Coronavirus, il bilancio delle vittime sale a 722. Ecco come potrebbe evolversi l’epidemia

Sale a 722 il bilancio delle vittime del coronavirus che si è diffuso in Cina a partire dalla fine di dicembre 2019. Nelle ultime 24 ore, nonostante un lieve rallentamento dei contagi, il numero dei morti è aumentato di 81 unità, tutti registrati nella provincia di Hubei.

Il totale supera così quello delle vittime della Sars, che tra il 2002 e il 2003 furono 650 nella sola Cina continentale e Hong Kong. Invece il numero complessivo delle persone contagiate dal Coronavirus ad oggi ha raggiunto la cifra di 34.546.

Sulla Diamond Princess, la nave da crociera ormeggiata nelle acque della città giapponese di Yokohama, sono stati registrati intanto un totale di 64 contagi, con un numero che anche in questo caso continua a salire. 

Il numero totale dei passeggeri è 3.700, e di questi solo 273 sono stati sottoposti ai test, cioè quelli che presentavano sintomi come tosse o febbre e/o erano stati a stretto contatto con chi li presentava. Di questi sono risultati contagiati dal coronavirus in 60 in un primo momento, ora il totale è di 64.

Il ministero della Salute nipponico ha comunicato proprio nella giornata di oggi altri 3 nuovi contagi accertati. Tutti e tre (due statunitensi e un cinese) sono stati quindi trasportati in un centro ospedaliero per ricevere le cure del caso. Sulla stessa nave si trovano anche 35 cittadini italiani.

Una delle ultime vittime del coronavirus è un cittadino statunitense che si trovava nella città di Wuhan, epicentro dell’epidemia. Si trattava di un uomo di 60 anni, che dopo essere stato ricoverato in uno degli ospedali della città è deceduto in data 6 febbraio.

Nella mattinata di domani intanto è previsto il rientro in Italia di altri 9 connazionali che arriveranno nel Regno Unito a bordo di un aereo britannico, dopodiché, dalla base Raf di Brizenorton saranno trasferiti su un aereo italiano col quale torneranno a casa. All’arrivo in Italia saranno sottoposti alla quarantena all’ospedale militare del Celio di Roma.

In questo gruppo di 9 cittadini italiani ci sarà anche il 17enne di Grado che era rimasto bloccato a Wuhan. Al giovane infatti non era stato permesso di lasciare il Paese il 2 febbraio insieme al primo gruppoi di rimpatriati per via del fatto che era risultato febbricitante. In seguito però è risultato negativo ai controlli ed ora torna a casa.

Nuovi casi di coronavirus cinese sono stati confermati anche in Francia, dove il ministro della Salute Agnes Buzyn ha dato conferma di altri cinque contagi, quattro adulti ed un bambino, coi quali il totale dei malati del Paese arriva a 11. Uno di questi si trova attualmente in condizioni critiche.

L’Italia pronta a riaprire i voli per la Cina? Il ministro smentisce

La notizia di una possibile riapertura dei voli da e per la Cina da parte del Governo italiano è stata subito smentita dallo stesso ministro della Salute. Pechino però non ha preso benissimo la misura adottata dall’Italia, primo Paese al mondo e unico in Europa ad aver optato per questa scelta.

Nella giornata di ieri si era diffusa la notizia che l’Italia, dopo aver sospeso tutti i voli da e per la Cina una settimana fa, sarebbe pronta a riattivare alcuni collegamenti aerei. Lo aveva riferito il governo di Pechino a seguito di un incontro tra il vice ministro degli Esteri e il nostro ambasciatore nella capitale cinese, Luca Ferrari.

L’Italia è stato l’unico Paese dell’Ue a decidere per il blocco totale dei voli verso la Cina, decisione che aveva causato “grande irritazione” a Pechino. Ma la notizia che Roma fosse intenzionata a fare un passo indietro e a rivedere questa misura così ‘drastica’ è stata poi smentita dallo stesso ministro della Salute. “Notizia infondata” ha fatto sapere infatti Roberto Speranza tramite il suo portavoce che ne ha parlato con Repubblica.

Il vice ministro degli Esteri cinese, Qin, ha espresso “grande insoddisfazione per la reazione eccessiva” che il Governo italiano ha messo in atto senza consultare la Cina. Misura che ha causato “grossi inconvenienti” per i cittadini cinesi, stando a quanto lo stesso ministro ha affermato.

Poi in occasione dell’incontro con l’ambasciatore Luca Ferrari, quest’ultimo avrebbe espresso la disponibilità da parte del Governo italiano ad “approvare alcune delle applicazioni presentate dalle compagnie cinesi per riattivare i voli” come riferito da Repubblica.

