Covid-19 le cure proibite: dall’uso di vitamina C e vitamina D fino all’idrossiclorochina, tutti i trattamenti conosciuti

Esistono già oggi diverse cure che si potrebbero utilizzare nel trattamento del Covid-19, cure che sono risultate efficaci e a basso rischio, ma nonostante questo si continua a puntare tutto su un vaccino sperimentale del quale non si conoscono gli effetti nel lungo termine, si sa poco circa la sua efficacia nel prevenire l’infezione, e soprattutto stando a quanto emerso fino ad oggi ha circa un 4% di effetti collaterali gravi, come ha spiegato anche il professor Bellavite, recentemente ospite su La7.

Ma quali sono queste cure efficaci, e perché se ne parla poco e niente? Per quale motivo non sono state inserite nei protocolli di cura del ministero della Salute che invece ancora oggi continuano ad indicare l’approccio basato su paracetamolo e vigile attesa? Fino ad oggi abbiamo avuto modo di conoscere almeno una decina di trattamenti efficaci contro il Covid, vediamo in breve quali sono e come sono ‘spariti’.

In questo video vengono analizzati uno per uno tutti i farmaci e le terapie risultati efficaci nel contrastare e curare il Covid-19.

Vitamina C

A metà febbraio del 2020 dalla Cina fanno sapere di aver dato inizio ad uno studio sull’infusione di dosi massicce di vitamina C per la cura dei pazienti malati di Covid. Dalla Cina l’idea arriva negli Stati Uniti dove, stando a quanto riportato dal New York Post di lì a poco, gli ospedali di New York iniziano a curare i pazienti con la vitamina C.

Il dottor Andrew G. Weber, pneumologo specializzato in medicina di emergenza presso due ospedali di Long Island ha affermato che ai pazienti in terapia intensiva con coronavirus vengono somministrati immediatamente 1.500 milligrammi di vitamina C per endovena.

Ed è sempre il dottor Weber a dichiarare che “i pazienti che hanno ricevuto la vitamina C sono migliorati significativamente rispetto ai pazienti che non l’hanno ricevuta” e ancora “aiuta in modo determinante, ma ciò non viene messo in evidenza in quanto non è una ‘sexy drug'” vale a dire un farmaco attrattivo dal punto di vista economico.

A dispetto delle evidenze scientifiche e degli ottimi risultati ottenuti in Italia il messaggio trasmesso dai media è completamente diverso. Su Open Online si legge “Coronavirus. La sperimentazione della vitamina C sui malati funziona? Non proprio”, ma sulla stessa linea si posizionano anche altre testate tra cui Repubblica, che addita la notizia come una bufala, così pure Il fatto alimentare e altri.

Il massiccio attacco mediatico non c’è stato solo in Italia ma anche in altri Paesi, così in poco tempo della vitamina C come coadiuvante nella cura del Covid non si è più sentito parlare.

Vitamina D

Più o meno lo stesso copione anche per la vitamina D, di cui in Italia si è iniziato a parlare soprattutto da settembre 2020. Alcune testate avevano riportato la notizia che l’assunzione di vitamina D riduce il rischio di complicanze legate al Covid-19, affermazione supportata dai risultati di studi scientifici.

Nello specifico viene citato uno studio svolto dall’università di Boston, secondo il quale una quantità sufficiente di vitamina D può ridurre il rischio di contrarre il coronavirus del 54%. Vi sono però anche altri studi che confermano l’efficacia della vitamina D, uno viene citato da Libero che titola: “Coronavirus, ‘morti ridotti del 60%’ ecco cosa ‘ammazza’ il Covid, una scoperta che può fare la storia”.

Ad affermare l’efficacia della vitamina D era in questo caso una ricerca pubblicata dal Social Science Research Network, grazie al quale è stata valutata l’efficacia del calcifediol, una vitamina D3, su più di 550 persone che sono state ricoverate nei reparti Covid dell’Hospital del Mar a Barcellona, in Spagna.

Ed è sempre lo stesso studio a rilevare che i malati di Covid-19 trattati con dosi di vitamina D avevano l’80% in meno di probabilità di richiedere un trattamento in terapia intensiva.

In Italia questi risultati vengono poi confermati da una ricerca condotta dall’università di Padova che parla infatti di decessi e ricoveri in terapia intensiva calati dell’80% grazie alla vitamina D. Su Il Giornale si legge che “centinaia di studi mondiali dimostrano come l’uso della vitamina D migliori i pazienti affetti da Covid-19 ma il ministero della Salute nicchia”.

