I Cinesi alla conquista di Venezia. In 10 anni il numero di imprese in mano ai Cinesi cresce dell’80%

Venezia, una delle città più belle e caratteristiche del mondo intero si trova a far fronte a minacce che arrivano, come si suol dire, per terra e per mare. Non solo il problema dell’acqua alta, forse risolto con la messa in funzione del Mose, ma anche la progressiva sparizione delle attività commerciali italiane, puntualmente sostituite da quelle cinesi.

Trovare un italiano a Venezia diventa sempre più difficile, non solo perché la città è letteralmente invasa ogni anno, Covid permettendo, da turisti provenienti da ogni angolo del mondo, ma anche perché continua a ridursi il numero di imprenditori italiani che vi conducono la propria attività.

Secondo quanto riporta l’AGI infatti quel processo di sparizione delle attività commerciali condotte da Italiani a favore di imprenditori cinesi sta andando avanti a ritmi serrati. Pare infatti che negli ultimi 10 anni si sia assistito ad una ulteriore accelerazione in tal senso, ed i numeri non lasciano molti dubbi su quale possa essere la Venezia di domani.

Stando ai dati sulle imprese registrate alla Camera di Commercio di Venezia dal 2010 ad oggi, in questi ultimi 10 anni gli imprenditori cinesi sono passati da 528 a 968, registrando quindi un aumento dell’83% pari a 440 nuove attività.

E se da una parte gli imprenditori cinesi a Venezia sono in costante e rapido aumento, sono in diminuzione gli imprenditori italiani. Il numero delle attività gestite da Italiani infatti si è ridotto drasticamente negli ultimi 10 anni, passando da 34.325 a 29.613, registrando quindi un calo del 13%, pari a 4.712 imprese in meno.

Questa tendenza tra l’altro mostra una preoccupante costanza, infatti non si registra nessuna variazione negli ultimi 10 anni, nemmeno se si vanno ad analizzare i numeri di ciascun settore preso singolarmente.

A pagare il prezzo di questo processo di cinesizzazione di Venezia, che seppur in misura minore ritroviamo un po’ ovunque su tutto il territorio nazionale, sono soprattutto le attività che operano nel settore della ristorazione.

I locali quali bar e ristoranti a Venezia gestiti da imprenditori italiani si sono ridotti del 6% in 10 anni, passando da 4.379 a 4.090. Invece sono aumentati i locali gestiti dai Cinesi, che dai 301 del 2010 sono diventati 542 registrando un aumento dell’80%.

Per la vendita al dettaglio la situazione è più o meno simile, con un calo delle attività condotte da imprenditori italiani per un -23%, contro l’impennata di quelle condotte da imprenditori cinesi che invece aumentano del 43%.

L’AGI riporta il commento di Cristina Giussani, presidente di Confesercenti Veneto, la quale ha subito tenuto a precisare: “se sono onesti e lavorano bene non vedo il problema”.

Al tempo stesso la Giussani ha però ammesso che “dispiace vedere locali storici, magari della tradizione enogastronomica veneziana, diventare tutt’altro. Un’osteria tradizionale in mano ai cinesi diventa spesso un bar generalista uguale a quelli di tutto il resto del mondo. Allo stesso modo, se un veneziano oggi deve comprare un paio di scarpe, o acquista un modello da 400 euro o cineserie da 10 e questo perché il prodotto intermedio non c’è più”.

Ma il mondo globalizzato verso il quale ci si ostina a spingere la società non lascia spazio alla diversità rappresentata dalla piccola imprenditoria in cui vive la caratteristicità del Paese del quale è espressione. La diversità, che rende ogni luogo unico e bello nella sua unicità, non viene preservata come ricchezza, ma anzi sacrificata a favore di logiche economiche dalle quali il piccolo imprenditore ed il comune cittadino non traggono alcun beneficio, sicché il prezzo di questo processo tuttora in atto viene pagato ancora una volta dalla collettività.

In un articolo pubblicato da Investing.com leggiamo di alcuni locali storici della città che hanno ceduto il passo dinanzi a questo processo di globalizzazione incontrollata. Viene citato il bar gelateria Da Nini di Canneregio, che dopo 46 anni di attività alla fine ha chiuso nel 2018.

Stessa sorte è toccata al ristorante Burchielle di piazzale Roma, che però pur essendo passato in mano cinese continua ad avere cuochi italiani. L’ex proprietario dello storico ristorante ha spiegato che “il gioco non valeva più la candela” sia per via dell’affitto sempre più caro che per il calo delle entrate.

Il fotografo di Ponte dei Giocattoli, dopo ben 70 anni di attività, ha abbassato definitivamente la saracinesca e il titolare ha spiegato che di affitto doveva pagare qualcosa come 7.000 euro al mese.

Tra gli imprenditori che hanno preferito lasciar perdere troviamo anche Marco Francalli, ex titolare di un negozio storico che vendeva vetri di Murano vicino a piazza San Marco.

“Ero stanco, anche perché non andava tanto bene il commercio a causa di tutti quei negozi di souvenir che ormai mi avevano circondato” ha spiegato l’imprenditore “prima di cedere ai cinesi il negozio è stato in vendita per più di due anni, ma nessuno aveva mai chiesto informazioni. Poi si è fatto avanti un imprenditore cinese e il locale, che nel frattempo si era svalutato, l’ho praticamente regalato. Purtroppo è così: la città sta diventando un bazar, un souk“.

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