Coronavirus, il ministro Speranza avverte: “seconda ondata non certa ma possibile”

Fa un appello alle forze di opposizione, il ministro della Salute, Roberto Speranza, chiedendo che ci sia collaborazione con il Governo nella gestione dell’emergenza, che tiene a ricordare non essere ancora finita.

Una collaborazione tra la maggioranza e l’opposizione che sarebbe persino un obbligo, proprio in virtù del sussistere di questa emergenza sanitaria, sebbene a guardare i dati che abbiamo in mano la sensazione è che non vi sia in atto alcuna emergenza sanitaria.

È lo stesso ministro della Salute ad ammettere che “ci sono dati incoraggianti” tuttavia bisogna essere pronti per l’eventualità che il virus torni a colpire con forza. È chiaro che essere pronti a qualsiasi evenienza futura sarebbe auspicabile, e di sicuro in tal senso non guasterebbe evitare da ora in avanti i tagli alla sanità che sono stati perpetrati in Italia fino alla comparsa del Covid-19, ma di questo si parla poco.

Ma torniamo a quella seconda ondata che non è certa, come sottolinea il ministro Speranza, ma possibile. Ed è proprio in forza di questa possibilità che si deve continuare a tenere alta la guardia, ad esempio tenendo ancora chiusi i confini rispetti ai Paesi extra Ue fino al 15 giugno.

Sono questi i principali temi toccati dal ministro della Salute nel corso dell’informativa tenuta alla Camera nella giornata di ieri, e poi al Senato, dove è stata approvata la risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del ministro con 125 voti a favore e 90 contrari. La risoluzione dell’opposizione invece è stata bocciata.

A Montecitorio si è votato nella giornata di oggi, giovedì 11 giugno, la risoluzione di maggioranza, approvata con 254 voti favorevoli, con la quale si chiede una graduale riapertura anche di attività ricreative, ricettive, congressuali ed eventi fieristici. L’opposizione in questo caso ha deciso di astenersi.

Nel merito della votazione, il deputato del Pd, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ha sottolineato che: “al di là delle legittime opinioni che si possano avere sull’informativa del ministro Speranza, spero che tutti si rendano conto che la procedura che abbiamo individuato sta garantendo la trasparenza e il coinvolgimento che ci eravamo prefissi”.

Infatti per la prima volta è stata applicata la procedura di parlamentizzazione nell’ambito delle misure di emergenza per il coronavirus. In parole povere per la prima volta dall’inizio dell’emergenza iniziata ormai oltre 3 mesi fa, è stato finalmente consultato il Parlamento.

Speranza: “la collaborazione non è una scelta ma un vero e proprio obbligo istituzionale”

Il ministro Speranza nel corso dell’informativa resa al Parlamento ha fatto un appello alla collaborazione tra forze politiche diverse: “serve una limpida dialettica tra maggioranza ed opposizione tra forze che a diversi livelli istituzionali hanno, nella gestione della sanità, rilevanti e concorrenti responsabilità di governo, così come definito dall’articolo 117 della nostra Costituzione” ha detto il ministro “per me la collaborazione non è una scelta ma un vero e proprio obbligo istituzionale“.

Speranza chiede quindi “un confronto a tutto campo, a partire dalle forze politiche presenti in Parlamento, con le tantissime preziose energie delle professioni sanitarie, del mondo scientifico, delle università, del volontariato e dell’associazionismo. Una forte sinergia istituzionale e sociale è la bussola che può consentirci di attraversare la terribile tempesta che, passo dopo passo, stiamo cercando di mettere alle nostre spalle”.

C’è davvero il rischio di una seconda ondata di Coronavirus?

Secondo il ministro Speranza il rischio c’è, infatti nel corso dell’informativa ha affermato: “dentro diverse legittime valutazioni e ricerche scientifiche io credo che non dobbiamo alimentare una surreale divisione tra pessimisti ed ottimisti. Una seconda ondata o una recrudescenza non è certa, ma è possibile. E quindi bisogna essere pronti”.

D’altro canto che sia possibile non lo esclude nessuno, ma il punto è: quali sono le reali probabilità che un evento del genere si verifichi? Insomma cerchiamo di capire cosa dicono i numeri. La sensazione è che le istituzioni procedono da tempo navigando a vista, e a momenti brancolando nel buio, con un contributo da parte dell’Oms tutt’altro che impeccabile.

Abbiamo visto quanto attendibili fossero le previsioni che davano per certo un aumento del numero dei contagi in seguito all’avvio della Fase 2. L’allentamento delle misure restrittive avrebbe prodotto, secondo i modelli matematici di cui ha tenuto conto il Governo, un incremento del numero dei casi, che sarebbe stato più o meno accentuato a seconda di quanto si fosse stati prudenti.

Qualora non si fosse prestata sufficiente attenzione al rischio rappresentato dalla riapertura delle attività, si sarebbe potuta verificare la drammatica situazione di 151mila persone da ricoverare in terapia intensiva nella prima settimana di giugno. Ad oggi però le previsioni si sono rivelate completamente sbagliate, visto che non c’è stato alcun aumento dei casi di contagio, e il totale dei malati in terapia intensiva si aggira intorno alle 200 unità soltanto.

Ora il ministro Speranza non tira fuori previsioni basate su modelli matematici, ma si limita a dire che un ritorno del virus è possibile, peraltro è lui stesso a sottolineare che “ci sono dati oggettivamente incoraggianti”, e così è infatti, a cominciare proprio dal numero dei ricoverati in terapia intensiva.

