Vaccino Covid, a che punto sono le sperimentazioni e quando le prime dosi?

Così come molti italiani, anche il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, spera vivamente che entro la fine dell’anno si possano ricevere le prime dosi del vaccino contro il Covid-19 per, come sostiene lui stesso, “inondare i nostri sistemi di vaccini“.

Naturalmente non si tratterà di una diffusione improvvisa delle dosi, bensì graduale, infatti secondo alcune stime ottimistiche già entro Natale l’Italia potrebbe ricevere i primi 2-3 milioni di dosi del vaccino prodotto da AstraZeneca e sviluppato presso l’Università di Oxford.

Il nostro Paese infatti, assieme a Germania, Francia e Paesi Bassi ha scommesso proprio su questo vaccino, quindi con l’arrivo delle prime dosi inizierà la vaccinazione partendo dai soggetti più deboli e da quelli più esposti al virus.

Come specificato, si tratta appunto di stime ottimistiche, infatti non è detto che queste tempistiche vengano rispettate. Walter Ricciardi, dell’Istituto Superiore di Sanità, ha già messo le mani avanti ed ha affermato che i tempi potrebbero essere ben più lunghi.

Anche Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha infatti avvertito che le dosi potrebbero non arrivare prima della prossima primavera.

A che punto sono gli altri candidati vaccini?

Quello di AstraZeneca non è l’unico campione che sta per terminare la fase di sperimentazione. Attualmente al mondo ci sono circa 150 possibili candidati vaccini in fase di sperimentazione: alcuni di questi si trovano appunto nelle fasi finali di sperimentazione, mentre altri sono ancora ben lontani dalla conclusione dei test ma non va ecluso che questi, un giorno, possano rivelarsi ben più efficaci dei primi, magari debellando il virus definitivamente e non temporaneamente.

Anche i campioni prossimi alla conclusione dei test comunque non saranno pronti immediatamente. Negli USA, l’amministrazione di Donald Trump ha affermato che il primo novembre 2020 i singoli Stati dovranno avere pronti i punti di distribuzione.

Considerando però che le elezioni negli Stati Uniti si terranno il 3 novembre, non sono in pochi a sospettare che questa mossa abbia ragioni più elettorali che mediche. Robert Redfield, direttore del Centro di COntrollo Malattie, ha infatti affermato che è del tutto improbabile che un vaccino possa essere pronto prima della metà del prossimo anno.

Anthony Fauci, direttore dell’Istituto di Malattie Infettive statunitense, ha previsto invece che la popolazione americana potrà dirsi al sicuro solo verso la fine del 2021.

Quindi, anche se senza alcuna certezza e con tutte le incognite del caso legate all’efficacia e alla durata della copertura, si può tracciare una “mappa presuntiva” delle tempistiche dei vari vaccini.

Entro la fine del 2020 si potrebbero già avere alcune (poche) dosi dei candidati vaccini che attualmente si trovano nella fase più avanzata di sperimentazione, quindi prossimi alla conclusione dei test. Attorno alla primavera del 2021, invece, dovrebbe già essere iniziata (e quindi essere già in una fase abbastanza avanzata) la vaccinazione di buona parte della popolazione. Verso la fine del 2021, poi, il processo potrebbe già essere terminato.

Ciò significa che nel giro di un anno la pandemia da Covid-19 potrebbe essere completamente superata, ma occorre valutare l’efficacia e la durata di copertura dei campioni. Se questi offrissero una copertura temporanea, infatti, occorrerebbe ripetere l’operazione più di una volta e intanto valutare i tassi di efficacia: ovviamente si spera in un 100%, ma a quanto pare gli esperti si dicono soddisfatti anche di un eventuale 50%.

Se queste tempistiche venissero rispettate, non solo verrebbero mantenute tutte le promesse fatte alla popolazione, ma si tratterebbe anche di un vero e proprio record, poiché distribuire un vaccino sul mercato in genere richiede circa 15 anni.

Ad oggi, il vaccino più rapido ad essere immesso sul mercato è stato quello contro gli orecchioni, sviluppato negli anni ’60 e distribuito a soli 4 anni dall’avvio della sperimentazione.

Questo è quindi il quadro generale della situazione, ma a che punto sono i candidati vaccini? Bisogna innanzitutto specificare che qualunque sia il campione a “vincere” questa corsa contro il tempo, avrà in sostanza lo stesso meccanismo di base degli altri.