Più che ‘nicchiare’ il ministero guidato da Roberto Speranza osteggia apertamente l’utilizzo della vitamina D, infatti sul sito del ministero l’affermazione secondo cui la vitamina D protegge dall’infezione da nuovo Coronavirus viene inserita tra le fake news. A dispetto del fatto che vi sono degli studi che dimostrano il contrario infatti il ministero afferma che non vi sono attualmente evidenze scientifiche.

Nel frattempo l’Aifa coglie l’occasione per ricordare che i medicinali a base di vitamina D possono essere acquistati solo dietro prescrizione medica, e provvede dare un bel giro di vite sulle prescrizioni, con lo stop alle ricette rosse per la vitamina-farmaco a chi non ha precise malattie.

E mentre ai comuni cittadini il ministero della Salute dice che la vitamina D non funziona, e che non vi sono evidenze scientifiche, mentre l’Aifa mette i bastoni tra le ruote a chi tenta di comprare il farmaco vitamina D con il giro di vite sulle ricette, ai militari viene caldamente consigliato proprio di assumere vitamina C e vitamina D contor il Covid-19.

Difficile da credere? Eppure basta dare un’occhiata alla circolare indirizzata al primo reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania” che ha come oggetto: misure di prevenzione e contenimento da infezione Covid-19. Ed ecco cosa si suggerisce ai reparti militarei: “è consigliabile l’assunzione giornaliera di VITAMINA C” e “è consigliabile l’assunzione giornaliera di VITAMINA D” e viene poi specificato che “tale vitamina mitiga il processo infiammatorio alla base della malattia da COVID-19”. Ma non era una fake news?

Plasma iperimmune

Della terapia a base di plasma iperimmune si inizia a parlare in Italia nell’aprile 2020, grazie al lavoro svolto in particolare dal professor De Donno dell’ospedale di Mantova ma non solo.

Su Affaritaliani l’argomento viene toccato con un articolo intitolato: “Coronavirus, la cura c’è ma non se ne parla. Da Pavia e Mantova la svolta” e poi “Ospedali di Pavia e Mantova che non hanno morti da un mese. Curano con la sieroterapia, le trasfusioni di plasma dei guariti. Sintomi eliminati in 2 – 48 ore”.

Sempre su Affaritaliani viene pubblicato un video in cui a parlare della terapia con il plasma iperimmune è proprio il dottor De Donno. In quel video viene spiegato che la terapia è stata utilizzata per il trattamento di 22 pazienti in condizioni gravi e che si è avuto per tutti un netto miglioramento delle condizioni di salute e per alcuni si parla già di guarigione.

“I miglioramenti sono immediati” spiega quindi il professor De Donno “e quando dico immediati dico nel giro di poche ore. Pazienti che normalmente noi facevamo fatica a svezzare dalla ventilazione meccanica, dopo aver infuso il plasma noi riusciamo a svezzarli. Pazienti che erano intubati riusciamo a estubarli. La durata media del ricovero nella nostra terapia intensiva che normalmente era di 16 giorni adesso si è ridotta a 5 – 6 giorni”.

“È una terapia che è un peccato non utilizzare, ma quando dico peccato intendo dire un peccato mortale e non un peccato veniale” dice ancora De Donno. Il servizio di Affaritaliani diventa virale e così arriva anche sui canali mainstream, dal Tg di Mentana che fa un servizio sulla plasmaterapia, a Porta a Porta e Stasera Italia.

Anche all’estero intanto testano la terapia a base di plasma iperimmune confermando quanto affermato da De Donno e dagli altri esperti italiani. Su Nature viene pubblicato un articolo intitolato “il siero dei convalescenti (plasma iperimmune ndr) si presenta come prima scelta nella cura del coronavirus”. Anche dalla Cina arrivano notizie incoraggianti, a conferma che la terapia funziona.

In un Paese normale probabilmente De Donno sarebbe stato incoraggiato a proseguire sulla strada del trattamento del Covid attraverso il plasma iperimmune, ma non in Italia, dove invece il professore dell’ospedale di Mantova riceve la visita dei Nas.

Quello che accade dopo è un copione già visto e che continueremo a vedere per tutte le altre cure contro il Covid. I media mainstream iniziano a definire fake news, la notizia dell’efficacia della cura con il plasma iperimmune.

