Cambio di marcia per l’Italia: il 2021 sarà l’anno del clima

L’inevitabile controllo degli effetti della pandemia da Covid-19 permetterà il rafforzamento, nei prossimi mesi, della consapevolezza di un’altra emergenza incombente, ossia quella climatica.

Il fatto di aver dovuto necessariamente rinviare la Cop 26 di Glosgow a causa del Covid, consente infatti di affiancare gli Stati Uniti a Cina ed Europa per effettuare il salto di qualità necessario ad affrontare questa pericolosa sfida.

La nomina di Kerry, il quale aveva ricoperto un ruolo decisivo a Parigi nel 2015, a “Responsabile del Clima” garantirà il ritorno degli Stati Uniti in grande stile sulla scena mondiale.

E’ noto che la libertà di movimento della nuova Amministrazione USA sarà però condizionata dall’esito delle elezioni in Georgia, che saranno decisive per stabilire se il Senato sarà a maggioranza repubblicana o meno. Va però sottolineato che la transizione green negli USA è comunque iniziata.

Negli ultimi quattro anni infatti sono già stati chiusi ben 41.000 MW a carbone. In California, invece, a partire dal 2035 si potranno vendere solo auto elettriche e vi sono poi diversi Stati e città che hanno come obiettivo la “100% clean electricity“.

La riduzione delle emissioni registrata a causa della pandemia, corrisponde allo stesso tasso percentuale, ossia al 6%, annuo che bisognarebbe mantenere per poter raggiungere tutti gli obiettivi prefissati per il 2050. Per riuscire ad arrestare la crescita della concentrazione di gas serra nell’atmosfera occorre quindi seguire dei piani precisi e costanti nel tempo.

Un cambio di marcia per l’Italia

Attualmente le rinnovabili in Italia sono ferme a uno stop, e se non verrà impressa una notevole accelerata, gli obiettivi del 2030 verranno raggiunti solo nel 2100. Occorre innanzitutto rivedere i processi autorizzativi e vanno create tutte le condizioni per favorire anche il consenso a livello locale.

Sarà inoltre necessario rivedere il Pniec per renderlo più conforme ai nuovi obiettivi di riduzione del 55% delle emissioni al 2030. Ad esempio, la potenza fotovoltaica dovrà passare dai 21 GW attuali a una valore compreso tra i 65 e i 70 GW, quindi si parla senza dubbio di un’incredibile accelerazione.

Ciò che principalmente occorre nella redazione del nuovo Piano è la descrizione degli strumenti necessari sì a raggiungere gli obiettivi, ma anche a rimuovere tutti gli ostacoli esistenti.

Per questo motivo sarebbe più opportuno che alla redazione del nuovo Piano, oltre ai Ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, prendesse parte anche il Ministero dei Beni Culturali, ed occorrerebbe anche un forte impulso del Primo ministro.

Il nuovo Piano dovrebbe enunciare le opportunità offerte da una reindustrializzazione green, concentrando maggiormente l’attenzione sui reparti considerati strategici.

In passato, inoltre, si parlava della sicurezza degli approvvigionamenti pensando ai combustibili fossili, mentre in futuro dovremo pensare esclusivamente ai metalli e ai minerali essenziali per la transizione green. Inoltre, come ricorda Realacci, è necessario anche diventare delle superpotenze dell’economia circolare.

Ma ora vediamo il nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Secondo un’analisi svolta da Vivid Economics, il nostro Piano è considerato il peggiore in Europa per quanto riguarda il versante ambientale. Questo perché in nessuno dei 13 obiettivi a lungo termine presenti nelle Linee Guida si parla di attenzione alla sfida climatica.

A livello regionale, poi, il quadro non va certo migliorando, anche se occorrerà in ogni caso aspettare le proposte definitive.

Tra queste troveremo sicuramente una grande attenzione per l’idrogeno. Nelle proposte fatte dal governo, ispirate da Snam, compare l’intenzione di realizzare 5 GW di capacità di elettrolisi entro il 2030 con investimenti pari a 6 miliardi di euro.

Considerando però la presenza ancora marginale dell’industria italiana di elettrolizzatori, potrebbe anche ripetersi l’errore fatto con il fotovoltaico, importando massicce quantità di impianti, oppure che alla fine non venga neanche prodotto idrogeno blu.

Il ruolo della Cina nella transizione

Fino ad ora la forte dipendenza della Cina dal carbone destava parecchia preoccupazione tra gli esperti circa il raggiungimento degli obiettivi di Parigi. Con il recente annuncio di Xi JinPing riguardo l’intenzione di voler raggiungere la neutralità climatica entro il 2060, ora si aprono degli scenari davvero interessanti.

Nei prossimi decenni, oltre al problema legato alla situazione climatica, ci sarà un altro enorme problema da fronteggiare, ossia quello legato alla disponibilità delle materie prime. Infatti se già negli ultimi anni sono state organizzate guerre e colpi di Stato per il petrolio, cosa ci dovremmo aspettare da qui in avanti?

Dato che le maggiori potenze mondiali hanno già posto l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica nei prossimi anni, la dipendenza da fonti fossili si andrà via via riducendo. Ciò che crescerà sarà invece la dipendenza da materie prime critiche.

La transizione ecologica dell’economia mondiale infatti comporterà, oltre alla rapida crescita di acciaio, alluminio, rame e cemento, anche quella di altri elementi strategici, come cobalto, litio e le terre rare che al momento sono ampiamente controllati dalla Cina.

Basta infatti pensare che circa il 98% delle terre rare utilizzate in Europa nel settore delle rinnovabili e nella mobilità elettrica proviene proprio dalla Cina, e questo scenario preoccupa un po’ l’intera Unione.

Il vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic ha affermato: “Solo per le batterie delle auto elettriche e lo stoccaggio di energia, l’Europa avrà bisogno di una quantità di litio 18 volte superiore entro il 2030 e fino a 60 volte di più entro il 2050. Costruiremo quindi una forte alleanza per passare da un’elevata dipendenza dall’estero a un approvvigionamento interno e punteremo alla circolarità e all’innovazione”.

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