Nonostante Roma abbia confermato l’incontro, la notizia dell’apertura a un possibile ripristino delle tratte aeree tra i due Paesi è stata smentita. Non sarebbe facile infatti motivare questo cambio di posizione sul blocco dei voli, specie se tale blocco era stato deciso per tranquillizzare l’opinione pubblica. Una decisione che sarebbe stata presa direttamente da Palazzo Chigi, e che non avrebbe colto di sorpresa solo la Cina ma anche la Farnesina.

Il blocco inizialmente riguardava anche i voli cargo, il che poteva comportare gravi danni per le imprese, ma questi sono stati riattivati in poche ore. Ora come ora però, anche se la diplomazia italiana è al lavoro per ricucire lo strappo (il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, e lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, hanno incontrato l’ambasciatore cinese a Roma) la situazione resta sostanzialmente invariata.

Epidemia coronavirus: due scenari possibili

Abbiamo visto che il nuovo ceppo di coronavirus si sta rapidamente diffondendo nella Cina continentale, e che ha già raggiunto, seppur con pochi casi isolati, anche alcune grandi città di Stati Uniti ed Europa, ma quali sono gli scenari che dobbiamo aspettarci nel futuro? Vogliamo credere che l’epidemia verrà scoinfitta presto, ma quanto potrebbe volerci e a quante vittime si potrebbe arrivare? Quanto è vicina una cura e cosa succederà se il virus dovesse evolversi?

Sono molte le domande che viene da porsi ed è proprio a quelle domande che, con l’aiuto degli esperti, cerchiamo di rispondere. Per quel che riguarda il prossimo futuro si possono prospettare sostanzialmente due scenari, uno abbastanza ottimistico, l’altro invece delinea un quadro meno incoraggiante, ma in ogni caso non si parla di scenari apocalittici, quindi non è sicuramente il caso di lasciarsi prendere dal panico.

Quasi 35 mila contagi e 725 morti

Vediamo prima di tutto qual è la situazione ad oggi, 8 febbraio 2020. Il numero delle vittime nel momento in cui scrivo ha raggiunto 725 unità, mentre il totale dei contagi accertati è di 34.609 persone nella sola Cina continentale, e raggiunge quota 34.945 se si contano anche i contagiati confermati nel resto dell’Asia, in Oceania, in Europa e in America.

In Europa il numero totale dei contagi è 34, con la stragrande maggioranza dei casi divisi tra Germania (13) e Francia (11). Solo 3 casi per ora in Italia e altrettanti nel Regno Unito, più 1 caso in Svezia, Spagna, Belgio e Finalndia.

Dai primi contagi ai due scenari possibili

È questa la domanda in fin dei conti. Quello che cerchiamo di capire e cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni. Il numero dei contagi continuerà a salire ancora? A rispondere ci ha pensato Pier Luigi Lopalco, epidemiologo e docente di Igiene all’Università di Pisa.

Per cominciare partiamo dai numeri, quelli relativi al contagio che, è fondamentale precisare, vengono riferiti all’Organizzazione Mondiale della Sanità dalle autorità locali. “Per questo, anche considerando il sovraccarico di richieste cui il sistema sanitario cinese sta affrontando è possibile che i numeri siano sottostimati rispetto a quelli reali” ci spiega Lopalco.

Non solo, perché già “prima del 31 dicembre, data in cui è stata rilevata la presenza di una polmonite dalle cause sconosciute, c’erano sicuramente alcuni casi (non sappiamo quanti) di coronavirus”. Allora però l’allarme sanitario non era stato ancora lanciato, per cui i malati possono aver contagiato un certo numero di persone che a loro volta ne hanno contagiate altre.

Una escalation di cui ancora non conosciamo l’esatto sviluppo. “Non sappiamo quanto è ampia questa base di malati e il numeri di contagi attuali e futuri potrebbe dipendere anche dalle sue dimensioni” spiega infatti l’epidemiologo.

Ed è qui che iniziano a delinearsi due scenari possibili, uno più favorevole, uno meno. Si continua a parlare di ipotesi e non di certezze, ed è lo stesso esperto a puntualizzarlo, in quanto “è tutto in via di definizione”.

Lo scenario più favorevole

“Una prima ipotesi, più favorevole, è che la Cina reagisca in maniera molto efficiente, contenendo e bloccando quanto più possibile i focolai” spiega Luigi Lopalco “il tutto attraverso l’identificazione precoce, la quarantena e una via via maggiore capacità di risposta sanitaria all’emergenza”.

