Avere accesso alle materie prime indispensabili per produrre componenti elettronici è diventata una priorità assoluta per gli Stati Uniti, ed ecco che il governo di Washington ha deciso di investire con decisione sulla ricerca e l’estrazione di terre rare, quei 17 minerali che vengono utilizzati per la produzione di componenti chiave della rivoluzione tecnologica.

Ed è proprio sull’accesso a questi minerali che si intrecciano questioni politiche che coinvolgono le più grandi potenze mondiali, vale a dire Usa e Cina. È proprio la Cina attualmente a detenere circa un terzo delle riserve mondiali di terre rare, assicurandosi una posizione di vantaggio che gli Stati Uniti hanno bisogno di scalfire.

Le terre rare sono di importanza fondamentale perché è da esse che dipendono settori nevralgici dell’economia moderna, e in particolare questi minerali rendono di fatto possibile la produzione di tutte le componenti high tech, comprese quelle che occorrono per la fabbricazione di armi di ultima generazione, come ad esempio i famosi F-35.

Ma non solo, è sempre dalle terre rare che si parte per produrre componenti necessarie per la svolta Green di cui tanto si parla e su cui tanto si spinge soprattutto in Europa. Infatti prodotti come pannelli solari o pale eoliche necessitano proprio di questi minerali perché l’industria non si fermi, e ciò dà una misura dell’importanza per gli Usa di guadagnare maggiore accesso a queste materie prime.

La battaglia per le terre rare e l’arrivo del Covid-19

Quando è iniziata l’emergenza Coronavirus l’equilibrio del sistema commerciale globale è stato compromesso. Il sistema del just in time su cui si fondavano gli scambi commerciali in tutto il mondo ha mostrato il suo punto debole, infatti di fronte ad uno shock come quello legato a lockdown e restrizioni non ha retto.

Per anni il sistema di produzione è stato in grado di soddisfare la domanda solo nel momento in cui questa si attivava, ed è andato avanti con costi sempre contenuti anche grazie alla lunga catena di approvvigionamento, ma con le restrizioni in chiave anti-covid adottate in molti Paesi del mondo il meccanismo si è inceppato.

Nel 2021 è quindi arrivata la prima stretta sulle forniture di semiconduttori, e questa ha bloccato una parte delle linee produttive, ed è qui che si inizia a parlare dell’importanza strategica delle terre rare.

Uno studio del dipartimento dell’Energia statunitense mette in evidenza come il settore delle terre rare rischi di subire contraccolpi importanti anche se le interruzioni sono solo temporanee, e gli effetti possono risentirsi anche per periodi di tempo relativamente lunghi.

Gli Usa temono un eventuale blocco delle terre rare perché i suoi effetti sarebbero drammatici per l’economia Usa ma non solo. Nel caso dei semiconduttori si può parlare di una catena del valore più varia e collocata in Paesi amici come il Taiwan, ma nel caso delle terre rare il discorso cambia, ed è in Cina che troviamo il 90% della lavorazione delle terre rare su scala mondiale.

Per gli Usa quindi diventa fondamentale riuscire a diversificare, in particolare in considerazione degli sforzi che negli anni a venire dovranno essere compiuti per seguire il progetto della transizione verde su cui il presidente democratico Joe Biden intende puntare con convinzione.

Si tratta però di un obiettivo tutt’altro che facile da raggiungere, e per fare nel campo dell’estrazione delle terre rare i passi avanti che occorrono, serviranno tempi piuttosto lunghi. Avviare una miniera di terre rare richiede infatti anni di esplorazioni e valutazioni di impatto ambientale, senza contare l’elevata volatilità dei prezzi che può rendere gli investimenti difficili da riassorbire in tempi brevi.

Gli sforzi Usa per spezzare il monopolio cinese

Nonostante tutto gli Usa stanno comunque andando verso la diversificazione di cui hanno bisogno per spezzare il monopolio cinese e tirarsi fuori quindi da una posizione di svantaggio.

InsideOver ha proposto un approfondimento sulla questione dell’importanza delle terre rare per gli Stati Uniti, e lì si parla della miniera di Mountain Pass, che potrebbe diventare il “cuore della strategia americana per disaccoppiarsi da Pechino”.

Si tratta di una miniera che è stata scoperta verso la fine degli anni ’40, che per molto tempo è stata il fulcro estrattivo delle terre rare americane. Per i 40 anni seguenti buona parte della produzione globale di questi minerali preziosi arrivava da quel centro minerario.

In seguito però la competitività dei prezzi cinesi ha portato ad un calo della produzione e infine alla chiusura del centro estrattivo nel 2002. Nel 2015 il proprietario della miniera ha presentato istanza di fallimento ma qualche anno dopo alcune cose hanno iniziato a muoversi in una direzione completamente diversa.

