Gli Usa ripartiranno prima, la loro economia mostra inattesi segnali di ripresa che in Europa non ci sono

Fino al secondo semestre 2020 la percezione del mercato era che l’Europa fosse diretta a ritmi relativamente sostenuti verso una ripresa che invece gli Stati Uniti non sembravano essere in grado di avviare. Alcuni osservatori ritenevano che il Vecchio Continente sarebbe stato protagonista di quella tanto attesa ripartenza globale, mentre gli Usa venivano lasciati indietro.

Negli Usa la cosiddetta seconda ondata del virus sembrava creare più problemi di quelli che invece si trovava ad affrontare l’Europa, e questo si andava ad aggiungere alla situazione di incertezza riguardante l’esito delle elezioni presidenziali che hanno visto poi la proclamazione di Joe Biden a nuovo inquilino della Casa Bianca.

A spingere l’Europa verso questa presunta ripresa avrebbe dovuto essere il Next Generation Eu di Ursula von der Leyen, con questo strumento sarebbe stata innescata quella che gli addetti ai lavori definiscono una ripresa ‘ciclica’ alla quale avrebbero dato il proprio contributo banche, aziende energetiche e industriali concentrate nel settore dell’auto e in molti altri settori sensibili alla ripresa dei consumi.

In America tutto questo non stava accadendo, perché i colossi della tecnologia, le cosiddette big tech, stavano invece perdendo il vantaggio ad esse garantito dalla ‘stay home economy’ che costringe il cittadino ad affidarsi al web e quindi alla tecnologia per tutta una serie di servizi e attività che precedentemente avvenivano in ‘real life’. 

Il primo trimestre del 2021 ha segnato il cambio di paradigma, per così dire, ed ora i dati economici e il sentiment dei mercati raccontano una storia ben diversa. Pare infatti che non si verificherà nessun ‘sorpasso’ da parte dell’Europa nei confronti degli Usa, questo quanto meno è quanto affermano le recenti stime della Federal Reserve.

Il PIL Usa nelle stime della Fed crescerà del 6,4% nel 2021, e non del 4,2% come inizialmente stimato (a dicembre) mentre per la BCE siamo fermi intorno al 4%, ed alcune grandi banche hanno tagliato le stime trasformando il 5% in un più modesto 4%. Altri indicatori poi mostrano forti segnali di ripresa per gli Usa.

Le stime della Business Roundtable

A descrivere il quadro economico cui abbiamo accennato contribuiscono anche le stime che vengono effettuate su base trimestrale dalla Business Roundtable sui CEO Usa. L’ultima più recente survey indica che per il primo trimestre si è verificato un salto di 21 punti rispetto a tre mesi fa dell’indice delle prospettive economiche che raggiunge quota 107.

Più specificamente viene sottolineato come il sotto-indice sulle intenzioni di assunzioni salga di 30 punti fino a quota 88, e quello degli investimenti in programma salga di 16 punti fino a quota 100. Infine il sotto-indice relativo alle attese di fatturato che cresce di 17 punti fino a 134 punti.

Molto interessante in questo momento anche il dato relativo al valore netto della disponibilità economica delle famiglie americane, cioè l’indicatore che mostra gli asset sottratte le liability (passività) frutto anche dei numerosi stimoli fiscali e monetari dell’epoca Trump, e dei risparmi in eccesso accumulati per l’effetto combinato di lockdown e accantonamenti per i rischi legati a pandemia e restrizioni, che viene stimato in un 600% del Pil, tra asset finanziari, immobiliari e denaro contante depositato in banca.

Si rischia uno strappo dell’inflazione ma sarà temporaneo

Lo scenario che abbiamo appena descritto porterà molto probabilmente ad uno strappo dell’inflazione. Quella che si sta verificando è infatti la classica situazione in cui vi sono ‘troppi soldi per comprare troppo poche cose’, il che significa che stiamo entrando in una fase in cui la “ripartenza economica impatterà in qualche collo di bottiglia produttivo e distributivo ereditato dal blocco forzato dell’economia indotto dal virus” spiegano su Financial Lounge.

