città di Mosca in lontananza vista dal fiume

Nella giornata di ieri molti dei maggiori media italiani hanno affrontato la questione del presunto ormai imminente default della Russia, tuttavia la situazione come al solito è un po’ più complessa e merita almeno un minimo di approfondimento.

La Russia rischia effettivamente di finire in default dopo oltre 100 anni, vale a dire per la prima volta dalla rivoluzione Bolscevica? Tutto è partito nel momento in cui alcuni investitori non hanno ricevuto il pagamento degli interessi su alcuni bond in scadenza il 27 maggio 2022, essendo trascorso anche il cosiddetto grace period, vale a dire quei 30 giorni di tolleranza per adempiere all’obbligo contrattuale.

Si tratta in particolare di due obbligazioni, per un importo complessivo di 100 milioni di dollari con denominazione in dollari ed euro. L’agenzia di stampa Reuters riferisce che alcuni investitori di Taiwan non hanno ricevuto i coupon legati alle obbligazioni scaduti alla fine di maggio, con termine ultimo per il pagamento superato alle ore 24 di domenica sera.

In realtà però da Mosca arrivano notizie in contrasto con questa notizia. Infatti il ministro delle finanze russo ha dichiarato di aver regolarmente proceduto al pagamento sia dell’uno che dell’altro titolo in valuta estera e non in rublo al National Settlement Depository. Il mancato pagamento potrebbe quindi essere dovuto a ritardi tecnici avvenuti durante la transazione o alle difficoltà riscontrate nei pagamenti proprio a causa delle sanzioni occidentali.

La Russia infatti, al di là dei disagi e dei rallentamenti nelle operazioni di pagamento dovuti alle sanzioni, non ha problami di liquidità o mancanza di disponibilità in valuta estera, in buona parte proprio grazie alle esportazioni di beni energetici.

Il mancato pagamento delle obbligazioni sarebbe quindi da imputare al fatto che le transazioni sono ostacolate e non all’incapacità della Russia di adempiere. A fine maggio infatti l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, ha impedito alla Russia di usare i conti presso le banche americane per pagare gli obbligazionisti, spingendo in questo modo il Paese verso un collasso finanziario dovuto non alla effettiva indisponibilità di valuta, ma all’impossibilità di completare la transazione.

Dal Cremlino è stato infatti più volte sottolineato che si tratterebbe di un default “indotto”, motivo per cui avrebbe fatto ricorso presso un tribunale speciale. Non solo, visto che non è stata indicata una scadenza precisa nel prospetto informativo dei bond in questione, gli avvocati russi sostengono che vi sia ancora tempo fino alla fine del giorno lavorativo successivo per il pagamento.

Nel frattempo i CDS sembrano aver prezzato il rischio di default dal momento che nell’ultima settimana il contratto assicurativo a 5 anni non ha registrato nessun movimento di prezzo. Invece su base mensile abbiamo un aumento del +27%. Abbiamo poi il bond a 5 anni in calo dell’1,4% in termini di rendimento, mentre è sostanzialmente fermo il rendimento decennale.

Il declassamento delle obbligazioni russe ad opera delle principali agenzie di rating è arrivato già a ridosso del 24 febbraio, indicandole come titoli spazzatura (junk) per via delle prospettive sul debito a lungo termine e la paventata incapacità di solvenza di Mosca per via delle sanzioni occidentali. Sanzioni che invece non hanno sortito gli effetti sperati, con la Russia che si rafforza economicamente all’interno di un blocco sempre più nettamente contrapposto a quello a guida Usa-Europa.

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