Dopo il flop dell’app Immuni, la strategia anti-Covid fallisce anche nel campo dei test sierologici

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Non è andata esattamente come avevano previsto, l’indagine sierologica per la quale lo Stato aveva ordinato 4 milioni di test sierologici prodotti dalla statunitense Abbott. Test sierologici che sono giunti a scadenza proprio in questi giorni, e che scandiscono così il secondo flop epocale da parte delle istituzioni nell’ambito della strategia anti-Covid post lockdown.

“La sensazione è quella di trovarsi di fronte a una sorta di rimozione collettiva” si sfogano con l’Huffington Post fonti che sono in primo piano nell’operazione, Gli Italiani non hanno risposto come il governo si aspettava, così come non hanno risposto come si aspettava nell’ambito della app Immuni, altro clamoroso flop.

E sul noto sito di informazione leggiamo che c’è grande delusione negli ambienti di Governo per l’esito disastroso di questa operazione promossa dal Ministero della Salute e dall’Istat e realizzata con la collaborazione operativa della Croce Rossa italiana, attraverso la quale si sarebbe dovuti essere in grado di stabilire quante persone nel nostro Paese hanno sviluppato gli anticorpi al coronavirus.

Per raggiungere questo obiettivo il Governo ha stanziato la bellezza di 4,5 milioni di euro, solo che il risultato raggiunto è ben lontano dall’obiettivo che era stato prefissato, ed è molto al di sotto delle aspettative di ideatori e organizzatori.

La risposta degli Italiani regione per regione

Il campione da testare era stato individuato in 150 mila persone, ma solo la metà ha risposto all’appello. Le percentuali di adesione all’indagine sierologica variano molto da regione a regione, e sono state interamente pubblicate, aggiornate a due giorni fa, dall’Huffington Post.

Tra le regioni in cui si è registrata una delle più basse percentuali di adesioni c’è l’Emilia Romagna, che rentra tra l’altro tra le regioni più colpite dalla pandemia. Qui solo il 39,5% delle persone contattate ha dato la propria disponibilità per il test sierologico.

Basse percentuali anche in Sicilia, dove si scende al 37%, e in Calabria, dove siamo intorno al 38,9%, ma come è facile notare, queste regioni del sud sono state molto meno interessate dal contagio.

È però la provincia autonoma di Bolzano a far registrare il dato più basso in assoluto, con una percentuale di adesione del 29,5%, ben diversa da quella registrata nel Trentino – Alto Adige dove ha raggiunto il 45,5%.

Piuttosto basse le percentuali anche nel Lazio (44,7%), così pure in Campania (41,2%), in Piemonte (41,8%), in Toscana (45,6%), in Liguria (46,3%), e persino in Lombardia, nonostante sia ampiamente la regione più colpita dal contagio, con adesioni che si fermano al 46,5%.

La Regione in cui si è avuta invece la più alta partecipazione all’indagine sierologica è la Basilicata, con il 71,5% delle persone che sono state contattate che hanno dato la propria disponibilità. Seguono le Marche con il 68%, la Valle d’Aosta (66,8%), l’Umbria (62,6%), quindi il Molise (59,8%), l’Abruzzo (57,4%), la Sardegna (55,8%), la Puglia (53,8%), il Friuli Venezia Giulia (51,9%) e il Veneto (51,4%).

I risultati dell’indagine sierologica

Insomma i numeri non sono certo entusiasmanti sotto il profilo della partecipazione, da cui una inevitabile minore accuratezza dei risultati, che però saranno comunque presi in considerazione visto il campione di 75 mila soggetti analizzati.

Risultati che saranno resi noti “tempo una settimana, dieci giorni” assicurano dal ministero della Salute, che grazie a questa indagine, seppur ‘mutilata’, dovrebbero essere in grado di avere un campione rappresentativo per individuare la percentuale di quanti hanno sviluppato gli anticorpi al coronavirus tra i soggetti che non hanno manifestato alcun sintomo.

D’altra parte se “in Germania e in Spagna ci sono arrivati basandosi su meno di 50 mila test effettuati e con un target assai più ridotto” evidentemente i 75 mila test sierologici fatti in Italia in qualche modo dovranno pur permettere di saperne di più su quanto sia estesa la diffusione del coronavirus nel Paese, e quindi fornire maggiori dettagli utili sulla base dei quali modulare le misure di contenimento da attuare in questa fase.

