Le semplificazioni di Draghi per sbloccare gli impianti ad energia rinnovabile non funzionano. Ecco perché

La crisi energetica che avvolge l’Europa va progressivamente aggravandosi, parallelamente al lento ma inesorabile peggioramento delle relazioni diplomatiche con quello che era il principale fornitore di gas e petrolio dell’intero Vecchio Continente, la Russia.

Tralasciando le cause dell’aumento dei prezzi del gas e dell’energia in generale cui stiamo assistendo da mesi, che in modo più o meno diretto è legato comunque alla decisione di sanzionare la Russia di Vladimir Putin e di schierarsi a fianco dell’Ucraina di Volodymyr Zelenski, quello che ci interessa in questo momento è l’andamento della transizione energetica e, in sostanza scoprire a che punto siamo nel percorso verso le energie rinnovabili.

Proviamo quindi a fare prima di tutto il punto della situazione in Italia oggi per quel che riguarda eolico, solare e in generale fonti di energia alternativa alle fonti fossili che arrivano (ora molto meno) dalla Russia.

Italia e rinnovabili, un percorso lento e tortuoso

In Italia tra gennaio e giugno 2022 invece di registrare un incremento dell’energia prodotta da fonti rinnovaibili abbiamo registrato una riduzione intorno al 14% rispetto allo stesso periodo del 2021. Siamo infatti passati da 59,7 a 52,3 terawattora.

Per quanto riguarda gli impianti installati le cose sono andate decisamente meglio, almeno in teoria. Nello stesso periodo in Italia sono stati infatti installati impianti per una potenza complessiva di 1.211 MW, un incremento quindi del +168% rispetto all’anno scorso, ma diciamo pure che la base di partenza era piuttosto debole, e che 1.2 MW sono decisamente pochini, specie oggi.

I target europei sono ben lontani, ma soprattutto sono ben altri i bisogni di energia del Paese, e con prezzi del gas alle stelle, nonché il rischio dei razionamenti, non c’è affatto da stare tranquilli.

E pensare che quello che abbiamo appena visto è sostanzialmente l’unico dato positivo, tutti gli altri indicano un peggioramento della situazione per quel che riguarda le energie alternative.

Se osserviamo la copertura del fabbisogno elettrico nazionale siamo fermi al 33%, mentre un anno fa eravamo quasi al 39%, e se andiamo al 2020 eravamo addirittura oltre il 41%.

Che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe è piuttosto evidente, e lo stesso ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha ammesso nel corso di un’intervista rilasciata a Radio 24 che vi è “una quantità enorme di potenza energetica di impianti nuovi” ferma perché “ci sono le sovrintendenze che bloccano l’autorizzazione per una questione paesaggistica”.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva infatti provato a far funzionare meglio il meccanismo, ed era stata approvata a tal fine la nuova procedura con cui il Cdm può dirimere una controversia tra due dicasteri, ma i risultati non si sono visti. Una semplificazione che in realtà non semplifica nulla, o semplifica troppo poco, infatti quanto ai tempi necessari per ottenere un’autorizzazione per la realizzazione di un impianto in Italia, siamo ancora intorno ai 6-7 anni contro la media europea che si aggira intorno ai 6 mesi.

Eppure con le novità derivanti dalla semplificazione qualcosa si è mossa, infatti tra agosto e settembre il Cdm ha sbloccato 11 progetti di impianti eolici (potenza complessiva di 452 MW) tra Puglia, Basilicata e Toscana.

Non basta però, come ha evidenziato David Moser, il responsabile del gruppo di ricerca dell’Istituto per le energie rinnovabili di Eurac Research, che parlando con IlFattoQuotidiano ha ammesso: “meglio di niente, ma non può essere Palazzo Chigi a scegliere quali progetti far passare, né così si può raggiungere il numero di impianti di cui abbiamo bisogno”.

Poca chiarezza tra le norme della semplificazione

Ed è sempre Moser a spiegare che le norme introdotte con lo scopo di semplificare le procedure per spingere sul binario delle energie rinnovabili funzionano fino a un certo punto.

“Regna la confusione tra le varie norme entrate in vigore e i decreti attuativi che mancano, fermi in attesa del nuovo governo” spiega infatti Moser. Mancano anche i decreti attuativi per la legge sulla Concorrenza in vigore dal 27 agosto, ed è qui che ci sarebbe una specifica delega del governo per la semplificazione nel campo delle rinnovabili.

L’esperto spiega che “sulla carta ci sono stati dei tentativi di semplificazione, ma si sono ridotti gli oneri amministrativi per chi progetta l’impianto e per i soggetti coinvolti nelle fasi iniziali dell’iter”, invece i rallentamenti più significativi erano quelli determinati dal passaggio dalla Sovrintendenza.

Risultato? Secondo il Renewable Energy Report 2022 che è stato elaborato dal gruppo Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, la capacità installata nel 2021 è stata di 1,3 gigawatt. Si tratta di un incremento del 70% di potenza, ma solo se il raffronto viene fatto con il 2020, l’anno del lockdown generale.

