La sterlina inglese è scesa sotto quota 1,20 dollari, raggiungendo livelli minimi dal mese di ottobre 2016, trascinata al ribasso dagli effetti di una Brexit che probabilmente si consumerà senza nessun accordo.

La partita è comunque ancora aperta, e proprio l’incertezza che si sta verificando in queste ore sembra essere un motivo di pressione sulla valuta britannica.

Ricordiamo infatti come attualmente un emendamento da parte dell’opposizione voglia avviare un dibattito di emergenza alla Camera, evitando così, sostanzialmente, la chiusura allungata voluta da Boris Johnson, dal 9 settembre al 14 ottobre. Il premier britannico ha promesso di lasciare l’Unione Europea il 31 ottobre con o senza un’intesa, e ha ribadito questa promessa in un discorso di ieri sera, insistendo poi sul fatto che le possibilità di concludere un nuovo accordo di recesso dall’UE siano aumentate.

Tuttavia, se il parlamento voterà a favore dell’emendamento dell’opposizione ai termini del dibattito d’emergenza per consentire di andare avanti nonostante la pausa indotta, il primo ministro vorrà probabilmente alzare il tiro indicendo delle elezioni per il 14 ottobre.

Non è tuttavia detto che il voto possa divenire favorevole, visto e considerato che viene richiesto l’appoggio di una parte del partito conservatore che osteggia il potere di Johnson. Uno scenario non scontato, considerato che il primo ministro ha minacciato questa settimana di espellere i parlamentari conservatori che voteranno contro di lui.

Una Brexit “no-deal” è oggi vista come uno scenario da evitare a tutti i costi da parte dei mercati, e non solo: il governo ha realizzato un piano di emergenza dai contorni potenzialmente catastrofici, che potrebbe condurre Londra in una condizione recessiva particolarmente profonda, dalla quale potrà essere difficile risollevarsi nel medio termine.

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