Roberto Burioni la definisce una ‘cura magica proposta dalla rete’ e sostiene che si tratta di una cura interessante ma solo per casi di emergenza. Il motivo per cui sarebbe una cura che non si può usare ad ampio spettro? “Perché i guariti non è che possiamo svenarli, salassarli all’infinito” come se i guariti fossero in numero estremamente limitato rispetto ai malati, come se il numero dei guariti non crescesse col passare del tempo in modo peraltro fortunatamente molto più rapido rispetto al numero dei morti.

Secondo Ilaria Capua invece il problema è che “si tratta di un metodo antichissimo, una pratica medica in larghissima parte abbandonata”, e ci sarebbe da aggiungere evidentemente anche abbondantemente collaudata, a differenza di altre soluzioni come i vaccini che ancora oggi ci propongono come panacea e che sono di fatto un salto nel buio sotto numerosi aspetti.

Per la Capua usare la terapia al plasma non va bene, ma non mette in dubbio la sua efficacia, mette solo in evidenza il fatto che “è un po’ come una trasfusione. Si tratta di una pratica che ha dei rischi” senza peraltro specificare quali e che incidenza abbiano. Qui insomma la valutazione rischi benefici dà un risultato immediato che porta ad escludere l’utilizzo del plasma dei guariti, mentre coi vaccini, come vediamo ancora oggi, chi ritiene sia giusto fare una valutazione rischi – benefici viene additato come no-vax.

Lattoferrina

Il caso della lattoferrina nasce dopo che all’Università di Tor Vergata e La Sapienza di Roma alcuni ricercatori hanno scoperto che questa proteina che si trova anche nel latte materno, è in grado di ostacolare il progresso dell’infezione da Covid-19.

A proposito dell’efficacia della lattoferrina nel trattamento dei casi di Covid-19 viene spiegato che dopo la somministrazione di questa proteina che è conosciuta come un potente antivirale e già approfonditamente studiata per il possibile trattamento di altre patologie, si otteneva nel giro di 10 giorni la scomparsa dei sintomi, e dopo 10-12 giorni la guarigione del paziente finanche la negativizzazione del tampone.

A sostegno dell’efficacia della lattoferrina nel bloccare le fasi precoci dell’infezione da Covid ci sono anche degli studi di laboratorio. La professoressa di microbiologia dell’Università La Sapienza, Piera Valenti, spiega che gli studi hanno dimostrato che “la lattoferrina blocca le fasi precoci delle infezioni da Sars Cov-2 e a detta di colleghi dell’Università del Michigan è attiva anche quando la cellula è già infetta”.

Ma anche questa strada alla fine non verrà percorsa. In Italia della lattoferrina non si sente parlare più dopo il servizio mandato in onda dal Tg Regionale in cui è stata intervistata anche la professoressa Valenti.

Cortisonici

Nell’aprile del 2020, quindi nel pieno della prima ondata, il ministro della Salute, Roberto Speranza, riceve una lettera firmata da una trentina di medici del settore con la quale viene messo al corrente del fatto che utilizzando i cortisonici in un certo modo è possibile contrastare il processo infiammatorio della prima fase della malattia.

I medici che scrivono a Speranza gli chiedono quindi di “promuovere l’adozione tempestiva e precoce di una semplice terapia antinfiammatoria efficace come quella cortisonica”. Nella lettera viene anche specificato in merito al trattamento con cortisonici che si tratterebbe di una terapia che “potrà essere svolta in ambito domiciliare”.

Sempre nella stessa lettera leggiamo: “i cortisonici rappresentano i farmaci antinfiammatori che, quando utilizzati, stanno dando ottimi risultati anche nella Covid-19 in base ai dati rilevati nei pazienti trattati e alle evidenze che Le alleghiamo e che, se lo riterrà opportuno, le illustreremo più in dettaglio”, tuttavia la lettera non viene degnata di alcuna attenzione, né arriva alcuna risposta dal ministero.

Un paio di mesi dopo giungono notizie dall’estero circa l’efficacia della terapia con cortisonici nel trattamento del Covid-19. Il 17 giugno 2020 su Repubblica si legge che “l’Organizzazione Mondiale della Sanità accoglie ‘con favore’ i risultati dei primi studi clinici condotti nel Regno Unito sul desametasone un corticosteroide che si è dimostrato salvavita per i pazienti con forme gravi di Covid-19″.

Quercetina

Siamo a settembre 2020 e il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) scopre che la “quercetina funge da inibitore specifico per il virus responsabile del Covid-19, mostrando un effetto destabilizzante sulla 3CLpro, una delle proteine fondamentali per la replicazione del virus. Lo studio è pubblicato sull’international journal of biological macromolecules”.

