Conte ottiene la fiducia del Senato con 156 sì, ma non bastano. Ecco cosa succede ora

Non si può certo dire che il voto di ieri al Senato sia andato bene per il presidente del Consiglio, che se ha ottenuto la maggioranza lo deve solo alla decisione di Italia Viva di astenersi. Di certo quindi non possiamo parlare di una maggioranza solida, né in Aula né tantomeno nelle Commissioni, infatti per il premier la strada verso la ricostruzione dell’esecutivo è ancora lunga ed incerta.

Ieri a Palazzo Madama Giuseppe Conte ha ottenuto 156 Sì ma anche 140 No, il che significa che se i senatori renziani avessero deciso di votare No invece di astenersi, il premier si sarebbe trovato davanti ad un pareggio tutt’altro che tranquillizzante.

Al Senato mancano ancora 5 voti per la maggioranza

Il primo dato chiaro ed inconfutabile è che per avere la maggioranza al Senato il presidente del Consiglio ha bisogno di 161 voti, mentre Conte ieri ne ha raccolti a fatica 156, contando quelli dei senatori a vita, e quelli più o meno inattesi di alcuni senatori di Forza Italia, poi prontamente espulsi dal partito.

Il premier sapeva di poter contare soprattutto sui voti del Gruppo Misto, nel quale in un modo o nell’altro sono andati a finire i vari espulsi dal Movimento 5 Stelle, alcuni dei quali hanno ritenuto non fosse ancora giunto il momento di interrompere la loro brillante carriera politica, tra i quali figurano anche personaggi come Lello Ciampolillo, il voto del quale ha rischiato di non essere validato.

Ma non parliamo della valdiità delle risorse umane su cui il premier può ancora contare, parliamo dei numeri, ed è proprio lì che sta il suo primo ostacolo da superare, perché quelli che ha sono bastati ieri, ma non basteranno per governare domani, e lui lo sa bene.

Renzi: “davvero Conte se la sente di andare avanti con questi numeri?”

La maggioranza ottenuta ieri dal presidente del Consiglio non basta per formare un governo solido, anzi non basta affatto per governare, specialmente nelle Commissioni. Cosa di cui Conte è ben consapevole, e che lo stesso Matteo Renzi ha avuto il piacere di ricordargli, non senza cogliere l’occasione per ribadire concetti già espressi più e più volte.

Prima delle operazioni di voto, nel pomeriggio di ieri, il premier Conte aveva detto: “se non ci sono i numeri il governo va a casa”. I numeri ci sono stati alla fine, ma giusto per dare il tempo a Conte di trovare qualche altro senatore ‘responsabile’, infatti è lo stesso presidente del Consiglio dopo il risultato della votazione ad annunciare: “ora rendiamo la maggioranza più solida”.

Più renderla più solida si dovrebbe intanto provare a renderla una vera maggioranza, magari raggiungendo quota 161 a Palazzo Madama e risolvendo il problema delle Commissioni parlamentari.

Per Matteo Renzi si è trattato di un “mercato indecoroso di poltrone” che purtroppo ormai non scandalizza più nessuno, tanto ci si è abituati ad assistere a patomime indegne di un Paese che ama definirsi civile e democratico. Preoccupante poi il fatto che a far notare cotanto squallore sia proprio Matteo Renzi, che non ha mai brillato per doti particolarmente elevate.

“Serve un esecutivo più forte” fa notare arguto il leader di Italia Viva, al che arriva la replica di Giuseppe Conte che ricorda: “sono sempre stato disponibile al dialogo, ma Iv ha scelto la via dell’arroganza”.

Eppure lo stesso Renzi ha deciso di non infierire, scegliendo piuttosto la via dell’astensione che si è rivelata poi di importanza fondamentale per Conte, che altrimenti ieri dal Senato non avrebbe ottenuto nessuna fiducia.

E non si tratta di un dettaglio da poco, tant’è che è ancora Renzi ad evidenziare la precarietà della situazione. “Davvero Conte se la sente di andare avanti con questi numeri?” domanda Renzi “se la sente di fronte alla pandemia di andare avanti così? Non hanno i numeri nelle Commissioni”.

Conte ottiene la fiducia al Senato, ma chi ha votato sì?

