero è però che l’ipotesi del ritorno anticipato alle urne sembra farsi strada in queste ore, in parte per via delle fonti da Palazzo Chigi secondo cui Mario Draghi sarebbe ancora intenzionato a lasciare, e in parte perché il centrodestra ha fissato alcuni paletti sulla permanenza all’interno dell’esecutivo del Movimento 5 Stelle che non ha rispettato “il patto di fiducia” alla base del governo di unità nazionale.

Sulla presenza del M5s all’interno della maggioranza però pesa anche la posizione di Mario Draghi stesso, che la ritiene irrinunciabile per poter portare avanti un’azione di governo.

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