Se guardiamo invece i primi sei mesi del 2022, secondo l’Osservatorio FER realizzato da ANIE Rinnovabili sulla base dei dati Gaudì di Terna, siamo sugli 1,2 gigawatt, e siamo molto indietro sulla tabella di marcia, visto che dovremmo essere almeno ad 8 GW annui, così da raggiungere entro il 2030 i 70 GW di potenza di capacità installata e destinati a crescere per ogni anno in cui si manca l’obiettivo.

Il dato risente delle scarse precipitazioni, che hanno determinato un apporto dell’idroelettrico inferiore del -39%, compensato in parte da un aumento del +9% della produzione eolica, e un aumento del +10% del fotovoltaico.

I grandi impianti fotovoltaici penalizzati dalle nuove norme

Stando a quanto evidenziato dall’Osservatorio “in contrapposizione ai dinamici comparti del fotovoltaico a tetto” è statico quello degli “impianti utility scale (di taglia pari o superiore a un megawatt) sia eolici che fotovoltaici”.

I numeri d’altra parte parlano chiaro: nel primo semestre 2022 sono stati installati in tutto 35 impianti fotovoltaici di potenza superiore a un megawatt (35% del totale) mentre solo 4 erano di potenza superiore a 10 MW.

Se ci spostiamo sugli impianti eolici vediamo che sono solo 5 quelli di potenza superiore a un megawatt realizzati nello stesso lasso di tempo. Moser spiega quindi che “la lista delle aree idonee potrebbe dare una spinta agli impianti più grandi”, infatti secondo lui “una volta individuate, in linea di massima, lì si potrà costruire. Si attende, però, che Regioni e Province autonome facciano la loro proposta e i tempi non sono affatto chiari”.

Anie Rinnovabili ritiene che sia necessario “un maggior grado di concretezza nell’emanare i pareri relativi agli iter autorizzativi di tali impianti” mentre “la realtà evidenzia che vi è una limitata capacità delle strutture preposte al rilascio dei pareri nel processare le istanze”.

Se poi analizziamo i dati relativi alla Commissione tecnica Pnrr/Pniec, attiva da fine 2021, vediamo che “delle 421 istanze di Via depositate solo un procedimento risulta concluso, sintomo che l’accelerazione tanto auspicata non è purtroppo ancora avvenuta”.

Le istanze riguardano tra l’altro impianti piuttosto importanti, per una potenza complessiva di 19 gigawatt che, secondo le stime, sarebbero in grado di portare investimenti per circa 20 miliardi di euro, ma soprattutto una produzione annua di 30 TWh, una quantità pari al 10% circa del fabbisogno del Paese.

Nel frattempo l’Osservatorio sta monitorando anche l’avanzamento dei lavori per i provvedimenti attuativi previsti dai decreti che recepiscono le direttive Ue, ed è venuto fuori che i termini di attuazione di 30 provvedimenti su 39 monitorati sono già scaduti, e solo quattro di questi sono stati pubblicati.

Quali sono le cause dell’inefficacia della semplificazione

Uno degli ingranaggi che non sta funzionando come dovrebbe è legato alla questione delle competenze. Oltre determinate soglie l’autorizzazione viene rilasciata in genere dalle Regioni e dallo Stato nel caso di impianti off shore.

Se invece serve anche la Via, nel caso di impianti in mare la competenza è interamente a carico dello Stato, quindi sia autorizzazione che Via arrivano da Roma, mentre per i progetti fotovoltaici su suolo agricolo al di sotto rispettivamente dei 10 e dei 30 megawatt, sia l’autorizzazione che la Via arrivano dalla Regione, mentre sopra i 30 Mw per entrambi la Via diventa di competenza dello Stato, ma l’autorizzazione sarà ancora rilasciata dalle Regioni.

“Prima i progetti devono ottenere la Via statale, e solo dopo, possono cominciare da zero tutta la trafila a livello regionale o provinciale per avere l’autorizzazione” spiegano dall’associazione Gis (Gruppo Impianti Solari) “convocando Conferenze di Servizi per chiamare in causa tutti gli enti locali competenti e ottenere (forse) la loro autorizzazione”.

Doveroso notare che da quando è prevista la Via rilasciata dallo Stato, da oltre un anno “nessun nuovo impianto è ancora stato approvato, se non quelli che hanno seguito il vecchio iter del Paur regionale” spiegano dall’associazione.

La Via statale ha ridimensionato il potere ostruttivo di ministero della Cultura e Soprintendenze che hanno diritto di veto su un progetto solo se su un’area vincolata, ma si è allungato il giro di enti coinvolti nella procedura” spiegano ancora dal Gis.

Una conferma di quanto sopra esposto arriva poi da Nicola Baggio, co-fondatore della Futura Sun, azienda produttrice di pannelli solari ad alta efficienza, che ha spiegato: “negli ultimi due anni c’è stata una bulimia normativa, ma provvedimenti a pezzettini inseriti continuamente in un corpo normativo già vasto e dettagliato non hanno portato a una effettiva semplificazione. Sulla carta i tempi dovrebbero essere ridotti rispetto a prima. Ma da nessuna parte c’è scritto che, decorsi i termini, si applica il silenzio-assenso. Bastava inserirlo nelle norme già esistenti” conclude l’imprenditore.

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