Insomma per il momento Conte se l’è cavata, ma grazie a chi? Italia Viva non ha affondato il colpo, altrimenti sarebbe stato un pareggio, ma da dove sono arrivati i voti decisivi di cui Conte aveva bisogno?

Prima di tutto dobbiamo contare i voti dei senatori a vita, Mario Monti, Elena Cattaneo e Liliana Segre. Il primo ha sempre sostenuto il secondo governo Conte, tanto più da quando si è dichiarato espressamente europeista, la Segre invece non prende parte molto spesso ai lavori dell’Aula e quindi è venuta apposta per contribuire ad evitare il peggio.

Restando nel gruppo Misto troviamo poi i voti favorevoli di Pier Ferdinando Casini, vecchia gloria dell’Udc, e l’ex M5s Gregorio De Falco. Provvidenziale poi il voto giunto rocambolescamente di Lello Ciampolillo, il quale, dopo circa un’ora dall’inizio delle operazioni di voto, dopo essere risultato assente alla prima chiama, è riuscito a risultare assente anche alla seconda, salvo poi rettifica in extremis.

Insieme a Ciampolillo, dopo quei dieci minuti di verifiche che la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, si è trovata costretta ad avviare, è stato accettato anche il voto favorevole di Riccardo Nencini (Psi).

Sempre dal gruppo Misto sono arrivati anche i voti favorevoli di Sandra Lonardo (moglie di Clemente Mastella), Sandro Ruotolo, Saverio de Bonis (ex M5s).

Molto importante anche il contributo di due senatori di Forza Italia, che sono la senatrice Maria Rosaria Rossi, molto vicina a Silvio Berlusconi, per il quale rese la propria testimonianza in occasione del processo Ruby ter, finendo anche indagata per falsa testimonianza. La Rossi era stata perfino definita la “badante” del Cavaliere per il suo ruolo di accompagnatrice, assistente, consigliera, e tra l’altro tesoriere di FI per diversi anni. Un Sì che è stato definito inatteso quello della Rossi, mentre era nell’aria quello di Andrea Causin.

Il caso Ciampolillo, la Casellati costretta a ricorrere al Var

Dal senatore del gruppo Misto, Lello Ciampolillo, arriva uno dei Sì di cui il presidente del Consiglio aveva bisogno per ottenere la fiducia a Palazzo Madama. Stiamo parlando di un ex esponente del Movimento 5 Stelle espulso dal comitato dei probiviri per non aver restituito parte delle indennità percepite, secondo quanto stabilito dallo statuto del M5s.

Il motivo per cui Ciampolillo ha deciso di dare alla fine la fiducia al governo Conte lo ha spiegato lui stesso ai giornalisti, incuriositi dal suo ‘singolare’ caso. È stato per una questione di responsabilità e per il bene del Paese, ha confidato ai giornalisti il senatore.

Tuttavia, se quelle sono state le ragioni alla base della sua scelta, evidentemente fintanto che era rimasto indeciso, evidentemente non sapeva se agire nell’interesse dal Paese oppure no. Una indecisione che tra l’altro è durata per l’intero svolgimento delle operazioni di voto al Senato, e perfino oltre.

Già perché l’ex senatore pentastellato è risultato assente sia alla prima chiama che alla seconda, salvo poi spuntare dalle retrovie per pronunciare il suo sofferto Sì. La presidente del Senato però aveva già chiuso le operazioni di voto, e da regolamento quel voto giunto così tardivo non poteva essere accettato.

Le operazioni di voto infatti sono iniziate alle 21.18 subito dopo la fine della discussione. Alle 21.49 termina la prima chiama e si passa alla seconda, e ancora nessuna traccia di Ciampolillo, né di Nencini a dire il vero. Sono le 22.04 quando la Casellati comunica di non poter accettare il voto di Ciampolillo avendo già chiuso la seconda chiama, e sono le 22.24 quando la Casellati decide alla fine di ammettere i voti dei ritardatari.

Ma come mai Ciampolillo ci ha messo tanto a pronunciare il suo sì? D’altra parte le operazioni di voto sono durate quasi un’ora, c’era tutto il tempo per rendersi conto di aver saltato la prima chiama e prepararsi a pronunciare il sofferto sì con la seconda. “Si tratta di avere a cuore il bene della Nazione” ha spiegato il senatore “mi sono preso il mio tempo per decidere”.