Ma la lista dei dati incoraggianti fortunatamente è lunga: si può ad esempio ricordare la dichiarazione di Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano, che ha detto a chiare lettere che “il virus, dal punto di vista clinico, non esiste più”, affermazione criticata ma al tempo stesso confermata anche da alcuni esperti del Comitato Tecnico Scientifico, che avevano da eccepire solo sul fatto che simili informazioni non dovessero essere divulgate, e questo per evitare che qualcuno possa prendere sottogamba l’emergenza. Quella stessa emergenza sanitaria che di fatto, ora, non c’è più.

Ci sono molti dati, come l’indice Rt, al quale l’Esecutivo ha attribuito un notevole peso nel valutare le riaperture per la Fase 2. L’Rt è inferiore a 1 in tutto il Paese, di solito inferiore a 0,5 a dire il vero, mentre in alcune regioni è pari a 0 (zero).

I guariti aumentano, la curva di contagio si abbassa, i decessi diminuiscono, ma al ministro della Salute non basta e invita alla cautela, ad essere pronti perché “l’epidemia non si è conclusa, non è finita: ci sono ancora focolai di trasmissione attivi e il virus, anche se in forma ridotta e con una prevalenza di casi asintomatici continua a circolare“.

Il virus continua a circolare insomma, come tanti altri virus, come fa notare lo stesso professor Zangrillo.  Con una prevalenza di casi asintomatici peraltro, ma ricordiamo che come riportato da CNBC, secondo l’Oms è “molto raro” che gli asintomatici trasmettano il coronavirus. Insomma sembra di poter dedurre, alla luce di tutto questo, che l’unico motivo per cui “l’epidemia non si è conclusa” è che le istituzioni continuano a dire che non si è conclusa.

Il ministro Speranza, nel corso dell’informativa tenuta al Parlamento ha voluto ricordare che “le misure adottate sono state sempre accompagnate da scelte difficilissime. Insieme ai sacrifici straordinari di milioni di Italiane e di Italiani, ci hanno permesso di piegare la curva del contagio. Non dobbiamo dimenticarlo mai”.

E ancora: “è con le misure che Governo e Regioni hanno adottato che abbiamo salvato la vita a migliaia di persone, abbiamo alleggerito il peso insostenibile che arrivava sui nostri presidi sanitari e abbiamo sviluppato, giorno dopo giorno, le condizioni perché l’Italia potesse finalmente ripartire”.

Locatelli: “la seconda ondata di Covid non sarà forte come la prima”

Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità (Css), nonché membro del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli, ha dichiarato nel corso della trasmissione Agorà su Rai 3 che “dobbiamo farci trovare preparati a gestire una seconda ondata di contagi”, dimostrandosi quindi più o meno sulla stessa linea del ministro Speranza.

Locatelli ha però aggiunto in merito all’eventualità di una seconda ondata: “comunque, se dovesse mai esserci, non ritengo avrà le dimensioni e la portata della prima“. Fare delle previsioni non è semplice, ha precisato ancora il presidente del Css, spiegando: “prevedere se e quando ci sarà una seconda ondata è un esercizio da indovino piuttosto che da scienziati, ma è possibile che con il ritorno dei mesi più freddi, nel tardo autunno o inverno, ci possa essere una ripresa perché il virus circola ancora in molti Paesi del mondo, come vediamo dai dati di America Latina e India”.

La soluzione quindi sarebbe ancora una volta il vaccino. “C’è uno sforzo internazionale mai registrato prima nella storia dell’umanità per un vaccino in grado di conferire immunità di gregge, ovvero una protezione largamente estesa contro il nuovo coronavirus” dice ancora Locatelli, che poi aggiunge: “il messaggio è che lo Stato italiano c’è. Farsi trovare pronti per il vaccino è importante“.

Il presidente del Css ricorda anche l’impegno economico da parte dell’Italia per contribuire alla ricerca di un vaccino per il Covid-19. “Il nostro governo ha fatto in questo senso investimenti importanti, basti pensare al prodotto di ricerca che sarà sviluppato grazie all’investimento fatto da Ministero della Salute, della Ricerca, Regione Lazio e Cnr”.

E tuttavia non si può non tornare con la mente alla spesa sostenuta dall’Italia per l’acquisto del vaccino contro l’N1H1, di fatto poi rimasto inutilizzato. Nel 2010 infatti furono acquistate 24 milioni di dosi di vaccino per una spesa complessiva di 184 milioni di euro. Furono vaccinate in tutto 827 mila persone, contro i 20 milioni che erano in programma.

Locatelli ricorda poi che non è detto che i giovani siano meno facilmente contagiabili, e si concede una digressione tra ipotesi avanzate da fonti non meglio precisate. Quanto ai giovani, “se ne abbiamo trovati meno positivi potrebbe anche essere dovuto al fatto che i tamponi sono stati in buona parte fatti sui sintomatici e questo può impattare su una valutazione della diffusione tra i giovani” dice Locatelli.

Recapitolando, l’età media dei deceduti con il Covid-19 è di 80 anni in Italia, e quanto a chi non ha fatto il tampone, si tratta in larghissima parte di asintomatici, i quali, stando a quanto recentemente dichiarato proprio dall’Oms, è “molto raro” che trasmettano il virus. Locatelli tuttavia sembra suggerire che tutti dovrebbero vaccinarsi, qualora ce ne sia la possibilità, giovani asintomatici compresi.

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