Coronavirus, oltre 1 milione di casi nel mondo, la Cina ha mentito? Gli USA accusano Pechino

È stata ampiamente superata la soglia di 1 milione di casi di contagio da coronavirus nel mondo, e gli USA che attualmente risultano essere il Paese più colpito dalla pandemia si preparano ad affrontare il peggio.

Ad oggi, 3 aprile il numero dei casi accertati negli Stati Uniti ha raggiunto le 245.573 unità, per un totale di 6.058 morti e 9.228 guariti/dimessi. Non che i numeri registrati in Europa siano confortanti, con oltre 115 mila casi registrati in Italia, e la Spagna che suo malgrado ha recuperato terreno raggiungendo i 112 mila casi. Altri 84 mila casi sono stati accertati in Germania, più i quasi 60 mila della Francia e i 34 mila del Regno Unito, per citare solo i Paesi con più di 20 mila casi di contagio, ai quali peraltro rischia di aggiungersi presto anche la Svizzera, che è ormai quasi a 19 mila casi.

Il presidente USA, Donald Trump, ha parlato alla Nazione dicendo: “attraverseremo due settimane molto, molto dolorose” ma è un rapporto top secret della CIA a richiamare l’attenzione di tutti. I servizi segreti accusano infatti la Cina di aver fornito dati falsi sull’epidemia, nascondendo la sua reale portata in termini di numero di morti e di contagi.

In Cina torna il coronavirus, limitazioni per 600 mila persone

Brutto momento per la Cina, che si trova anche ad affrontare il rischio di una seconda ondata di casi di coronavirus. Nella contea di Jia, nella provincia dell’Henan che si trova a sud dell’Hubei, i residenti sono stati sottoposti ad isolamento con provvedimento d’urgenza per contenere il rischio dell’esplosione di un nuovo focolaio.

Il Governo ha quindi provveduto ad imporre misure restrittive per le circa 600 mila persone che risiedono nella zona interessata dai nuovi casi di contagio interni al Paese. A darne notizia sono le stesse autorità sanitarie locali attraverso i social media, dove parlano di “diversi casi di infezione”.

Mentre nella provincia dell’Hubei, primo focolaio di Covid-19, ed in particolare nella città di Wuhan si inizia a sperimentare il ritorno alla normalità dopo due mesi di quarantena totale, a chi risiede nella contea di Jia serviranno dei permessi speciali per poter uscire di casa o per andare al lavoro.

Sono imposti inoltre dei controlli sanitari come il rilevamento della temperatura corporea, e misure precauzionali come l’obbligo di indossare la mascherina. Ne parla in un articolo anche il South China Morning Post, che conferma l’adozione di misure restrittive nella contea, citando un funzionario locale dei trasporti.

Il Governo ha fatto chiudere tutte le aziende ad eccezione di quelle strategiche, dalle utility a quelle che producono materiale sanitrio, dagli operatori della logistica alle aziende attive nel settore alimentare.

È stata altresì disposta l’apertura dei servizi primari tra supermercati, farmacie, stazioni di rifornimento ed hotel, ma con delle restrizioni. Solo un componente per nucleo familiare potrà uscire a fare la spesa ogni due giorni per comperare beni di prima necessità.

Fino ad oggi, da quando il focolaio di Wuhan si era finalmente spento, in Cina erano stati registrati pressoché esclusivamente casi di ritorno, ora però la situazione si fa preoccupante, visto che la diffusione del coronavirus appare legata alla diffusa presenza degli asintomatici, vale a dire coloro che sono positivi al Covid-19 ma non sanno di esserlo in quanto non mostrano alcun sintomo, e non è detto che ne mostrino in seguito.

Secondo quanto ha dichiarato Zhong Nanshan, epidemiologo cinese impegnato nel 2003 nella lotta alla Sars, ha spiegato quanto sia elevato il rischio contagio rappresentato dagli asintomatici in una intervista rilasciata ai media statali, sottolineando che ogni caso positivo senza sintomi è in grado di contagiare “da 3 a 3,5 persone”. 

