Israele: vaccini dimostrano scarsa efficacia ma l’ivermectina funziona. Passo indietro obbligato sul Green pass

L’efficacia del vaccino sia nel prevenire il contagio e quindi la trasmissione del virus, sia nel contenere l’infezione e risparmiare al paziente vaccinato la forma grave della malattia, si ta mostrando in alcuni Paesi che sono più avanti con la campagna vaccinale decisamente al di sotto delle aspettative.

Lo Stato di Israele è uno dei Paesi con la più alta percentuale al mondo di abitanti interamente vaccinati, ma nonostante ciò si ritrova ad affrontare specie in queste ultime settimane un aumento preoccupante del numero di persone positive ma soprattutto un incremento dei ricoveri.

Il dato più eclatante è quello relativo alla percentuale di ricoverati per Covid anche in condizioni gravi o critiche, nonostante siano completamente vaccinati. “Il problema è che il numero di contagi, ospedalizzati e decessi, sta tornando a salire e in Israele questo avviene nella stessa proporzione tra vaccinati e non vaccinati, e questo riguarda sia i contagi che le ospedalizzazioni” si legge infatti su Affari Italiani.

Il governo israeliano costretto a rivedere il Green pass

Quanto sopra brevemente descritto sta accadendo in Israele e almeno per il momento non riguarda l’Italia da vicino. È facile immaginare che dovremo aspettarci una situazione analoga, ma per il momento i numeri diffusi dalle nostre autorità non sono in linea con quelli che arrivano da Israele.

Ma proprio come in Italia e in altri Paesi d’Europa come ad esempio la Francia, anche Israele ha imboccato la strada del Green pass. Il lasciapassare sanitario era stato introdotto in Israele già nel mese di aprile, ma poi già dal 3 giugno il governo si è trovato a dover fare un passo indietro abolendolo in un primo momento, per poi reintrodurlo di recente ma ridimensionandolo notevolmente.

In Israele infatti il pass verde è obbligatorio, stando a quanto riportato sempre da Affari Italiani, solo per accedere ad eventi al chiuso con oltre 100 partecipanti.

Niente green pass per andare al ristorante, per lavorare in azienda o per iscriversi in palestra, ed è inevitabile che sia così dal momento che non risultano esserci sostanziali differenze dal punto di vista della trasmissione del contagio e persino della malattia, tra un vaccinato e un non vaccinato.

È stato lo stesso governo a dover ammettere che l’efficacia dei trattamenti di Moderna e Pfizer si riduce notevolmente già dopo 4 – 5 mesi, e proprio per questo motivo si sta iniziando a partire da questa settimana a somministrare la terza dose Pfizer.

Stando a quanto riportato oggi da IlFattoQuotidiano però, Israele avrebbe deciso di estendere nuovamente l’obbligo del Green pass proprio a partire dal 10 agosto, fino a comprendere anche alcune attività quali bar e ristoranti.

Il reportage del Jerusalem Post sulla cura del Covid con ivermectina

I media israeliani e non stanno dando un certo risalto al dato sulle ospedalizzazioni e sui decessi Covid in Israele, visto che sta emergendo come non vi sia sostanziale differenza tra vaccinati e non vaccinati in termini di sviluppo della malattia.

È il caso del Jerusalem Post, che il 3 agosto ha pubblicato un reportage dal titolo “Scienziato israeliano afferma che Covid-19 potrebbe essere trattato per meno di 1 dollaro al giorno”. Si tratta di un’analisi dei dati emersi da diversi studi effettuati in Israele sulla base dei quali si può affermare che la malattia può essere curata con l’Ivermectina, un farmaco dal costo irrisorio già conosciuto e utilizzato da anni.

Nel reportage del Jerusalem Post viene anche evidenziato che il farmaco, il cui largo impiego ha riguardato nel passato prevalentemente infezioni parassitarie, continua ad essere ignorato sia dall’Oms che dalle autorità sanitarie mentre si continua a prediligere la strada del vaccino.

L’efficacia dell’ivermectina sia come profilassi che come cura per la Covid-19 è stata dimostrata ad oggi da dozzine di studi scientifici svolti in diversi Paesi del mondo. L’ivermectina è un farmaco largamente utilizzato ovunque da oltre vent’anni, soprattutto nei Paesi tropicali come antivirale su un miliardo di persone.

Si tratta di un farmaco sicuro e senza particolari controindicazioni che in Italia è ampiamente utilizzato nel trattamento della Covid-19 in particolare dai medici volontari dell’associazione Ippocrate.org nell’ambito delle cure domiciliari.