Ogni vaccino, infatti “istruisce” il sistema immunitario, lo rafforza e lo guida a distruggere un determinato virus. Questa strategia consente di ottenere una risposta immunitaria molto più potente ed efficace di quella che si avrebbe tramite un contagio naturale, con un minore rischio di conseguenze fisiche.

In questo caso, come spiega il National Geographic, per creare questa “barriera“, alcuni vaccini utilizzano l’intero coronavirus, opportunamente modificato al fine di renderlo inattivo e quindi molto meno virulento. Altri campioni invece utilizzano solo degli antigeni, cioè delle piccole porzioni, siano esse una proteina o un minuscolo frammento del virus stesso.

Altri ancora sono basati sul trasferimento di proteine prelevate dal coronavirus e trasferite ad altri virus che hanno poche o nessuna probabilità di causare malattie. Infine vi sono poi dei vaccini sviluppati a partire dal codice genetico del virus. Questi consentono al nostro organismo di venire a contatto con il genoma del patogeno e di prepararsi producendo le proteine che consentono di riconoscerlo, in modo da attivare prontamente una risposta immunitaria in caso di infezione.

Ogni vaccino ha quindi caratteristiche differenti, ma vediamo nel dettaglio ciascuno dei candidati più promettenti e quali sono le tempistiche stimate per la produzione e distribuzione delle prime dosi.

AstraZeneca

Il vaccino prodotto da AstraZeneca, sviluppato dai ricercatori dell’Università di Oxford, si chiama ChAdOx1 nCoV-19 ed è stato prodotto trasferendo la proteina “spike” del coronavirus in una versione modificata (indebolita) dell’adenovirus, ossia il normale virus del raffreddore.

In questo modo, somministrando questo virus modificato con la proteina spike legata, l’organismo dovrebbe attivare una risposta immunitaria efficiente. Infatti dai risultati delle prime due fasi di sperimentazione è emerso che questo campione è in grado di generare una potente risposta immunitaria con effetti colaterali del tutto trascurabili (stanchezza, mal di testa).

Per la fase 3, quella finale, sono stati arruolati circa 50mila volontari e, come già riportato, le prime dosi sono attese entro la fine dell’anno corrente.

Johnson & Johnson

Anche il vaccino di Johnson & Johnson, in maniera analoga a quello del campione di AstraZeneca, si basa sull’introduzione di parte del DNA di Sars-CoV-2 nell’adenovirus responsabile del raffreddore, ma opportunamente modificato al fine di ridurne la capacità di replicazione.

La casa farmaceutica aveva già utilizzato questa tecnologia per sviluppare il vaccino contro Ebola e quelli sperimentali contro Zika e HIV. Alcuni studi pubblicati a luglio su Nature hanno poi dimostrato come il campione sia stato in grado di fornire una copertura completa o quasi completa dopo la somministrazione di una sola dose.

Alla fine dello scorso mese ha avuto inizio la fase 3 di sperimentazione su circa 60mila volontari adulti, arruolati da Paesi diversi, con una buona percentuale di soggetti volontari anziani e con patologie pregresse che potrebbero essere quindi più vulnerabili al Covid-19.

Moderna

Il vaccino sviluppato da Moderna, se efficace, risulterebbe il primo al mondo a mRNA. Su MIT Tech Review si legge che questo vaccino “incorpora le istruzioni genetiche per il componente di un virus all’interno di una nanoparticella, che poi può essere iniettata in una persona. Sebbene questo nuovo metodo sia rapidissimo da preparare, non ha ancora condotto alla commercializzazione di un vaccino”.

In questo caso, la casa farmaceutica ha aggiunto alla nanoparticella le informazioni genetiche corrispondenti alla proteina spike. Per fare ciò inoltre non è necessario avere il virus vero e proprio, ma è sufficiente conoscere la sequenza genetica della proteina.

Inoltre non è necessario produrre grandi quantità di materiale perché in un certo senso è il nostro stesso orgnanismo a produrre il “vaccino”. Ciò rende molto più semplice, oltre che rapida ed economica, la produzione su larga scala del campione.

La fase 3 di sperimentazione è stata avviata lo scorso luglio ma sono ancora sotto esame i risultati ottenuti dalla fase 2, dai quali è emerso che i pazienti hanno sviluppato degli anticorpi, proprio come atteso dai ricercatori.

L’obiettivo di Moderna è quello di consegnare circa 500 milioni di dosi entro l’inizio del 2021, anche se secondo Stéphane Bancel (CEO), non ci sarà una disponibilità così ampia prima della metà dell’anno.

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