Ecco perché parliamo di strappo dell’inflazione, che sarà preceduto da un aumento delle aspettative che generano tensioni sui tassi dei Treasury. Un evento che per quanto rischi di prendere in contropiede la stessa Federal Reserve, non dà motivo di allarmarsi in quanto si tratterà con ogni probabilità di uno strappo dell’inflazione temporaneo.

Lo scenario infatti cambierà nuovamente nel momento in cui la macchina produttiva e distributiva si rimette in moto per soddisfare la ripartenza dei consumi di cui sopra. Delle vere e proprio spinte inflazionistiche, di quelle cioè che sono il prodotto di un mercato del lavoro che non è in grado di tener dietro alla crescita, necessitano infatti di tempi più lunghi.

Gli esperti hanno quindi ragione di credere che l’attuale situazione che vede tassi di interesse fermi a zero possa perdurare almeno per tutto il 2023.

La tenuta del dollaro e gli Usa “in serie A”

Abbiamo descritto uno scenario in cui gli Stati Uniti tornano ad essere locomotiva della ripresa economica nelle previsioni della Fed, uno scenario che sarebbe confermato dalla tenuta del dollaro, che a dispetto delle previsioni di qualche settimana addietro resiste sul cambio 1,20 contro l’euro.

Inoltre vediamo che il mercato azionario di Wall Street non è più dominato dai titoli tech, ma vede la presenza tanto della old quanto della new economy rappresentate da Dow Jones e Nasdaq.

Ha ben descritto la situazione in un’intervista rilasciata a Financial Lounge, l’economista Arrigo Sadun che ha usato una metafora calcistica. L’esperto ha infatti inserito in ‘serie A’ gli Stati Uniti insieme alla Cina e ad altri Paesi adriatici, ma probabilmente in compagnia anche del Regno Unito. Finiscono invece in ‘serie B’ i Paesi dell’Europa continentale insieme all’Italia.

Un particolare che è stato sottolineato sin dalle prime fasi della tentata ripresa economica post primo lockdown e che viene confermato ancora oggi è che se da una parte abbiamo una crisi che ha colpito nello stesso momento tutte le economie, per quanto riguarda la ripresa non si può parlare di ‘sincronia’ tra i vari Paesi, perché alcuni avvieranno la riparenza ben prima di altri, e la cosa tende ad accentuarsi.

Qual è l’approccio corretto per l’investitore

Il primo messaggio che l’investitore comune dovrebbe recepire in questo contesto che trasmette in realtà un falso allarme dovuto alla combinazione di tassi di interesse e inflazione al rialzo negli Usa, è quello di non lasciarsi ingannare dalle apparenze.

Secondo alcuni osservatori infatti non siamo di fronte ad alcuna catastrofe in grado di interessare persino i titoli tecnologici, né stiamo andando verso scenari di debito insostenibile dovuto all’aumento della spesa pubblica che gli Stati stanno affrontando per tenere in piedi un’economia estremamente vulnerabile.

Non si possono certo escludere scossoni tanto negli Usa quanto in Europa, ma su Financial Lounge troviamo conferma che “il Toro è ben piantato sulle gambe e ogni correzione sembra un’occasione da cogliere”. È sempre la stessa fonte però a sottolineare anche che l’andamento degli Usa non è come quello dell’Ue.

Il percorso che sta seguendo l’economia europea è diverso da quello dell’economia a stelle e strisce. Il primo infatti rischia di essere costellato di ostacoli che fino ad un paio di mesi fa non si intravedevano ancora, eppure la destinazione sembra essere la medesima.

Si sottolinea invece quanto sia sottovalutato piuttosto il rischio geopolitico, che analisti e commentatori tendono a non evidenziare affatto. Abbiamo visto il netto peggioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia all’indomani dell’insediamento del presidente democratico Joe Biden, specie con le recenti accuse a Vladimir Putin.

Ma se gli Usa sembrano ai ferri corti con la Russia, anche con la Cina le relazioni diplomatiche non sono certo migliorate con la nuova amministrazione. Biden non solo non ha alleggerito le tensioni con il drago, ma ha persino aggiunto una “componente ideologica” che non troviamo nella politica di Donald Trump.

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