Insomma, anche se ampiamente al di sotto delle aspettative, l’indagine a qualcosa servirà comunque, e i soldi spesi non saranno totalmente sprecati. Tuttavia è inevitabile che in molti stiano ora valutando le modalità in cui l’intera operazione è stata gestita, in primis sotto l’aspetto dell’informazione.

Alcuni parlano infatti di una campagna informativa “tardiva e poco efficace”, altri invece ritengono che sia stato uno sbaglio affidarsi alla Croce Rossa invece che fare affidamente su alcuni reparti dell’esercito o magari coinvolgere i Dipartimenti di prevenzione delle Asl, che comunque sono impegnati in ogni caso nel contact tracing.

Il flop della app Immuni

Non c’è stata tutta questa grande partecipazione da parte dei cittadini, nel caso dell’indagine sierologica, così come è stato molto inferiore alle aspettative l’utilizzo della app Immuni, che secondo quanto spiegato da ideatori e sviluppatori, avrebbe dovuto rappresentare uno degli strumenti più importanti nella cosiddetta Fase 2.

Ci si trova costretti quindi a fare i conti con il fatto che la strategia delle tre t ideata dal Governo “test, tracciamento, trattamento” su cui si dovrebbe fare affidamento per tenere sotto controllo la situazione dal punto di vista del contagio, sta incontrando sul proprio cammino più ostacoli del previsto.

La app Immuni in particolare, il cui utilizzo avrebbe prodotto risultati utili solo se utilizzata da un buon 60% della popolazione del Paese, è stata scaricata solo da 4 milioni di Italiani o poco più.

Un problema di scarsa fiducia reciproca

Dà l’impressione di non esserci tutta questa fiducia, da parte dei cittadini, nei confronti delle istituzioni, e viene da domandarsi se questa sfiducia sia giustificata oppure no. O quantomeno questa è probabilmente la prima domanda che le istituzioni dovrebbero porsi, ma per il momento non sembra che sia in atto alcun esame di coscienza.

Ci sono un paio di punti sui quali probabilmente vale la pena riflettere. Il discorso della fiducia è un po’ complesso, ma c’è una costante che vale più o meno sempre, ed è che la fiducia deve essere reciproca altrimenti il meccanismo a un certo punto si inceppa.

Le misure restrittive imposte in Italia sono state le più stringenti d’Europa e tra le più stringenti al mondo. In alcuni Paesi si è puntato molto su un’opera di informazione e di responsabilizzazione, ma in Italia no. In Italia sono stati inseguiti i runner sulle spiagge e nelle campagne anche se non rappresentavano alcun rischio di contagio né per se stessi, né per gli altri.

In Italia le istituzioni hanno trattato i cittadini come un branco di bambini indisciplinati, guardandosi bene dal responsabilizzarli, e limitandosi invece a spaventarli con dati sempre più angoscianti e notizie a volte palesemente false. Nel frattempo proibendo anche cose che non aveva senso proibire. Le istituzioni hanno quindi dimostrato un bassissimo livello di fiducia nei cittadini, ed ora toccano con mano che la scarsa fiducia è reciproca.

Una strada quella che le istituzioni hanno in tal modo imboccato, che di certo non gli guadagnerà la fiducia dei cittadini, specie se, e qui tocchiamo il secondo punto che riguarda in modo specifico l’indagine sierologica, decidono di affidarsi a test sierologici così poco affidabili.

Il test sierologico della Abbott utilizzato nell’ambito dell’indagine ha un’affidabilità vicina al 95% nel caso di esito positivo, ma se ha esito negativo neppure gli ‘addetti ai lavori’ saprebbero dire quale sia la percentuale di affidabilità del test.

Questo cosa vuol dire? Vuol dire che il numero totale delle persone che sono risultate positive al test sierologico nell’ambito dell’indagine svolta, per fornire un quadro realistico sulla diffusione del contagio in Italia, dovrebbe essere sommato al numero dei test che sono usciti negativi nonostante il soggetto testato abbia invece sviluppato gli anticorpi.

Un numero questo che però non è dato sapere, visto che non si sa nemmeno quale sia la percentuale di falsi negativi nell’utilizzo di questo test sierologico. In sintesi dall’indagine emergerà che il coronavirus in Italia si è diffuso meno di quanto si è realmente diffuso, ma non sapremo mai di quanto, semplicemente perché questo test sierologico non è in grado di dircelo.

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