In questo caso si dovrebbe arrivare, in tempi auspicabilmente brevi, ad un momento in cui il numero dei contagi smette di crescere. In poche settimane si potrebbe quindi arrivare ad un plateau, vale a dire una zona in cui il numero di casi si mantiene costante, con lo step successivo che sarebbe la riduzione progressiva del numero dei malati, anche grazie ad un aumento del numero delle persone guarite, fino ad arrivare alla scomparsa della malattia.

“Di fatto una volta superata l’infezione non si rimane portatori sani del nuovo coronavirus” spiega Lopalco “ovvero non si è più contagiosi” e questo è un elemento fondamentale.

Lo scenario meno favorevole

In questo scenario si ipotizzano maggiori difficoltà nel contenere l’epidemia del coronavirus, e quindi il rischio che il virus possa raggiungere anche Paesi, si pensi all’Africa o al Sud America, in cui i sistemi sanitari non hanno strumenti sufficienti per contrastare la malattia.

“Riuscire a riconoscere prontamente il nuovo coronavirus, a isolare i contagiati e a rintracciare persone venute in contatto con loro come è avvenuto per esempio in Italia per i due pazienti cinesi ricoverati allo Spallanzani, è essenziale per bloccare il focolaio sul nascere” spiega l’epidemiologo “ma per farlo bisogna avere prontezza con l’identificazione precoce e l’isolamento, attraverso materiali, come una quantità sufficiente di kit diagnostici, strutture e reti sanitarie adeguate, che non tutti i Paesi del mondo possiedono“.

In questo secondo scenario quindi ci vorrebbe molto più tempo per raggiungere il plateau che nel primo scenario avevamo ipotizzato nel giro di poche settimane e qui ipotizziamo raggiungibile nell’arco di mesi.

“L’augurio è che si possa evitare questa evenienza” dice Lopalco “ma qualora si verificasse non bisognerebbe comunque farsi prendere dal panico”. Niente panico nonostante una diffusione della malattia molto ampia quindi, ma come mai? Prima di tutto per via del basso tasso di mortalità di questo nuovo coronavirus, più basso di quello della stessa Sars per fare un esempio.

“Di fatto nei casi più severi può causare una polmonite virale con sintomi e gravità simili a quelli della polmonite da pneumococco” spiega Lopalco “inoltre se i tempi si allungheranno con un’epidemia che durerà mesi, avremmo raggiunto una maggiore capacità diagnostica e forse anche una terapia”.

Stando a quanto emerso da un recente studio pubblicato su Nature e condotto da ricercatori cinesi di Wuhan e Pechino, esisterebbero due farmaci attualmente utilizzati per altre patologie, che potrebbero risultare efficaci per trattare il nuovo coronavirus. L’Oms però richiama alla cautela e chiarisce che “al momento non c’è alcun farmaco efficace”.

I test che sono stati fatti sono in effetti quelli in vitro, e prima di poter distribuire il farmaco sarà necessario procedere con lunghe sperimentazioni. Fino ad allora non sarà possibile parlare di una terapia efficace contro il 2019-nCoV.

Il coronavirus, un virus nuovo

Si tratta di un virus a tutti gli effetti nuovo, con tutto ciò che questo comporta. Sappiamo che è in grado di causare una polmonite molto simile a quella causata dal batterio penumococco, solo che questo è un virus, e non deve assolutamente essere sottovalutato, come sottolinea Pier Luigi Lopalco.

Inadeguato, secondo l’esperto epidemiologo, anche il paragone con la pandemia influenzale del 2009 che fu causata dal virus H1N1, anche conosciuta come influenza suina.

“Con lo pneumococco e con i virus influenzali conviviamo da millenni e la maggior parte dei pazienti anziani aveva già incontrato nel corso della vita uno o più virus simili all’H1N1” ha spiegato Lopalco “mentre il 2019-nCoV è un virus completamente nuovo per il sistema immunitario. Per questa ragione non abbiamo ancora strumenti preventivi (vaccini) e terapie come per la polmonite pneumococcica”.

L’esperto ha quindi sottolineato l’importanza di non lasciare che il virus diventi endemico, vale a dire che si radichi in una regione e vi rimanga costantemente presente. In questo caso potrebbe iniziare a presentarsi anche in altre forme (mutato) sempre nella stessa zona e riemergere nuovamente.

“Tutte le misure delle autorità sono volte a evitare questo. Se il 2019-nCoV diventasse endemico rappresenterebbe un ulteriore rischio per la salute e un nuovo patogeno con cui i sistemi sanitari dovrebbero fare i conti” ha aggiunto poi Lopalco.

E se il coronavirus si evolvesse?

Questo è un altro aspetto col quale ci potremmo trovare a dover fare i conti nel prossimo futuro. Partiamo dal presupposto che ad ogni passaggio uomo-uomo il virus viene replicato milioni di volte, ed ogni volta che ciò accade alcune copie possono contenere degli errori.