Le autorità sanitarie cinesi hanno quindi iniziato a spingere per una identificazione degli asintomatici e per la diffusione dei dati relativi al loro numero. Nella giornata di ieri, 2 aprile, la Commissione sanitaria nazionale ha quindi comunicato 130 nuovi casi per un totale di 1.367 persone che sono attualmente sotto osservazione.

Il problema delle persone positive al Covid-19 ma che non mostrano i sintomi ha fatto scattare l’allarme in seguito ad acluni episodi di contagio, come quello che ha riguardato una donna che ha contratto il coronavirus nell’Henan dopo essere stata a contatto con tre asintomatici. In Cina infatti, a differenza di quanto avviene in Corea del Sud e in Giappone, i soggetti positivi al virus vengono inseriti tra i casi di contagio da Covid-19 solo se manifestano in modo chiaro i sintomi.

Anche l’Oms lancia l’allarme per gli asintomatici

L’Oms intanto chiede ai Governi di adottare “misure di welfare per garantire alle persone vulnerabili cibo e altri elementi essenziali” nel periodo di durata della quarantena e solo 2 giorni fa avvertiva che, considerata la “crescita quasi esponenziale del numero di nuovi casi” nelle ultime cinque settimane “nei prossimi giorni raggiungeremo 1 milione di casi e 50 mila morti”.

Ad oggi i numeri preannunciati sono stati ampiamente raggiunti, con un numero di decessi che nel corso degli ultimi 7 giorni “è più che raddoppiato”. Ed ecco che anche l’Oms ribadisce l’importanza di tracciare anche i casi asintomatici al fine di contenere la diffusione del coronavirus.

“Sappiamo da ciò che abbiamo studiato in Cina che il 75% dei casi che non avevano mostrato i sintomi inizialmente li hanno alla fine mostrati” ha spiegato Maria Van Kerkhove nel corso del briefing dell’Onu a Ginevra e che pertanto “è importante analizzare l’intero spettro dei casi attraverso la sorveglianza”.

I servizi segreti USA accusano la Cina

Secondo quanto afferma un documento Top Secret della Central Intelligence Agency (CIA) i dati della vera epidemia di coronavirus sono stati nascosti al mondo dal Governo di Pechino, che ha sottostimato il numero dei pazienti positivi e il numero dei decessi.

A rivelare parte del contenuto del documento è l’agenzia Bloomberg. I servizi segreti hanno infatti concluso nel loro dossier che i dati arrivati da Pechino a partire dal mese di gennaio non rispondono alla realtà dei fatti, sarebbero stati comunicati in maniera errata all’Organizzazione Mondiale della Sanità al fine di tenere nascosta la reale portata del problema rappresentato dal Covid-19.

Un’accusa gravissima, perché in questo modo la Cina avrebbe messo in difficoltà tutti i Paesi del mondo che ora si trovano a far fronte ad una pandemia senza precedenti. La stessa teoria era già stata avanzata dal professor James Craska del US Naval War College, il quale ha pubblicato uno studio secondo il quale si potrebbe arrivare a chiedere alla Cina un enorme risarcimento danni.

Avrebbero diritto a questo risarcimento tutti i Paesi coinvolti, che stanno pagando un altissimo prezzo sia in vite umane che meramente economico. Ciò porterebbe inevitabilmente a tensioni altissime tra i Paesi che dovessero decidere di ricorrere a questo tipo di azione e il governo cinese.

In caso di violazioni come quella ipotizzata nello studio del professor Craska, è la stessa Organizzazione mondiale della Sanità a prevedere la possibilità di ricorrere alla Corte Internazionale di giustizia.

Al momento nel merito non si è ancora espresso il presidente USA, Donald Trump, nè ci sono state dichiarazioni ufficiali da parte dell’ambasciata cinese a Washington. D’altra parte il momento è molto delicato e gli USA, come lo stesso Trump ha sottolineato, si trovano ad affrontare una emergenza senza precedenti, mentre la Cina si trova costretta a ricorrere nuovamente a misure restrittive per via dei casi di contagio derivanti dal contatto con gli asintomatici.