Un reportage, quello del Jerusalem Post, che illustra una situazione che merita senza dubbio di essere approfondita. Da notare tra l’altro che uno degli autori nei giorni scorsi è stato bloccato da Twitter per un post in cui non faceva altro che pubblicare il link agli studi sull’ivermectina. Il reportage tradotto da AffariItaliani si può trovare a questo link.

Cosa sappiamo sull’ivermectina

Doveroso a questo punto cercare di capire bene che cos’è l’ivermectina e in che modo il suo utilizzo può risultare fondamentale nel trattamento della Covid-19.

Si tratta anzitutto di un antiparassitario che si è sempre usato in particolare per debellare scabbia e pidocchi e che, elemento tutt’altro che irrilevante, ha un costo irrisorio. Sarebbe proprio grazie a questo farmaco che si potrebbero trattare i pazienti con la Covid-19 al costo di meno di un dollaro al giorno.

Infatti l’ivermectina, proprio per il suo basso costo, è utilizzato per combattere i parassiti in molti Paesi poveri, ed ora gli studi che ne hanno dimostrato l’efficacia nel trattamento del Covid-19 lo hanno portato sotto i riflettori.

Uno degli studi sull’ivermectina è quello dello Sheba Medical Center di Tel Hashomer cui ha preso parte anche il professor Eli Shwartz, fondatore del Center for Travel Medicine and Tropical Disease at Sheba.

La ricerca ha avuto il via il 15 maggio 2021 e si prefiggeva lo scopo di valutare l’efficacia dell’ivermectina nel trattamento della Covid-19, in particolare rispetto al grado di efficacia nel ridurre la diffusione virale tra i pazienti non ospedalizzati con la malattia in stato lieve o moderato.

Sono stati inseriti nello studio 89 volontari di età superiore ai 18 anni che hanno sviluppato la malattia e hanno soggiornato nei Covid hotel gestiti dallo stato israeliano. Il 50% dei soggetti ha ricevuto l’ivermectina mentre l’altro 50% ha ricevuto il placebo.

Le pillole sono state somministrate per tre giorni consecutivi un’ora prima di un pasto. I risultati sui pazienti sono stati monitorati attraverso un test PCR standard con tampone nasofaringeo al fine di stabilire un’eventuale riduzione della carica virale entro il sesto giorno, cioè il terzo giorno dopo la fine del trattamento.

Lo studio riportato anche dal Jerusalem Post, ha dimostrato che quasi il 72% dei volontari trattati con ivermectina si è negativizzato entro il sesto giorno, mentre solo il 50% di coloro che hanno ricevuto invece il placebo è risultato negativo al Covid nello stesso arco di tempo.

Dallo studio è emerso anche che solo il 13% dei pazienti trattati con l’ivermectina risultava infetto dopo i 6 giorni, mentre nel gruppo Placebo era ancora il 50%, cioè un numero quattro volte superiore.

Il professor Schwartz ha commentato i risultati affermando: “il nostro studio dimostra anzitutto che l’ivermectina ha attività antivirale” ma non solo “dimostra anche che c’è quasi il 100% di possibilità che una persona non sia infettiva in quattro-sei giorni, il che potrebbe portare ad accorciare il tempo di isolamento per queste persone. Questo potrebbe avere un enorme impatto economico e sociale”.

Al momento questo studio è in attesa di revisione paritaria da parte della comunità scientifica, ed è stato pubblicato sul sito di condivisione della ricerca sanitaria MedRxiv.

L’Ema raccomanda di non utilizzare ivermectina per il trattamento del Covid-19

I medici volontari dell’associazione Ippocrate.org in Italia usano da mesi l’ivermectina nel trattamento dei pazienti Covid con ottimi risultati, e stando a quanto riportato da Affari Italiani vi sono dozzine di studi in tutto il mondo che ne dimostrerebbero l’efficacia.

Tutto lascerebbe pensare che valga la pena approfondire i risultati fin qui ottenuti ed eventualmente scommettere su questo farmaco peraltro particolarmente economico. In Europa però l’Ema ha già preso una posizione netta raccomandando di non utilizzare l’ivermectina.

“Nell’Ue le compresse di ivermectina sono approvate per il trattamento di talune infestazioni parassitarie, mentre le preparazioni cutanee sono approvate per il trattamento di condizioni cutanee quali la rosacea. Ivermectina è altresì autorizzata per uso veterinario in un’ampia gamma di specie animali per contrastare i parassiti interni ed esterni” si legge in un comunicato di marzo rilasciato dall’Ema.

Nell’Ue l’uso dei medicinali a base di questo principio attivo non è autorizzato per Covid-19 e l’Ema non ha ricevuto alcuna domanda per autorizzare tale uso” si legge ancora nello stesso comunicato dell’ente regolatore europeo.

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