Qualche giornale inizia a riportare la notizia, citando gli studi scientifici che dimostrano l’efficacia della Quercetina, ma dal ministero della Salute non arriva nessun segnale, almeno per qualche mese, dopodiché viene pubblicata una nota nella quale afferma: “non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato.

Adenosina

Quanto all’adenosina, si tratta di una sostanza prodotta dal nostro stesso organismo che ha il compito di bloccare le infiammazioni acute e induce la riparazione dei danni ai tessuti. Sono due dottori del Grande Ospedale metropolitano di Reggio Calabria Sebastiano Macheda e Pierpaolo Correale, nel giugno 2020, a ideare un sistema per curare i malati di Covid facendo arrivare l’adenosina nei polmoni tramite una tecnica di aerosol.

Una terapia che funziona? Pare di sì infatti “i risultati si sono visti sin dalle prime ore dalla somministrazione del trattamento: miglioramento delle condizioni generali dei pazienti, del livello di ossigenazione risalito a valori normali in 120 ore. Tutto riscontrato e repertato radiologicamente. Ma ciò che più ha colpito, inaspettatamente, è stata la totale riduzione della carica virale, potremmo dire scomparsa” è quanto spiega il dottor Correale.

Si inizia a parlare di una tecnica innovativa, alla quale però viene dato spazio solo nei telegiornali di tv locali, si parla di ottimi risultati e viene anche riferito che “nelle ultime settimane a Reggio la mortalità da Coronavirus è crollata”. I numeri incoraggianti ci dicono che 13 dei 14 pazienti gravi sottoposti a questa cura si sono totalmente ripresi.

La cura sperimentale con adenosina del Gom però non arriverà mai alla Fase 3 della sperimentazione a causa dello stop che arriva direttamente dall’Aifa. Ma come mai l’Aifa dice no all’adenosina? Dall’ente regolatore viene spiegato che il motivo è “un rapporto rischio/beneficio non definibile; si ritiene che a fronte dell’attuale disponibilità di alcune opzioni terapeutiche di provata efficacia lo studio proposto non possa essere autorizzato”.

L’Aifa quindi risponde che in sostanza esistono già delle cure contro il Covid-19 di provata efficacia, ma non si riesce proprio a capire a quali faccia riferimento. Come a dire insomma che ci sono già così tante cure per il Covid che quella a base di adenosina non serve nemmeno. Una spiegazione che lo stesso dottor Macheda definisce incomprensibile.

Ivermectina

L’ivermectina invece è un noto antiparassitario che si usa in tutto il mondo da oltre 40 anni, e durante la pandemia di Covid-19 sono alcuni medici australiani a scoprire che può essere utilizzata nei pazienti con il Coronavirus in quanto efficace nell’inibire la replicazione del virus Sars-Cov-2.

La notizia arriva anche in Italia “Coronavirus: antiparassitario ivermectina in vitro lo uccide in 48 ore” titola  Notizie.it sezione Salute e Benessere, dove leggiamo poi che l’antiparassitario ivermectina sperimentato in vitro in sole 48 ore è stato in grado di ridurre di 5 mila volte l’infezione. Il che vale a dire che è riuscito ad annientarlo mostrando già una significativa riduzione dopo un giorno solo”.

L’efficacia del trattamento del Covid con Ivermectina viene confermata anche da uno studio britannico, secondo il quale con questo farmaco si ottengono “tassi di sopravvivenza superiori all’83%” e tuttavia dal ministero della Salute non arriva alcun segnale incoraggiante.

Tanto che alcuni medici esprimono il proprio dissenso, con il direttore del Centro di Malattie Tropicali dell’Ospedale di Negrar nel Veronese che dichiara: “abbiamo un farmaco che può salvare delle vite ma in Italia lo usiamo per la cura della pelle” e spiega anche che “l’ivermectina è riconosciuta dall’Ema ed è utilizzata da tempo in Usa e in molti Paesi europei” anche se non per il Covid-19.

In Rep. Ceca però il ministero decide di autorizzarne l’utilizzo temporaneamente per curare i malati di Covid-19 con risultati sorprendenti. La curva dei decessi inizia letteralmente a precipitare subito dopo il via libera all’utilizzo del farmaco, vale a dire verso la fine di marzo 2021.

Eppure dall’Ema arrivano raccomandazioni che vanno nella direzione opposta. Sul sito dell’Aifa si legge infatti che “EMA raccomanda di non utilizzare ivermectina per la prevenzione o il trattamento di Covid-19 al di fuori degli studi clinici”.

