Impennata del prezzo del gas costringe azienda di Ferrara a sospendere la produzione

Il vertiginoso aumento del costo del gas naturale si ripercuote sulle bollette di luce e gas non solo per le famiglie ma anche per le imprese, con conseguenze che iniziano a farsi sentire in modo più che tangibile nel momento in cui i rincari sono così pesanti da costringere ad uno stop della produzione.

È quanto accaduto, per la prima volta in Italia, nella città di Ferrara, dove si trova una delle sedi della Yara, azienda di fertilizzanti con sede centrale in Norvegia. Si tratta di una multinazionale che conta oltre 8 mila dipendenti e che nello stabilimento di Ferrara ne conta 140.

La decisione che arriva direttamente dalla casa madre in Norvegia per la sede italiana è stata presa nei giorni scorsi, ed è quella di sospendere la produzione. I dipendenti però non verranno messi in cassa integrazione ma continueranno a lavorare spostandosi dagli impianti alla manutenzione e alla formazione.

I dirigenti hanno stabilito uno stop di almeno 6-8 settimane legato proprio al vertiginoso aumento del costo del gas naturale che nel giro di meno di un anno è raddoppiato, e se si rapporta il prezzo attuale a quello di prima della pandemia la crescita è addirittura del 440 per cento.

Dalla casa madre spiegano che le entrate derivanti dalla vendita dei fertilizzanti non coprirebbero i costi del gas naturale che l’azienda è costretta a sostenere per mandare avanti la produzione. L’unica cosa che resta da fare in questo caso è sospendere la produzione.

A rischio le aziende dei 7 settori “energivori”

Quello della norvegese Yara, o meglio della sua sede di Ferrara, è il primo caso in Italia di un’azienda che si trova a sospendere la produzione per via dell’impennata del prezzo del gas. Si tratta di un campanello d’allarme che offre un serio spunto di riflessione sulla gravità della crisi energetica e di quali possono essere le sue conseguenze nei prossimi mesi.

Nel caso dell’azienda di Ferrara parliamo di un comparto industriale del valore di 80 miliardi di euro, ma per quale motivo le conseguenze dei rincari del prezzo del gas si fanno sentire proprio su questo genere di reparto produttivo? Il fatto è che l’industria chimica è considerata uno dei sette settori “energivori” in quanto appunto richiedono grandi quantità di energia per mandare avanti la produzione.

Gli altri sei settori “energivori” sono quello delle acciaierie, i cementifici, le fonderie, fabbriche di ceramiche, di vetro e di carta. Si tratta tra l’altro di settori fondamentali per l’economia italiana che puntano molto sull’esportazione che rappresenta circa il 65% del loro fatturato.

Inoltre quanto accaduto con la Yara difficilmente resterà un caso isolato, infatti le previsioni per i prossimi mesi non sono certo delle migliori, e se il prezzo del gas non subisce un’inversione di tendenza, o peggio continua a crescere, anche le altre imprese di questi sette settori potrebbero trovarsi nella stessa situazione.

La corsa dei prezzi del gas naturale continuerà almeno per tutto l’inverno per arrestarsi, forse, solo in primavera.

Una situazione che non si può non definire allarmante, ed è lo stesso presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, a confermarlo in occasione della conferenza annuale a Milano: “se la crescita delle quotazioni continuerà come in questo ultimo periodo, è una questione di giorni valutare se e come fermare gli impianti per il livello eccessivo dei costi di produzione”.

Dello stesso parere Giovanni Pasini, amministratore delegato di Feralpi, azienda che opera nel siderurgico: “siamo arrivati al punto in cui non sono da escludere blocchi della produzione nelle fasce orarie della giornata in cui i prezzi dell’energia sono più alti”.

Nella migliore delle ipotesi insomma la produzione andrà avanti, ma con l’accortezza di concentrare la produzione nelle fasce orarie in cui il prezzo del gas è meno alto.

Prezzo del gas alle stelle, cause e soluzioni

Ma quali sono le ragioni per cui il prezzo del gas naturale in particolare in Italia ha subito una simile impennata? Nel corso dell’invernata 2020-2021 per via delle temperature particolarmente basse c’è stato un aumento della domanda di gas, poi con l’arrivo dell’estate e la fine dei cosiddetti lockdown a macchia di leopardo, la ripresa della produzione ha determinato un forte incremento della domanda di materie prime.

La domanda di gas naturale quindi ha continuato ad essere particolarmente alta, e in alcuni settori è arrivata ad essere di molto superiore all’offerta, motivo per cui, almeno in teoria, i prezzi sono schizzati alle stelle. 

Ad essere stati maggiormente penalizzati sono i Paesi in cui il gas naturale è molto utilizzato per ottenere energia elettrica e l’Italia è uno di questi. Nel nostro Paese infatti circa il 35 per cento del combustibile destinato alle centrali elettriche è gas naturale.

Una situazione che richiede per forza di cose l’intervento del governo e non solo in Italia ma anche negli altri Paesi che si trovano alle prese con la crisi energetica. La questione dovrà essere affrontata con un intervento congiunto dei vari leader europei volto a controllare i costi dell’energia, ma in che modo?

Tra le proposte vi è anche quella di creare una sorta di “stoccaggio europeo” di gas, e sembra al momento la strada più plausibile. Questo dovrebbe essere reso possibile attraverso l’adesione delle società di distribuzione e dovrebbe garantire la disponibilità di una riserva pronta all’uso.

Questa opzione ha trovato l’appoggio, tra gli altri, del presidente del Consiglio Mario Draghi, che a tal proposito ha dichiarato: “a parte la determinazione a proseguire la strategia di mitigare i costi sociali di questi aumenti dei prezzi tenendo in mente la sostenibilità del processo, bisogna pensare a misure di tipo strutturale e ciò avrà luogo all’interno della Legge di Bilancio”.

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