Ex Ilva: quanto costerà allo Stato il recesso di ArcelorMittal? Ecco il conto

Non si tratta di azzardare ipotesi irrealistiche o di descrivere scenari lontani e poco plausibili. Le stime vengono da semplici calcoli matematici ben poco opinabili, e riguardano gli unici due scenari concretamente possibili per quel che riguarda il futuro dello stabilimento dell’ex Ilva di Taranto, ed in entrambi il conto che lo Stato italiano si troverà a pagare sarà decisamente salato.

Se si decide di tenere in vita il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, seppur abbassando i ritmi di produzione, la spesa di soldi pubblici ammonterà a circa 835 milioni di euro. Se invece si dovesse alla fine optare per l’altra soluzione, che è quella che prevede di commissariare lo stabilimento almeno inizialmente, la spesa complessiva annuale per lo stato sarebbe di circa 585 milioni di euro.

Ma vediamo di preciso come si arriva a queste cifre. Prendiamo come primo esempio quello del commissariamento, che tra i due è quello che allo Stato italiano costerebbe di meno in termini di denaro pubblico speso. Con il commissariamento, almeno iniziale, si potrebbe evitare di ricorrere alla Cassa Depositi e Prestiti e soprattutto di tentare l’impervia ed incerta strada della ricerca di una cordata di investitori privati.

Qui si aprono comunque due scenari, in entrambi i quali si ha, come riportato da IlSole24Ore una “statalizzazione sostanziale operata attraverso una estensione a tutto il corpo dell’Ilva della amministrazione straordinaria”.

Nel primo scenario l’Ilva cessa la sua attività, e tutti coloro che fino a ieri ci lavoravano vanno a finire in cassintegrazione. In questo caso si dovrà provvedere a smontare pezzo pezzo l’intera struttura e ne verrebbe fuori il famoso parco giochi in cui in realtà non sono in pochi a sperare. Non bisogna dimenticare infatti l’aspetto che riguarda i gravissimi problemi di salute causati alla popolazione che vive nella cittò di Taranto dall’attività dello stabilimento, con dati sono a dir poco allarmanti.

Bisognerà ovviamente procedere con l’opera di bonifica dell’intera area, opera non da poco, che deve essere realizzata in modo tale da evitare il default ambientale, politico ed etico che si verificò 30 anni orsono a Bagnoli, e che in questo caso avrebbe proporzioni 10 volte più grandi.

Nel secondo scenario invece la società rimane in funzione, nel quartiere Tamburi continueranno a morire più persone di quante ne nascono, ma lo stabilimento continuerà a produrre, anche se di meno. Infatti alle attuali condizioni del mercato non sarà possibile “replicare le perdite di ArcelorMittal” ma bisognerà invece “circoscrivere il perimetro produttivo e dunque limitare, almeno termporaneamente in attesa che riprenda la domanda di acciaio, il numero di occupati”.

In questo caso una quota dei dipendenti della società resterebbe in attività tra gli stabilimenti di Taranto, Novi Ligure e Cornigliano, mentre gli altri andrebbero in cassintegrazione. Ora vediamo quanto costerebbe questa soluzione usando come riferimento l’amministrazione straordinaria attuale.

Su IlSole24Ore si legge che “il costo medio annuo di ogni persona in carico ad essa è di 25.770 euro: 21mila euro di sussidio, più 2mila euro di accantonamento al TFR, più i contributi sanitari, più il 12% dei contributi figurativi, versati all’Inps direttamente dallo Stato”.

In poche parole ogni dipendente costerebbe mediamente 25.770 euro di soldi pubblici, e se tutti i dipendenti Ilva, compresi i 10.777 che in meno di un mese torneranno dall’amministrazione straordinaria, riceveranno il medesimo trattamento, il costo complessivo per lo Stato sarà di 330 milioni di euro.

