Al via il vertice Ue per decidere sul Recovery Fund. Per finanziarlo serviranno nuove tasse

Inizia oggi 17 luglio il Consiglio Ue chiamato a decidere nell’ambito degli strumenti da mettere in campo per sostenere le economie dei Paesi maggiormente colpiti dal coronavirus e più penalizzati dagli effetti prodotti dalle misure restrittive adottate nel periodo di lockdown.

L’esito, come sottolinea La Repubblica, “è più che mai incerto”. Si tratta ad ogni modo del primo vertice europeo al quale i leader dei Paesi membri prendono parte di persona, dopo mesi di videoconferenze.

Le posizioni dei vari Paesi dell’Ue sono distanti alla vigilia dell’incontro, ed è la stessa Angela Merkel a sottolineare questo dato di fatto, affermando che “le trattative saranno molto, molto difficili”.

Una decisione tuttavia dovrà essere formalizzata al termine di questa ‘due giorni’ il cui tema centrale è lo strumento del Recovery Fund. Tant’è che ci si aspetta che il vertice venga prolungato alla giornata di domenica, nella speranza che si riesca a giungere ad un accordo senza dover ricorrere ad ulteriori rinvii.

Il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha ricordato ai leader dei Paesi membri: “tutto il mondo ci sta guardando”. “Con Next Generation Eu e un convincente quadro finanziario europeo abbiamo la possibilità non solo di superare la crisi, ma anche di modernizzare il nostro mercato interno e la nostra unione, per portare avanti il green deal e la digitalizzazione” ha poi aggiunto la presidente della Commissione europea.

Un commento sull’avvio dei lavori è arrivato anche dal commissario europeo agli affari economici, Paolo Gentiloni: “oggi il vertice dei Paesi europei sulla proposta della Commissione Next Generation Eu (il piano di aiuti). Coraggio, ambizione, unità, e un po’ di fortuna venerdì 17”.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel ha intanto ricordato: “abbiamo lavorato duramente per preparare questo vertice, so che sarà difficile: non si tratta solo di soldi ma di persone, del futuro dell’Europa, della nostra unità”.

Ci sono almeno 3 punti di scontro

Nel corso del vertice di Bruxelles che si terrà tra oggi e domani (e forse dopodomani) saranno almeno 3 i punti su cui si faticherà a trovare un accordo.

  1. Le dimensioni finanziarie della risposta anti-crisi
  2. La divisione dell’esborso degli aiuti, tra quelli a fondo perduto e quelli sotto forma di prestiti
  3. L’assegnazione al Consiglio europeo, quindi ai Paesi membri, della facoltà di bocciare i piani nazionali d’investimento

Ci sono poi vari altri punti da chiarire, a cominciare dal volume del bilancio comunitario 2021-2027. E c’è la questione sollevata dai quattro Paesi cosiddetti ‘frugali’, vale a dire la richiesta di uno sconto per il contributo da loro offerto al bilancio comunitario, senza contare il nodo da sciogliere riguardante il vincolo tra l’accesso ai fondi europei e il pieno rispetto delle libertà democratiche fondamentali.

Secondo il presidente francese, Emmanuel Macron, la questione del piano anti-crisi e quella del bilancio pluriennale sono interconnesse, ed è quindi necessario “raggiungere un compromesso su entrambi perché servono a costruire una nuova sovranità europea”.

I numeri del Recovery Fund

Il vertice tra i Paesi dell’Ue per definire i dettagli che riguardano il Next Generation Eu, vale a dire il piano da mettere in campo per la ripresa economica, del quale fa parte anche il Recovery Fund, dovrà affrontare prima di tutto la questione delle somme da mettere in campo. Ora come ora, prima dell’avvio del confronto che si sta svolgendo in queste ore a Bruxelles, il Recovery Fund vale 750 miliardi di euro.

È questa infatti la cifra dalla quale si parte, ma non è assolutamente detto che sarà questa la cifra che verrà messa effettivamente in campo ad accordo raggiunto. Ad ogni modo stando alla proposta iniziale della Commissione Ue, 728,8 miliardi di euro del Recovery Fund dovrebbero essere così divisi:

  • 310 miliardi di euro in sussidi a fondo perduto e 250 miliardi di prestiti ai Paesi membri soprattutto per economia digitale e ambiente
  • 55 miliardi di finanziamenti destinati soprattutto a Comuni e ospedali, senza bisogno di investimenti aggiuntivi da parte degli Stati
  • 40 miliardi destinati agli Stati affinché possano raggiungere la “neutralità climatica”, termine con il quale ci si riferisce ad una economia a impatto ridotto sull’ambiente
  • 15 miliardi di aiuti per gli agricoltori nella prospettiva di stabilire un legame diretto con il consumatore
  • 15,3 miliardi di euro destinati alla BEI (Banca Europea degli Investimenti) e alle “banche di promozione nazionale” affinché aiutino gli imprenditori e le start-up
  • 31 miliardi che si vanno aggiungere ai 15,3 appena conteggiati, sempre per la BEI per rimettere in moto gli investimenti privati
  • 9,4 miliardi da destinare ai Servizi Sanitari Nazionali per adeguarli alle sfide future nell’ambito di possibili nuove pandemie
  • 3,1 miliardi per appalti e aiuti mirati che dovranno essere definiti direttamente dalla Commissione Ue.

Ma come dicevamo, non è detto che le cifre snocciolate fin qui siano poi quelle che verranno effettivamente previste per il Recovery Fund. Il primo grande ostacolo è rappresentato dai cosiddetti “Paesi frugali” che sono: Austria, Olanda, Danimarca e Svezia, che anzitutto ritengono che la cifra di 750 miliardi sia troppo alta.

