Piano d’emergenza “pronto nei prossimi giorni”, ecco il prezzo delle sanzioni alla Russia

La guerra in Ucraina, iniziata nel 2014 ma ignorata completamente tanto dai media quanto dai governi occidentali per otto anni, va avanti con il coinvolgimento della Russia nonostante le sanzioni economiche.

Se le sanzioni dovevano servire a scoraggiare Vladimir Putin e ad indurlo a fare marcia indietro, ebbene per ora non hanno funzionato, le operazioni militari in Ucraina proseguono con tutto ciò che ne consegue, e l’economia europea soffra insieme a quella russa, ma più intensamente.

In Russia non si parla infatti di razionare il gas, di questo si parla in Germania soprattutto, ma anche in Italia. La causa di questa situazione, per farla molto breve, è il rischio sempre più concreto e tangibile, che ad un certo punto Mosca interromperà del tutto le forniture di gas ai Paesi Ue, cioè a quei Paesi che continuano a schierarsi al fianco del governo filo-nazista di Volodymyr Zelenski, inviando armi all’Ucraina e imponendo sanzioni alla Russia.

Inizialmente si diceva che le sanzioni avrebbero messo in ginocchio l’economia russa nel giro di qualche giorno, ma chiunque non fosse un completo sprovveduto sapeva benissimo che era una previsione che non stava né in cielo né in terra.

E quanto al rischio che si arrivasse, quanto meno in Italia, a misure estreme quali il razionamento delle risorse energetiche, veniva solo vagamente accennato, ma per lo più si preferiva usare toni rassicuranti, anche perché in un modo o nell’altro le scelte in fatto di politica estera sarebbero state le stesse, e costi quel che costi determinati obiettivi geopolitici devono essere perseguiti.

Ora invece ecco che inizia ad apparire chiaro che le misure estreme dovranno essere adottate. Dapprima il velo è caduto in Germania, il Paese maggiormente esposto sotto il profilo energetico, ed ora se ne parla in modo chiaro ma non troppo anche in Italia.

Cingolani annuncia piano di emergenza “pronto nei prossimi giorni”

La decisione di imporre il lockdown generale per oltre due mesi nel 2020 fu politica, a distanza di due anni dovrebbe essere chiaro a tutti ma ribadirlo non guasta. Agli scettici più ostinati proponiamo una semplice considerazione: ogni Paese del mondo ha adottato approcci diversi, anzi probabilmente non esistono due Paesi che abbiano adottato le stesse misure per arginare il contagio, eppure la pandemia era quella del Sars Cov-2 in tutto il mondo, e il contagio funzionava allo stesso modo in ogni angolo del mondo. Ergo, se decidi di chiudere tutto invece di responsabilizzare i cittadini è una decisione politica, giusta o sbagliata che sia, ma puramente politica.

Ebbene in Italia quella decisione politica, e quelle prese in seguito, hanno prodotto una crisi economica senza precedenti, e ci siamo ritrovati, tra le altre cose, con 20 punti percentuale in più di rapporto debito/PIL.

Adesso abbiamo la crisi ucraina, e abbiamo nuove decisioni politiche e le relative conseguenze. Questa volta i governi occidentali sotto l’egidia della NATO hanno deciso di schierarsi con il governo di Volodymyr Zelenski e di imporre severe sanzioni economiche contro la Russia nel dichiarato intento di scoraggiare la cosiddetta “aggressione” e indurre Putin a più miti consigli.

Sono passati sei mesi e per ora questa scelta politica, condivisa anche dal governo italiano di Mario Draghi, non ha portato i suoi frutti. Esistevano altri modi per gestire la crisi ucraina, esistevano ovviamente delle alternative, magari capire che la politica espansionista della NATO ha toccato il limite, e invece no, si è deciso di andare avanti su questa strada, e questa decisione politica ha prodotto la situazione in cui ci troviamo adesso.

E qual è esattamente la situazione in cui ci troviamo ce lo dice, in modo in realtà comunque piuttosto vago, il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, il quale spiega che nonostante il riempimento dei siti di stoccaggio sia arrivato all’80%, quindi un livello alto e in linea con la media europea, servono dei piani di razionamento invernale per il gas.

Ci piace pensare che non sia una novità nemmeno per chi ce la sta dando, questa preziosa informazione, perché in caso contrario la situazione sarebbe persino peggiore di quel che sembra. Ad ogni modo nonostante lo stoccaggio sia andato bene il gas potrebbe non bastare per l’invernata, il che significa che un nuovo stato di emergenza, questa volta per la crisi energetica, potrebbe essere alle porte.

“Il nostro piano di risparmio gas, c’è un comitato d’emergenza che lavora su questo, lo presenteremo nei prossimi giorni” ha spiegato il ministro Cingolani nel corso di un’intervista a Rai 3 “abbiamo già delle operazioni in corso” come il prestito al Gse “per accelerare l’acquisto sugli stoccaggi, che sono all’80% e ci dà un po’ di respiro”.

Abbiamo portato al 100% l’utilizzo dei rigassificatori esistenti. Dopodiché se, come probabilmente sarà, comunque i russi non potranno chiudere completamente l’erogazione, noi dovremo sicuramente fare del risparmio” ha aggiunto ancora il ministro.

Le misure del piano d’emergenza per il risparmio energetico

Non siamo ancora a conoscenza di tutti i dettagli del piano che il governo di Mario Draghi sta mettendo a punto per affrontare i mesi invernali. Lo stesso ministro della Transizione ecologica ha confermato che per saperne di più dovremo aspettare i prossimi giorni, ma sappiamo che sono previste misure che vanno dalla riduzione delle temperature dei riscaldamenti fino alla riduzione degli orari, finanche alla chiusura di alcune attività.

Verranno introdotti limiti nel riscaldamento degli uffici pubblici, sarà ridotta l’illuminazione nelle strade, saranno ridotti gli orari degli esercizi commerciali con indicazioni per il contenimento dei consumi domestici, e soprattutto vi sarà un piano per le industrie che fissi quali settori potranno subire uno stop delle forniture di energia e con quali modalità.

Della questione energetica ha parlato, appena 24 ore prima del ministro Cingolani, anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. “Chiediamo di affrontare seriamente e immediatamente la predisposizione di un eventuale piano di razionamento. Dal primo ottobre inizia l’anno termico e le imprese non sanno ancora come dovranno affrontarlo. Chiediamo un tetto al prezzo del gas e se non viene fatto in Europa, dobbiamo farlo a livello nazionale, lo stiamo chiedendo da mesi” ha infatti spiegato il numero uno di Confindustria.

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