Si rende quindi inevitabile, in questo scenario, l’applicazione dello stesso trattamento anche agli altri 6mila addetti dell’indotto italiano, il che si traduce, intermini di costo, in altri 155mila euro annui all’incirca, per un totale che raggiunge i 485 milioni di euro.

Ma le spese non finiscono qui, perché si porrà poi l’esigenza di trovare nuovi sbocchi professionali per i suddetti lavoratori, e se si prende come standard la riqualificazione degli addetti oggi in amministrazione straordinaria finanziata con 10 milioni di euro dalla Regione Puglia e la estendiamo a tutti gli altri, indotto incluso, la cifra cresce di altri 100 milioni per un totale che si aggirerà intorno ai 585 milioni di euro. da questo conteggio resta comunque escluso il calcolo dei costi relativi alla bonifica dell’ambiente e della fabbrica.

Questi i due scenari possibili in caso di commissariamento dell’Ilva dopo l’abbandono di ArcelorMittal, mentre vediamo ora quali sarebbero i costi che lo Stato si troverebbe a dover sostenere se si dovesse alla fine optare per l’altra soluzione, cioè quella in cui si tenta di tenere in vita, seppur a regime ridotto, l’impianto siderurgico.

In questo caso, si legge sempre su IlSole24Ore, “il commissariamento prende in gestione una parte della fabbrica, cercando il punto dimensionale e la specializzazione produttiva giuste per mantenerla accettabilmente sul mercato”. Non si tratta di un gioco privo di rischi, anzi, viste le condizioni attuali del mercato europeo.

Ad influenzare negativamente l’andamento di questo settore gli effetti destabilizzanti della guerra dei dazi tra USA e Cina, ma questa scelta avrebbe sicuramente dalla sua il fascino di una sfida importante sul piano politico, ed una eventuale vittoria in questo senso proietterebbe sull’attuale governo una luce sicuramente nuova.

Ma veniamo ai costi di questa ‘eroica impresa’, iniziando proprio da quello relativo alla manodopera. E’ ragionevole ritenere che siano sufficienti poco meno di 6mila addetti, poi la società avrà un “fabbisogno circolante di 350 milioni di euro all’anno”. Più altri fondi necessari sia per ricostituire il magazzino, che per effettuare gli interventi di manutenzione e i lavori dell’altoforno 2, diciamo altri 150 milioni circa.

Fin qui arriviamo quindi a 500 milioni di euro di denaro pubblico, sempre che per Bruxelles non sia un problema, e qui bisogna attendere l’esito dei negoziati, ma rischiamo di andare troppo avanti. Inoltre le spese relative a questa seconda soluzione non sono finite. Ci sono anche gli altri 5mila addetti della fabbrica in cassintegrazione, più i 6mila occupati dell’indotto, che anche se l’Ilva dovesse riuscire a ripartire, accuserebbero il colpo. Aggiungiamo quindi altri 155 milioni di euro.

E non è finita. Lo Stato dovrebbe poi occuparsi della formazione con cui riqualificare gli 11mila cassintegrati, sostenendo un costo di altri 50 milioni di euro. Ed ecco che si arriva alla somma di 835 milioni. Insomma con l’abbandono di ArcelorMittal lo Stato Italiano dovrà sborsare da un minimo di 585 ad un massimo di 835 milioni di euro, ed ecco spiegato perché.

Questo contenuto non deve essere considerato un consiglio di investimento. Non offriamo alcun tipo di consulenza finanziaria. L’articolo ha uno scopo soltanto informativo e alcuni contenuti sono Comunicati Stampa scritti direttamente dai nostri Clienti.
I lettori sono tenuti pertanto a effettuare le proprie ricerche per verificare l’aggiornamento dei dati. Questo sito NON è responsabile, direttamente o indirettamente, per qualsivoglia danno o perdita, reale o presunta, causata dall'utilizzo di qualunque contenuto o servizio menzionato sul sito https://www.borsainside.com.

Rimani aggiornato con le ultime novità su investimenti e trading!

Telegram
Regolamentazione Trading