I virus infatti, come è noto, mutano con estrema facilità, e nel farlo potrebbero sviluppare una maggiore capacità di adattamento alla specie umana. “Bisognerà capire come evolverà. In generale nel cambiare, i virus che si adattano più facilmente all’essere umano diventano via via meno gravi ma più contagiosi” spiega Lopalco.

Se dovesse essere questo il modo in cui il 2019-nCoV si evolverà finirebbe col diventare più contagioso ma al tempo stesso i sintomi sarebbero attenuati. “Nell’ipotesi di un’ampia e prolungata circolazione, come potrebbe avvenire e sta già accadendo in Cina, il patogeno potrebbe continuare a circolare in forme diverse e la popolazione potrebbe nel tempo diventare parzialmente immune“.

In alcuni studi è stato recentemente valutato il cosiddetto “basic reproduction number” che altro non è che il tasso netto di riporoduzione, indicato con la sigla R0. In epidemiologia con questo parametro si individua il numero di casi di contagio a partire da un singolo malato.

Nel caso del 2019-nCoV questo valore si attesta ora tra 2 e 3, mentre solo un paio di settimane addietro, intorno al 23 gennaio, l’Oms riportava un dato abbastanza diverso, intorno a 2, tra 1,4 e 2,5 per essere precisi. Ma come è facile capire, i numeri che vengono resi noti derivano da continui studi e sono soggetti a frequenti aggiornamenti.

In parole povere, ora come ora il coronavirus è in grado di infettare tra le 2 e le 3 persone per singolo malato, ed è questa almeno in teoria la sua capacità di diffondersi. Chiaramente però il contagio non può avvenire se il paziente viene prontamente isolato, ed è qui che entra in gioco il fattore sanità.

Differenze tra coronavirus e N1N1

Per avere una idea più chiara di quanto sia pericoloso il Coronavirus, proviamo a fare un confronto con altre epidemie recenti, come ad esempio la pandemia influenzale del 2009 causata dal virus H1N1, che fu poi chiamata più semplicemente influenza suina.

L’H1N1 era più contagioso del 2019-nCoV per cominciare, ma se la velocità del contagio era più alta, la sua capacità di trasmettersi, che misuriamo prendendo in esame il numero di persone infette per paziente malato, è paragonabile a quella del Coronavirus cinese. Secondo l’epidemiologo però “nel caso dell’H1N1 il tasso di mortalità era più basso e simile a quello di altri virus influenzali”.

C’è poi uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine secondo il quale l’epidemia del nuovo coronavirus raddoppia il numero dei contagi nell’arco di 7 giorni. “Questo significa che una persona malata impiega più o meno 7 giorni per contagiare altri due pazienti” semplifica Lopalco, che poi ricorda che si parla comunque di stime.

“La pandemia del 2009, nota come influenza suina o H1N1, aveva lo stesso tasso di riproduzione ma un tempo di incubazione più breve” spiega Lopalco, che quindi identifica una maggiore pericolosità, per quel che riguarda questo aspetto, del virus del 2009 rispetto al coronavirus cinese che si sta diffondendo in queste settimane in Cina e nel resto del mondo.

“I contagi che il nuovo coronavirus produce in una settimana, la suina li generava in un giorno” ha poi aggiunto l’epidemiologo “per questo nel caso dell’influenza H1N1 i malati sono stati numerosissimi”. Quindi una volta che i contagiati saranno stati isolati la diffusione del coronavirus si interromperà rapidamente.

Come numero di contagi, ad oggi, la pandemia influenzale del 2009 è stata più estesa, ed in questo si rileva una maggior similitudine con l’influenza stagionale. In compenso però il tasso di mortalità era più basso.

Non è facile giungere al numero esatto dei contagi dal virus della cosiddetta influenza suina, ma stando alle cifre riportate dall’Oms, tra il 2009 e l’agosto 2010 i morti causati dall’H1N1 sono stati in tutto 18.500 su scala globale.

Abbiamo poi il dato riportato dai centri Cdc americani (Centers for Disease Control and Prevention) secondo i quali sono state contagiate in tutto poco meno di 61 milioni di persone solo negli USA, tra l’aprile 2009 e l’agosto 2010, per un totale di circa 12.500 morti, dato anche quest’ultimo riferito ai soli Stati Uniti d’America.

Si trattava quindi di un tasso di mortalità dello 0,02% secondo l’agenzia Reuters, che corrisponde a 2 morti per ogni 10 mila persone contagiate, decisamente più basso di quello del 2019-nCoV.

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