Idrossiclorochina

Il caso dell’idrossiclorochina è probabilmente il più clamoroso tra tutti quelli che abbiamo visto finora. Dell’efficacia del trattamento attraverso l’utilizzo di questo farmaco così diffuso ed economico se ne parlò in particolare diversi mesi fa, quando saltò fuori la vicenda dello studio scientifico poi ritirato dal Lancet che screditava l’idrossicolorochina come alleato nel trattamento del Covid-19.

Nel video di Contro Tv che vi abbiamo proposto viene ricordato anzitutto che la clorochina è un farmaco che viene utilizzato da oltre 70 anni per combattere la malaria. Un farmaco più che collaudato insomma, visto che ancora oggi in diverse parti del mondo esiste ancora la malaria, eppure da quando è venuto fuori che l’idrossiclorochina può essere utilizzata anche per curare i malati di Covid qualcosa è cambiato.

A proporre per primo l’uso dell’idrossiclorochina contro il Covid in Europa è il professor Didier Raoult, un virologo con un H index persino più alto di quello di Anthony Fauci. Dalla Francia la notizia arriva in Italia già a marzo 2020 “Coronavirus, il farmaco contro la malaria funziona in 3 casi su 4” titola Repubblica.

Sempre su Repubblica viene spiegato che il 75% dei pazienti trattati con farmaci a base di idrossiclorochina “dopo sei giorni di trattamento aveva una carica virale negativa” cioè non aveva più il virus attivo nel proprio organismo.

Ed è lo stesso Raoult a pubblicare poco dopo una studio retrospettivo sull’efficacia del trattamento a base di idrossiclorochina svolto su 1061 casi. In tutto 973 di questi sono guariti completamente nel giro di 10 giorni, per una percentuale del 91,7% dei pazienti.

Le buone notizie vengono confermate anche da altri studi, uno dei quali a cura dell’Università del Michigan, che sottolinea l’importanza dell’utilizzo dell’idrossiclorochina nel trattamento precoce dei sintomi da Covid-19.

Lo stesso presidente Usa Donald Trump conferma in conferenza stampa l’efficacia del trattamento, e anche in Italia si inizia ad utilizzare l’idrossiclorochina sui pazienti, trattamento che era stato inserito anche nei protocolli regionali dell’Asl come confermato dal dottor Luigi Cavanna in un’intervista dove sottolinea che in base alla sua esperienza “funziona eccome”.

Di lì a poco, dopo ulteriori riscontri estremamente positivi registrati in Italia e nel resto del mondo, inizia la solita campagna di disinformazione con cui viene screditata l’efficacia del trattamento a base di idrossiclorochina.

Prima la dichiarazione di Anthony Fauci che smentisce quanto affermato dallo stesso Donald Trump, definendo “prove aneddotiche” tutti i riscontri clinici e gli studi scientifici fatti fino a quel momento, poi lo studio Recovery, in cui si afferma che il farmaco risulta inefficace, ma la sperimentazione invece che come trattamento precoce viene fatta su pazienti in uno stato avanzato della malattia, quando l’idrossiclorochina come risaputo non è il trattamento più indicato.

L’evento più clamoroso però è lo studio del Lancet poi ritirato in quanto, si scoprirà in seguito, basato su dati completamente inventati. Prima che la totale inattendibilità di questo studio venisse comprovata l’Fda americana ha vietato l’uso dell’idrossiclorochina nel trattamento del Covid, mentre l’Ema parlava addirittura di rischio di suicidio per chi assume il farmaco, quindi anche l’Aifa ha sospeso le autorizzazioni per l’utilizzo di idrossiclorochina nel trattamento del Covid, e lo stesso accade pure in Francia.

Quando lo scandalo del Lancet viene alla luce, e viene quindi dimostrata la totale inattendibilità dello studio ‘bufala’ pubblicato, e poi ritirato, dalla prestigiosa rivista scientifica, non succede di fatto nulla. Le posizioni di Fda, Ema, Aifa e degli altri enti regolatori restano le stesse e l’idrossiclorochina rimane un farmaco ‘bandito’.

In Italia in particolare dopo diverse iniziative intraprese dai medici per tornare a usare l’idrossiclorochina si arriva nel dicembre 2020 alla sospensione delle disposizioni dell’Aifa del 22 luglio 2020, ma nonostante questo il farmaco non viene inserito nei protocolli di cura e i medici che lo prescriveranno ai propri pazienti lo farando assumendosi tutte le responsabilità di non aver seguito le direttive del ministero che sono e restano quelle di tachipirina e vigile attesa fino al ricovero o alla guarigione spontanea del paziente.

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