Secondo il Cbo gli Usa hanno quasi raggiunto uno stock di debito pubblico pari al 100% del PIL

Si parla molto, e giustamente, della campagna elettorale per le elezioni presidenziali che si terranno a novembre negli Stati Uniti, ma si dovrebbe, a guardare i numeri resi noti dal Cbo (Congressional Budget Office) prestare altrettanta attenzione a quel che sta accadendo all’economia Usa, che ha appena raggiunto un record negativo tutt’altro che rassicurante.

Ne parla MilanoFinanza partendo dai dati del rapporto dei contabili del Cbo, che il 2 settembre hanno preannunciato che gli Stati Uniti raggiungeranno molto presto uno stock di debito pubblico pari all’intero Prodotto Interno Lordo.

Secondo quanto riportato da MF, il CBO riferisce che “la recessione e l’esplosione della spesa di quest’anno aumenteranno il deficit di bilancio per l’anno fiscale 2020” che come sappiamo termina il 30 settembre, raggiungendo la ragguardevole somma di 3.300 miliardi di dollari, pari al 16% del PIL americano.

Si tratta di un record in quanto una deficit annuale più alto di questo era stato raggiunto solo durante la seconda guerra mondiale, nell’ormai lontano 1945.

La pandemia, grazie alle misure di lockdown adottate nella stragrande maggioranza dei Paesi, si è trasformata nell’equivalente fiscale di una guerra mondiale. Negli Usa in particolare, secondo MF, a produrre questo scenario negativo hanno contribuito entrambi i partiti politici, colpevoli di aver provveduto ad “alleviare le ansie degli elettori con denaro contante, in un anno elettorale”.

L’intera classe politica americana, ad osservare il modo in cui ha gestito fino ad oggi l’emergenza coronavirus ed in particolare le misure a sostegno di famiglie e imprese, sembra ritenere che quello che il Paese sta pagando sia un prezzo che ‘vale la pena pagare’ pur di conquistare una fetta più ampia dell’elettorato.

E anche le prospettive per il prossimo futuro, a guardare quali sono le strategie che le due parti intendono mettere in campo, portano nella stessa direzione. Secondo quanto riporta il noto quotidiano online, “la lotta per la fase successiva di alleggerimento del coronavirus è se spendere altri 3.000 miliardi di dollari (Democratici alla Camera) o solo 1.000 miliardi di dollari o giù di lì (la Casa Bianca)”.

In uno dei due casi la spesa a deficit si limiterebbe a 1.000 miliardi di dollari, nell’altra si andrebbe a spendere il triplo, ma sembra che altre opzioni non ve ne siano almeno per il momento.

Sia nel primo che nel secondo caso, il deficit degli Stati Uniti andrebbe ben oltre l’8,6% del PIL che il Cbo ha previsto per il 2021.

Guardare i numeri del 2020 serve fino ad un certo punto, mentre ben più utile potrebbe essere approfondire quelle che sono le prospettive per il 2021, e queste sono tutt’altro che buone stando a quel che ha dichiarato il Cbo: “il debito federale detenuto dal pubblico raggiungerà quest’anno il 98% del PIL” come leggiamo su MF.

Tutti sappiamo che l’ammontare del debito pubblico ha una certa importanza, ma perché di fatto? Precisiamo anzitutto che si tratta dell’importo che gli USA devono ripagare con gli interessi. Tornando alle stime del debito pubblico del Cbo, queste comprendono diritti acquisiti come la previdenza sociale e la Medicare, ma si tratta più che altro di promesse politiche e non di contratti vincolanti.

Le stesse stime non tengono conto dei debiti di Fannie Mae e Freddie Mac, i colossi dell’edilizia residenziale garantiti dai contriuenti, e non includono i 1.500 miliardi di dollari di debiti per prestiti agli studenti, che rischiano di finire nelle casse dello Stato in caso di vittoria di Joe Biden.

Il debito pubblico negli Usa, dal 35 al 100% del PIL in meno di 15 anni

Un incremento che è tanto preoccupante quanto rapido, quello del debito pubblico americano, ma vediamo esattamente qual è il percorso che ha seguito nel corso degli anni. 

Fino al 2007, anno in cui si è verificato il crollo del mercato immobiliare con la crisi finanziaria, il debito pubblico degli Stati Uniti si attestava intorno al 35% del PIL, e segnava così il suo record positivo, anche perché non molti anni prima si aggirava intorno al 50%.

Era infatti nella seconda metà degli anni ’90 che il debito pubblico americano segnava quota 48%, per poi diminuire a causa della crescita più rapida e del contenimento della spesa, opera dei Repubblicani che vinsero alla Camera nel 1994.

Il ritmo della spesa però ha poi ripreso a crescere nel corso degli anni di amministrazione George W. Bush, e tuttavia il debito era ancora sotto controllo.

Eccoci poi alla recessione del 2008-09, affrontata da Barak Obama e Nancy Pelosi con un aumento della spesa pubblica che ha innescato quella che MF definisce “la più lenta ripresa economica dagli anni ’30.

Quando il presidente Obama ha lasciato la Casa Bianca il debito pubblico americano aveva raggiunto il 76,4% del PIL, continuando a crescere nei primi anni della presidenza di Donald Trump fino a raggiungere il 79,2%.

Arriva quindi il 2020 e con esso la pandemia ed il conseguente lockdown, ad applicare il quale peraltro Donald Trump si è mostrato a dir poco riluttante. Alla fine, nel bene o nel male alcune decisioni sono state prese ed eccoci davanti al conto da pagare.

Allo stato attuale della situazione americana, cioè senza i 1.000 miliardi di dollari che la Casa Bianca potrebbe decidere di mettere in campo, il debito pubblico negli USA supererà il 100% del PIL nel 2021, e per il 2023 raggiungerà, secondo le previsioni, il 107% diventando il più alto debito pubblico mai raggiunto dagli USA, superiore persino al picco segnato nel 1946.

In parole povere, con il debito pubblico al 107% gli Stati Uniti avranno un debito più alto di quanto l’economia americana riesce a produrre nel giro di un anno.

Con il debito pubblico USA al 100% cosa succederà?

Ora che il debito pubblico degli Stati Uniti ha raggiunto il 100% e si appresta a toccare il 107% nel 2023, cosa si può fare di concreto? La prima idea che balza alla testa è quella di fare come si fece nel 46, quindi rallentare gradualmente la crescita della spesa pubblica, ma si tratta di una strategia che andava bene nel dopoguerra, e che non si potrebbe applicare oggi.

Secondo l’analisi di MF, l’ostacolo è rappresentato dall’ascesa “dello Stato dei diritti acquisiti e delle sue crescenti pretese sul gettito fiscale per pagare i pensionati”. Riformare questi programmi non sarà impresa facile, e di certo non serve cercare di risparmiare sulla spesa per la difesa che è già scesa da tempo al 3,3%.

Esiste la possibilità però di applicare la Teoria Monetaria Moderna, che “include il mantenimento dei tassi di interesse zero o negativi il più a lungo possibile” spiegano su MilanoFinanza “questo faciliterebbe il finanziamento del debito ma renderebbe anche i deficit annuali politicamente più facili da gestire. Se la Tmm portasse inflazione, il debito si ridurrebbe in termini reali, ma danneggiando i creditori e i risparmiatori”. E sarebbe questo, concludono “il risultato più probabile”.

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