Bisogna poi capire quante risorse saranno trasferite ai Paesi in difficoltà sotto forma di finanziamenti a fondo perduto, quante sotto forma di prestiti che, in quanto tali, dovranno poi essere restituiti.

L’obiettivo politico della Commissione Ue, secondo quanto riportato da La Repubblica, è quello di “stanziare almeno 500 miliardi a fondo perduto“. Per i Paesi frugali una simile somma a fondo perduto è da ritenersi fuori discussione, e che il Recovery Fund in generale debba essere ridimensionato sotto l’aspetto delle somme da mettere in campo, posizione quest’ultima che è ampiamente condivisa anche da partiti conservatori tedeschi e finlandesi.

Per il Recovery Fund servono nuove imposte europee

Ma da dove arriveranno tutti i soldi che verranno alla fine messi nel Recovery Fund? Un problema che molti eurodeputati pensano di risolvere introducendo nuove imposte su scala europea, almeno per cominciare.

Le idee messe sul tavolo del dibattito comprendono anche quella di tassare le plastiche non riciclabili, scelta che permetterebbe di incassare circa 7 miliardi di euro annui, ma sulla quale si registra sin d’ora la contrarietà di Polonia e Ungheria.

C’è poi la proposta di tassare le emissioni di CO2 alle frontiere e l’importazione di prodotti carboniferi, da cui arriverebbero tra gli 8 e i 14 miliardi di euro l’anno. Poi si è parlato anche della possibilità di tassare i colossi del web, vale a dire Google, Amazon, Facebook e Apple. 

Inoltre è stata avanzata una proposta che non è piaciuta affatto a Belgio, Olanda e Danimarca, che è quella di mettere una tassa sulle transazioni finanziarie.

Per Rutte “meno del 50% di probabilità di raggiungere un accordo”

Tra i temi da affrontare quello che riguarda il potere decisionale sui piani nazionali d’investimento, che l’Olanda chiede che venga assegnato al Consiglio europeo, il che vuol dire agli Stati membri. Non solo, perché Amsterdam chiede che i piani nazionali d’investimento siano approvati all’unanimità dai 27 Paesi membri dell’Ue.

Le probabilità di giungere ad un accordo, visti questi presupposti, calano drasticamente, come fa notare lo stesso premier olandese, Mark Rutte. “Ci sono meno del 50 per cento delle possibilità che il Consiglio europeo raggiunga un accordo” ha affermato Rutte, che peraltro esprime una posizione affine a quella di Austria, Danimarca e Svezia, visto che anche gli altri ‘Paesi frugali’ chiedono un controllo in capo al Consiglio dell’Ue.

L’Italia però ha una posizione completamente diversa, preferendo infatti che il potere resti nelle mani di un organismo più super-partes come la Commissione europea.

Come verrebbero distribuiti i fondi?

Secondo quanto riportato da La Repubblica, i fondi verrebbero distribuiti nella misura del 70% “tenendo conto della disoccupazione dei Paesi tra il 2015 e il 2019” mentre il restante 30% troverebbe la sua ripartizione solo nel 2023 in base al calo del Pil rilevato per il periodo 2020-2021.

Sul tema il premier della Repubblica Ceca, Andrej Babis, si è espresso affermando: “vedremo l’impatto della pandemia l’anno prossimo e questo impatto sarà principalmente sul Pil, per questo il prodotto interno lordo dovrebbe essere il criterio più importante” per stabilire in che modo dovranno essere distribuiti gli aiuti dell’Ue.

Si rileva intanto un approccio un po’ sui generis da parte dell’Ungheria, che stando a quanto riportato dal noto quotidiano italiano, “non vuole alcun legame tra l’uso dei fondi comunitari e il rispetto delle leggi europee fondamentali” pertanto reclama uno stop al Parlamento europeo “che invoca una procedura d’infrazione con sanzioni per le presunte violazioni delle libertà democratiche”.

Anche la posizione della Polonia va osservata con attenzione, ma in questo caso si parla di un Paese che per com’è ora struttrato seppur a grandi linee, il Recovery Fund, risulta il terzo maggior beneficiario, preceduto solo da Spagna e Italia.

Come si sta muovendo l’Italia

L’approccio di Roma nell’ambito della trattativa con l’Olanda sarebbe quello di introdurre un voto unanime del Consiglio europeo come condizione per l’approvazione dei piani di investimento nazionali. L’Italia a tal fine potrebbe concedere che il consiglio Ue decida a maggioranza qualificata se bocciare la proposta complessiva della Commissione europea.

Per aprire una breccia nel muro dei Paesi frugali la strategia dell’Italia potrebbe essere quella di minacciare il veto sul meccanismo degli sconti (rebates) che consente appunto ad Austria, Olanda, Danimarca e Svezia, ma anche alla Germania, di risparmiare 6,4 miliardi di euro al momento di contribuire al bilancio dell’Ue.

E mentre Polonia e Repubblica Ceca sostengono che sia “una pessima idea aiutare le Nazioni già ricche”, l’Italia lavora per l’attuazione del piano anti-crisi entro un mese e affinché abbia una durata complessiva di almeno 3 anni, contro i 4 inizialmente previsti nella versione originale proposta dalla Commissione Ue.

Ho piena consapevolezza delle divergenze esistenti ma anche forte determinazione che dobbiamo superarle” ha affermato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte “non nell’interesse della comunità nazionale italiana, dei cittadini italiani, che hanno sofferto molto e stanno soffrendo molto, ma nell’interesse di tutti i cittadini europei”.

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