Una nuova società, la MP Materials, ha preso il controllo dell’area, e nel 2020 la stessa società è arrivata a quotarsi in borsa anche per merito di una serie di fusioni con fondi dell’alta finanza superando il miliardo e mezzo di dollari di valore e ottenendo fondi per rinnovare il centro minerario californiano.

È evidente che un centro minerario ormai dismesso sta assumendo un’importanza sempre più preponderante nelle logiche politiche dell’amministrazione Biden, e tuttavia non passa inosservato che un decimo della società che gestisce ora il centro estrattivo è cinese, la Shenghe Resource.

Ma mantenere attivi impianti di raffinazione e lavorazione sul suolo americano non è semplice, infatti fino al 2020 tutto quello che veniva estratto nella miniera veniva direttamente spedito in Cina per la lavorazione ed ancora oggi ci sono diversi ostacoli per avviare impianti sul suolo americano, e tra questi anche l’opposizione dei gruppi ambientalisti.

Dal Mountain Pass californiano alla miniera in Texas

Gli Stati Uniti comunque non possono contare solo sul Mountain Pass californiano, ma hanno un altro centro estrattivo in via di completamento che si trova invece in Texas.

Qui a condurre i lavori per l’apertura dell’impianto troviamo la compagnia Usa Rare Earth. Una volta finiti i lavori gli Usa dovrebbero poter contare su risorse abbondanti al punto che si prevede di estrarre nei primi 20 anni solo il 14% del materiale disponibile.

Facendo due conti possiamo dire che questo centro estrattivo potrebbe durare circa 150 anni. La stessa impresa ha inoltre avviato la costruzione di un impianto di separazione e lavorazione nello Stato del Colorado.

Le iniziative di imprese come la MP e la Usa Rare Earth contribuiscono a migliorare il posizionamento americano nell’accesso a materie prime di grande importanza strategica come appunto le terre rare.

Questi due impianti tra l’altro non sarebbero in competizione tra loro in quanto la miniera situata in California si occupa dell’estrazione di terre rare classificate come “leggere” mentre quella che si trova in Texas si occuperebbe di quelle “pesanti”.

Funzionale a questa prospettiva del governo Usa è anche il contratto da 30 milioni di dollari che è stato siglato tra il Pentagono e la Lynas, un’azienda australiana che si occupa di estrazioni.

Questo accordo prevede che il gruppo si occupi della creazione di un impianto di lavorazione delle terre rare in Texas, e secondo gli analisti questo permetterebbe agli Usa di produrre un quarto della fornitura globale di ossidi di terre rare.

Per ottenere una ancor più marcata indipendenza dalla Cina per la fornitura di queste materie prime è stata anche siglata una recente partnership tra aziende americane ed europee che prevede che le sabbie estratte in un’area desertica nello Stato dello Utah vengano trasportate nella città di Sillamae in Estonia dove saranno lavorate per l’estrazione di terre rare.

C’è però qualche ostacolo all’orizzonte, in quanto l’azienda che dovrà occuparsi delle lavorazioni che è la canadese Neo Materials ha dei legami con la Cina. Si tratta infatti dell’unica azienda non cinese che opera nel mercato cinese, conducendo due impianti che da soli rappresentano circa l’80% della produzione, mentre l’impianto in Estonia produce solo il restante 20%.

Cosa dovranno fare gli Stati Uniti per sganciarsi da Pechino?

Washington dovrà risolvere a questo punto almeno tre problemi: dovrà migliorare la capacità estrattiva delle terre rare su suolo americano, creare impianti di lavorazione, e infine trovare delle società che non siano troppo legate alla Cina.

Il Dipartimento Usa del Commercio ha quindi annunciato di aver avviato una vasta indagine sotto la sezione 232 finalizzata a determinare l’impatto sulla sicurezza nazionale dei magneti al neodimio-ferro-boro che sono una parte dei 17 minerali che vengono indicati come terre rare.

Si tratta comunque di una delle tante iniziative che il governo Usa ha deciso di mettere in campo, e a questa si aggiunge anche il finanziamento da parte del Pentagono della Lynas, mentre il Dipartimento dell’Energia ha avviato programmi simili stanziando 30 milioni di dollari per la ricerca sull’estrazione delle terre rare ma anche di cobalto e litio.

Alla fine del 2020 intanto l’amministrazione Trump ha licenziato un pacchetto di aiuti per la pandemia per oltre 2 mila miliardi di dollari, e in questo stesso pacchetto sono stati inseriti in maniera organica diversi ordini esecutivi del presidente proprio in materia di estrazione e lavorazione di terre rare.

È stato predisposto anche lo stanziamento di rica 800 milioni di dollari che serviranno a finanziare le ricerche minerarie sui terreni federali e altri studi sulla lavorazione dei minerali.

A febbraio invece è toccato al presidente Joe Biden firmare nuovi ordini esecutivi per la ristrutturazione di tutta la supply chain Usa, partendo dai semiconduttori fino alle terre rare, ma prima che si possano raccogliere i frutti di queste manovre sarà necessario attendere tempi piuttosto lunghi.

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