Ma per Ciampolillo è stato particolarmente difficile farsi notare, far sentire il suo Sì. Il senatore infatti ha spiegato che con la mascherina è difficile far sentire la propria voce, e quindi non si sono accorti di lui per tempo. “Io ovviamente ero in Aula, mi son fatto vedere… Un po’ con il problema della mascherina si ha un, è difficile anche urlare e farsi, perché là bisogna dire: ‘sì’ no? Allora la presidente non aveva sentito”.

La versione ufficiale che la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha fornito dopo aver consultato le registrazioni video era però che il senatore era entrato in aula circa un minuto prima che lei chiudesse le operazioni di voto, insieme a Nencini tra l’altro, pertanto il voto è da ritenersi valido.

Ma perché restare fuori dall’aula fino alla fine se ci sono delle importanti operazioni di voto che si stanno svolgendo da quasi un’ora? Difficile rispondere a questa domanda, anche perché andrebbe posta ai diretti interessati, cosa che peraltro è stata fatta ma senza ottenere quelle risposte chiarificatrici che si sperava.

Conte ottiene poca fiducia, ma ora cosa succede?

In un modo o nell’altro, indubbiamente in quello meno esaltante, Giuseppe Conte ha ottenuto la fiducia del Senato, ma la strada per la formazione di un esecutivo stabile sembra ancora lunga e costellata di insidie.

I voti ottenuti al Senato per ora possono anche bastare, ma il presidente del Consiglio farà meglio a presentarsi quanto prima, presumibilmente oggi stesso, al Quirinale per informare il presidente della Repubblica di quali sono le sue intenzioni.

Vediamo qual è esattamente la situazione. Intanto dobbiamo considerare il fatto che al Senato la maggioranza è di 161 voti, mentre Conte ne ha ottenuti solo 156, quindi senza quei 5 voti si troverà in difficoltà tutte le volte che il Senato dovrà approvare un provvedimento, ma c’è un altro problema, forse persino più grosso, quello delle Commissioni parlamentari.

Infatti sia i presidenti che i componenti delle Commissioni sono stati votati quando al governo c’era anche Italia Viva, e questo significa che senza i renziani cambiano un po’ di cose. Non ci saranno grossi problemi nelle Commissioni di Finanze, Agricoltura, Lavoro e Politiche Ue, ma per Affari Costituzionali, Difesa, Giustizia, Bilancio, Esteri e Industria ora c’è una situazione di parità.

Ci sono però delle Commissioni in cui la maggioranza ora è nelle mani delle forze di opposizione, e stiamo parlando di Infrastrutture, Sanità, Cultura e Ambiente.

Il presidente del Consiglio quindi dovrà prima possibile risolvere il problema della maggioranza al Senato che così com’è ora è estremamente instabile, e al tempo stesso dovrà formare un nuovo gruppo, che un domani sarà un nuovo partito (che secondo alcuni indiscrezioni si chiamerà “Insieme”).

Alla Camera per il nuovo partito di Conte il presidente del Consiglio potrà contare probabilmente su Bruno Tabacci, e su Renata Polverini che ha dichiarato: “mi iscriverò al gruppo Misto e poi vedrò le evoluzioni che ci saranno. Al centro c’è uno spazio immenso che né Renzi prima né Calenda dopo sono riusciti a occupare, ed è lo spazio lasciato libero da Forza Italia. Quello di chi si riconosce nei valori del Partito Popolare europeo, dei moderati, dei liberali”.

Al Senato però la strada si presenta più in salita, e dal momento che i ‘responsabili’, anche detti ‘costruttori’ o ‘volenterosi’, ma talvolta definiti anche ‘voltagabbana’ se non peggio, sono meno di quel che Conte sperava, prima si dovrà procedere con l’approvazione del nuovo decreto Ristori, e solo successivamente si vada avanti con il tanto atteso rimpasto di governo.