Secondo i rapporti comunque, la Cina avrebbe violato in particolare l’articolo 6 dello statuto dell’Oms, che stabilisce che il Paese interessato da una epidemia che coinvolge l’uomo è tenuto a darne immediata comunicazione, e l’articolo 10, che impone ai Paesi di rispondere immediatamente alle domande poste dall’Oms quando queste abbiano carattere di urgenza.

Inevitabile quindi l’invito da parte del segretario di Stato USA, Micheal Pompeo, rivolto alla Cina e agli altri Paesi del mondo, alla massima trasparenza nella diffusione dei dati relativi al contagio da Covid-19.

La Cina corre ai ripari, mascherine per tutti

La Cina, in un modo o nell’altro, ha ricoperto il ruolo di avanguardia nel contrasto alla pandemia di coronavirus, ed è proprio ai risultati delle misure restrittive che sono state adottate a Wuhan e nella regione dell’Hubei che guardano tutti gli altri Paesi del mondo, per capire se un allentamento delle stesse è possibile e se sì in quale forma.

È possibile far ripartire il Paese? Se sì, cosa si rischia e quali sono le misure da adottare in una auspicabilmente vicina fase 2? Il Governo italiano guarda con interesse alla Cina, così come fanno gli altri Stati, mentre in Cina la riapertura dei trasporti tra le zone interessate dal primo focolaio cinese e il resto del Paese sono una priprità per Pechino.

In un nuovo studio eseguito da esperti locali si punta a determinare quanto sia necessario ricorrere alle due misure di controllo del contagio più comunemente usate, come il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale, e l’uso delle mascherine al fine di ridurre il rischio di una ripresa dell’epidemia.

Secondo gli scienziati cinesi, che hanno esaminato sei date proposte dal Governo per un eventuale ritorno alla normalità, queste due misure preventive sono di importanza fondamentale.

Se si torna ad un contatto pubblico al 100% normale, vale a dire com’era prima della quarantena, con un uso delle mascherine diffuso per il 95% tra la popolazione, l’epidemia seguirebbe un regolare declino fino a scomparire, indipendentemente da quale sia la data di “riapertura”.

Invece, se l’uso delle mascherine dovesse riguardare solo il 50% della popolazione cinese, qualsiasi data di interruzione della quarantena fissata prima del 25 aprile produrrebbe l’insorgere di un nuovo focolaio di contagio.

Attualmente per la città di Wuhan la fine delle misure restrittive risulta fissata all’8 aprile. Il che sarà reso possibile grazie ad un uso estremamente diffuso delle mascherine ed una limitazione dei contatti interpersonali. Se invece la data per la fine delle restrizioni fosse stata anticipata al 21 marzo, sarebbe stato necessario che l’uso delle mascherine interessasse almeno l’85% della popolazione.

Gli autori spiegano che “lo studio dimostra che è possibile revocare la quarantena e controllare l’epidemia, ma solo se rimangono in vigore misure specifiche come l’uso della maschera facciale e la limitazione dei contatti pubblici. L’adozione di altri metodi come test, la tracciabilità dei contatti e il frequente lavaggio delle mani ridurrebbe ulteriormente la probabilità di una seconda ondata”.

“I Governi dovranno determinare anche in che modo ridurre al minimo i contatti pubblici nei luoghi di lavoro, nei negozi, nei luoghi di intrattenimento ed eventi pubblici. Anche gli spostamenti interurbani dovrebbero essere ridotti al minimo. Il ripristino completo del trasporto pubblico interurbano può richiedere mesi ed è necessaria un’attenta pianificazione delle dimensioni dell’afflusso di popolazione”.

Secondo lo studio però “mantenere un uso continuo di maschere facciali tra la popolazione può essere difficile per una serie di motivi, in primo luogo per la quantità di materiale necessario e poi perché l’uso diffuso potrebbe limitare criticamente la loro disponibilità presso gli operatori sanitari ad alto rischio”.

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