Chi ha paura del vaccino ha ragione? Cosa succede coi vaccini, dal terzo richiamo per Pfizer all’addio all’immunità di gregge

Mentre sull’andamento della campagna vaccinale e sulla durata della protezione offerta dai vaccini anti-Covid-19 arrivano notizie non proprio rassicuranti, molti Italiani sono alle prese con un interrogativo che continua a trovare risposte che non si può fare a meno di definire evasive. Ma proviamo ad andare con ordine.

I vaccini unica soluzione contro la pandemia di Covid-19

Si sente parlare molto di quanto sia importante andare avanti con la campagna vaccinale, aumentare il ritmo delle vaccinazioni su tutto il territorio nazionale, sensibilizzare l’opinione pubblica affinché i cittadini non esitino a ‘fare la cosa giusta’ sottoponendosi al vaccino per il bene della collettività.

Molto meno si sente parlare invece di quanto sia importante avere un sistema sanitario in grado di offrire un numero di posti letto, specie nei reparti di terapia intensiva, adeguato alle attuali esigenze in considerazione del fatto che siamo ufficialmente in stato di emergenza sanitaria da quasi un anno e mezzo.

Molto poco si parla anche dei farmaci efficaci nel trattamento del Covid-19 e di quali siano le terapie più indicate. Per non parlare del fatto che il ministero della Salute ha preso una posizione apertamente contraria all’iniziativa dei medici che intendono curare i pazienti senza necessariamente seguire il fallimentare protocollo che consiste in paracetamolo e vigile attesa.

I richiami per i vaccinati già in autunno l’allarme dei ricercatori

Sappiamo che la copertura offerta dai vaccini anti-Covid-19 può durare intorno ai 9 mesi/1 anno, non di più, semmai di meno. Infatti da parte dei ricercatori arriva già qualche segnale di appresione in quanto già in autunno potrebbe essere necessario provvedere a somministrare i richiami per coloro che si sono vaccinati per primi.

Il vaccino, come abbiamo più volte sottolineato, non impedisce al vaccinato di contrarre il virus, né di trasmetterlo agli altri, la difesa che offre non è altro se non quella di impedire, almeno per una certa percentuale dei casi, di contrarre i sintomi più gravi della malattia riducendo drasticamente il rischio clinico rappresentato dal Covid-19.

Questa protezione tuttavia, ma si sapeva già dall’inizio, ha vita breve, e potrebbe esaurirsi nel giro di 9/12 mesi dopo la somministrazione. A tal proposito su Il Sole 24 Ore leggiamo che “l’Italia potrebbe vivere una campagna vaccinale senza soluzione di continuità. Se tra settembre e ottobre prossimi si raggiungerà l’agognata immunità di gregge con almeno il 70% degli italiani vaccinati (42 milioni) già da novembre potrebbero partire i richiami del vaccino per chi si è immunizzato per primo”.

In autunno quindi sarebbe nuovamente il turno di sanitari, persone di età superiore a 80 anni e soggetti fragili. Nel frattempo però dovrebbe essere già stata raggiunta l’immunità di gregge, o no?

L’immunità di gregge è solo un miraggio

Della questione immunità di gregge ha parlato nei giorni scorsi Anthony Fauci, il punto di riferimento per la pandemia Covid-19 negli Usa. L’esperto ha definito quello dell’immunità di gregge un concetto “elusivo” che non ricopre un ruolo utile nel registrare miglioramenti e può anzi essere perfino uno strumento dannoso.

Secondo alcuni scienziati Usa la rapida evoluzione del Coronavirus rende impossibile il raggiungimento dell’immunità di gregge. Far credere all’opinione pubblica che sia un traguardo raggiungibile potrebbe essere quindi controproducente perché ad un certo punto i cittadini saranno costretti a guardare in faccia la realtà.

Cosa succederà allora quando finalmente si raggiungerà il traguardo del 70% della popolazione vaccinata? Il ritmo delle vaccinazioni non potrà comunque calare, spiegano su Money.it “anche perché il virus continua ad evolversi riducendo, seppur in minima parte, l’efficacia delle singole dosi. E molte persone avranno bisogno dei richiami”.

Lo scorso 15 marzo infatti è stato lo stesso Fauci ad affermare in modo chiaro che “non dovremmo fissarci su questo numero elusivo che è l’immunità di gregge” ma invece “preoccuparci di vaccinare più persone il più rapidamente possibile perché l’immunità di gregge è in qualche modo un numero elusivo”.

Prof. Bellavite: “ha ragione chi ha paura del vaccino”

Mentre il CEO di Pfizer rilascia una dichiarazione ufficiale alla CNBC in cui afferma senza giri di parole che “ci sarà forse bisogno di una terza dose, tra 6 e 12 mesi” e dagli USA gli scienziati avvertono sull’irraggiungibilità dell’immunità di gregge attraverso i vaccini, in Italia il mantra non cambia: l’unica speranza è il vaccino.