In questo caso non ci sarebbero nemmeno le dimissioni del premier, ma ora è troppo presto per poter parlare di certezze e di progetti ben definiti. Sarà solo dopo l’incontro con il Capo dello Stato che sarà possibile avere un’idea più precisa di quali saranno le tappe che il primo ministro dovrà seguire.

Il parere del Quirinale e le due strade: rimpasto o Conte ter

Conte sarà al Quirinale nella giornata di oggi stesso, ma nel frattempo possiamo provare a fare il punto della situazione, ed individuare le opzioni che il premier si troverà davanti, che a quanto pare sono il Conte-ter ed il rimpasto.

Ne parla il quirinalista Marzio Breda dalle pagine del Corriere della Sera, dove spiega che per prima cosa Mattarella farà notare a Conte che il suo attuale esecutivo non nasce esattamente all’insegna della solidità che il presidente della Repubblica poneva come conditio sine qua non.

In teoria, spiega Breda, il presidente della Repubblica entra in gioco solo nel momento in cui il premier non ottiene la fiducia delle Camere, cosa che effettivamente non è ancora avvenuta. Questo vuol dire che Conte non è tenuto a presentarsi davanti a Mattarella a rendere conto di quanto sta accadendo, ma pare che lo farà ugualmente questo pomeriggio.

Conte vorrebbe seguire la strada del rimpasto, però potrebbe trovarsi a dover imboccare quella del Conte-ter. Nel primo caso il prossimo passo sarebbe quello di sostituire le ministre Bellanova e Bonetti, ed il sottosegretario Scalfarotto, cioè la delegazione di Italia Viva nell’esecutivo, dopodiché non dovrebbe far altro che presentarsi davanti alle Camere per ottenere una nuova fiducia.

Nel secondo caso, quello del Conte ter, il premier si dovrà dar da fare per intavolare una lunga trattativa con le varie forze politiche, ed in questo caso non sarebbero solo i due ministeri di famiglia e agricoltura, più il sottosegretario ad essere in ballo, ma un numero di caselle decisamente più consistente.

Una delle prerogative però è quella dei tempi stretti, infatti su questo il presidente della Repubblica è stato molto chiaro. Il premier potrebbe avere fino ad una decina di giorni a disposizione, dopodiché dovrà essere in grado di presentare una maggioranza sufficientemente solida dalla quale potrebbe nascere a seconda dei casi un Conte Ter o il famoso rimpasto.

Per Bettini serve “una terza gamba liberale e moderata” o si torna al voto

È chiaro che in tutto questo processo non saranno pochi gli ostacoli e restano tante incognite. Per questo non viene ancora accantonata del tutto neppure l’ipotesi del ritorno al voto. Ne parla l’esponente del Pd Goffredo Bettini, considerato uno dei consiglieri più ascoltati da Nicola Zingaretti, il quale ha accennato ad una “terza gamba liberale” da aggregare alla coalizione.

“Era importante prendere la fiducia: si tratta di un sufficiente punto di partenza; dobbiamo verificare rapidamente se c’è un processo di allargamento a quella ‘terza gamba’ liberale e moderata della quale ho parlato fin da agosto” ha spiegato Bettini “se tutto questo non accade, una volta passata la buriana e abbassati i contagi, andiamo al voto. Non ci sono alternative”.

Bettini si mostra convinto della possibilità per Conte di trovare l’appoggio di nuove formazioni che si andrebbero definendo nei prossimi giorni. “Io credo possa materializzarsi in modo sincero e serio quella ‘terza gamba’ della coalizione, con un nucleo di persone che sinora non hanno avuto l’intenzione di manifestarsi davanti all’incertezza della fiducia. Un nucleo che sia pronto ad essere parte del governo perché crede in una prospettiva politica liberale, riformista, moderata che tenga conto in modo rigoroso della discriminante europeista”.

“Se si realizza quella disponibilità anche sul piano dei numeri, allora ci consolidiamo, facciamo un Piano di fine Legislatura, ristrutturiamo il governo e puntiamo ad andare avanti sino al 2023” spiega ancora Bettini “i tempi dovranno essere accelerati, sia detto senza acredine ma Renzi mi fa ridere: Salvini ha detto voto. La destra della Meloni ha detto voto. O si rimette a posto questo governo, o si va ad elezioni non c’è alternativa”.

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