Non tutti però sono disposti a vaccinarsi, in Italia ad esempio per far vaccinare gli operatori sanitari si è cercato in qualche modo di imporlo, anche minacciando la sospensione dal lavoro e ricorrendo a diversi deterrenti. Libera scelta fino a un certo punto insomma, e tuttavia per vaccinarsi si deve firmare il consenso informato.

C’è un certo numero di cittadini insomma che di questi vaccini non si fida. Sarà perché si tratta di vaccini sperimentali, e sarà un po’ anche perché il Covid-19 è una malattia pericolosa soprattutto per le categorie fragili, mentre chi gode di buona salute, pratica attività sportiva e si alimenta correttamente ha ben poche probabilità di sviluppare sintomi gravi. Allora perché rischiare con un vaccino sperimentale?

Se ne è parlato proprio la settimana scorsa a Di Martedì su La7, dove Giovanni Floris ha posto la domanda direttamente al professor Paolo Bellavite, ematologo dell’Università di Verona, il quale alla domanda del conduttore ha risposto in modo evidentemente inaspettato.

“Alcuni Italiani hanno dubbi sui vaccini e temono che facciano male, hanno ragione?” domanda Floris al suo ospite. “La paura certamente c’è e credo che abbiano ragione in un certo senso… Il punto è che non abbiamo molte certezze su quella che è la vera relazione tra un beneficio che è molto evidente, quello di avere una certa protezione, e il rischio”.

I casi di reazioni avverse al vaccino non sono 40 su 100.000 bensì 4.000 su 100.000 cioè il 4%

Come per qualsiasi farmaco, a maggior ragione quando si tratta di un farmaco sperimentale, è necessario fare una valutazione dei rischi connessi all’assunzione e dei benefici che essa offre. Un concetto semplice in fin dei conti, ma per quale motivo questo principio di buon senso non dovrebbe essere applicato nel caso del vaccino anti-Covid?

“Il discorso beneficio-rischio di cui si parla tanto viene affrontato a mio parere in maniera piuttosto superficiale” afferma infatti il professor Bellavite, che poi spiega “dal punto di vista dei rischi noi dobbiamo sapere che siamo ancora in una vera e propria sperimentazione. Le sperimentazioni di Fase 2 e Fase 3 finiranno nel 2022. L’esperimentazione di Fase 4, cioè quella che si dice: ‘post marketing’ è in piena attività, però purtroppo viene fatta anche male”.

E mentre in studio cala il gelo con ospiti ammutoliti e un Floris in evidente imbarazzo, il professore spiega meglio “i dati che ci vengono riferiti per quanto riguarda l’incidenza degli effetti avversi non sono molto affidabili perché sono basati quasi tutti sulla cosiddetta sorveglianza passiva, ovvero che viene segnalato un caso di reazioni avverse soltanto se viene in qualche modo preso in mano da qualcuno che si occupa poi di segnalarlo. Quindi questo noi sappiamo per certo che è un modo inefficace”.

A questo punto il conduttore cerca una via d’uscita ma il professore si offre di fare un esempio pratico. “Nell’ultimo rapporto dell’Aifa si parla di 40 casi gravi di reazioni avverse ogni 100.000 dosi iniettate. In realtà negli studi di sorveglianza attiva che sono già stati fatti in fase sperimentale e stanno uscendo anche adesso in fase osservazionale, si parla di qualcosa come il 4% di reazioni gravi dopo la dose di vaccino“.

Qui Giovanni Floris capisce che urge un diversivo e prova a fare una domanda a bruciapelo che però non impedisce al professore di completare il quadro. “Il 4% significa 4.000 su 100.000, quindi non è 40 su 100.000 è 4.000 su 100.000. Questo si deve sapere”.

Floris riesce quindi a porre una domanda secca: “consiglierebbe il vaccino a un 80enne o a un 40enne?” “A un ottantenne direi di sì, mia mamma che ne ha 94 si è vaccinata, certamente sono persone a rischio. Comunque il rischio è anche più grande per l’aspetto vaccinale, e questo è anche molto importante da sapere. Purtroppo i casi più gravi delle reazioni al vaccino sono nelle persone più anziane e con altre patologie”.

A questo punto Floris non muore dalla voglia di sentire dal professor Bellavite se a un quarantenne invece consiglierebbe il vaccino, così prova a dirottare la seconda metà della domanda su un altro ospite, ma la lentezza del collegamento gioca in suo sfavore e il professore risponde anche a quella.

“Per quanto riguarda le persone sotto i 50 anni dipende molto da che mestiere fanno e dipende anche se sono portatori di altre patologie. Direi che la cosa più importante è che si possa avere una valutazione libera da parte del medico curante senza pressioni e senza condizionamenti, affinché ogni caso sia valutato singolarmente”.

Non esattamente la migliore pubblicità all’obbligo vaccinale, e di sicuro un parere scientifico ben lontano dal supportare la decisione politica di imporre obbligo vaccinale in ambito sanitario e pressioni psicologiche e non solo su tutto il resto della popolazione.

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