Earth Overshoot Day, ogni anno la data viene anticipata: il 2022 è il peggiore degli ultimi 50 anni

Le condizioni dei nostri ecosistemi sono ormai critiche, con una siccità durissima, ondate di caldo anomale, il distacco di ghiacciai perenni e un’insicurezza alimentare sempre più diffuse.

A questo si aggiunge anche il fatto di aver da poco (28 luglio) superato l’Earth Overshoot Day 2022, ossia il giorno, calcolato ogni anno dal Global Footprint Network, in cui la popolazione globale esaurisce virtualmente tutte le risorse che la Terra riesce a rigenerare in un anno.

Il dato preoccupante è che ormai da 50 anni questa data continua ad essere anticipata anno per anno. Infatti le continue emissioni di gas serra, lo sfruttamento e la scarsa tutela dei territori contribuiscono ad aggravare irrimediabilmente il deficit ecologico dell’umanità.

In questo senso, secondo gli esperti quello del 2022 è l’anno peggiore dagli anni Settanta ad oggi. Il 2020, l’anno in cui ha avuto inizio la pandemia da Covid-19, aveva fatto ben sperare per quanto riguarda il consumo delle risorse. Questo perché a causa della chiusura di moltissime attività, le emissioni di CO2 nell’ambiente erano notevolmente calate.

Infatti nel 2020 l’Overshoot Day è stato il 22 agosto, vale a dire con un notevole ritardo rispetto alla media degli anni precedenti. Ora però, la situazione è tornata a peggiorare, arrivando addirittura a segnare un nuovo record negativo per gli ultimi 50 anni.

Se si osservano i dati raccolti negli ultimi anni, però, si può notare che anche nel 2018 la data dell’Overshoot day cadeva il 28 luglio. Quindi non è stata la prima volta che si è raggiunto questo picco storico.

L’evento cade quindi ben 156 giorni prima della fine dell’anno. Con lo attuale stile di vita, la popolazione mondiale utilizza il 74% in più di quanto la Terra riesce a produrre. E questo valore è in costante aumento. Ciò significa che, al momento, per soddisfare tutti avremmo bisogno di almeno 1,75 Terre.

Gli NFA (National Footprint & Biocapacity Accounts), ossia i modelli elaborati dalla Footprint Data Foundation (FoDaFo) e dall’Università di York (Canada) grazie ai dati forniti dalle Nazioni Unite, si basano sulle differenze dei singoli Stati e sulla loro impronta ecologica. Attualmente quella globale ammonta a 2,7 Gha (ettari globali) a persona.

Questo è il sistema più efficace per calcolare la differenza tra le richieste delle persone di aree biologicamente produttive (biocapacità) e la capacità dell’intero pianeta di rigenerarle. Ciò comprende quindi le richieste di cibo, di legname, di materiale per la costruzione delle infrastrutture e tutte le attività che comportano delle emissioni di CO2.

Basti pensare che al momento le emissioni costituiscono circa il 60% della global footprint. Inoltre molti Paesi, come ad esempio Canda, Stati Uniti, Russia e Australia, hanno iniziato l’anno già in debito. Per cui ciò che ci ha permesso di non arrivare a un punto di rottura fino ad oggi è esclusivamente il comportamento virtuoso di alcune popolazioni, che presentano un’impronta ecologica estremamente bassa.

Vi sono infatti molti Paesi, come ad esempio l’Italia, che hanno registrato il loro Overshoor Day a pochi mesi dall’inizio dell’anno (15 maggio nel caso del nostro Paese), mentre altri non raggiungeranno mai la soglia di superamento delle risorse nazionali, quindi questo contribuisce ad “abbassare la media” globale. Tuttavia, se messo a confronto con gli enormi consumi degli Stati più ricchi, tutto ciò non basta, ed è per questo che ci ritroviamo a fissare l’Overshoot Day con sempre più giorni di anticipo ogni anno che passa.

Secondo quanto affermato dal Global Footprint Network, circa 3 miliardi di persone vivono in Stati che consumano più cibo di quello che sono in grado di produrre. Alcuni di questi, tra cui Italia, Regno Unito e Svizzera, hanno un reddito sufficientemente alto da potersi permettere di importarlo.

Ve ne sono però altri, come ad esempio il Nepal, che riescono a produrre meno dell’80% del cibo necessario alla loro popolazione e che faticano ad accedere alle risorse alimentari sul mercato. Se prendiamo il caso del Nepal, infatti, vediamo che il suo reddito pro capite è pari solamente al 9% della media mondiale.

Per le stesse identiche ragioni sono a rischio anche molte popolazioni dell’Asia e dell’Africa. Questo fenomeno si è acuito fortemente in seguito allo scoppio dei conflitti armati in Ucraina, che hanno contribuito a portare a galla le fragilità della nostra catena di distribuzione del grano.

Ma questi Paesi non sono i soli. Infatti anche Cina e India hanno affermato di essere ormai al limite. Se poi si includono anche altri beni, allora la quota di persone che utilizzano più di quanto il loro territorio può produrre sale a 5,8 miliardi.

Inoltre almeno 8 miliardi (vale a dire circa il 72% della popolazione mondiale) vivono in Paesi che hanno già da un pezzo superato l’Overshoot Day, e che quindi si trovano in deficit di risorse.

Basandosi sui dati raccolti e appena riportati, con tutti i debiti ecologici accumulati dagli anni Settanta ad oggi, al nostro pianeta servirebbero ben 19 anni senza consumi per potersi completamente rigenerare. Il Global Footprint Network sta raccogliendo sulla piattaforma The Power of possibilities, una serie di azioni utili al fine di limitare il più possibile l’esaurimento delle risorse.

Basti pensare che solamente evitando gli sprechi alimentari si potrebbe spostare la fatidica data di ben 13 giorni più avanti. Inoltre la mobilità sostenibile, come ad esempio l’utilizzo della bicicletta la posto dell’automobile, come accade già nei Paesi Bassi, potrebbe portare ad uno slittamento di altri 10 giorni.

L’utilizzo di energia eolica, allo stesso livello di Germania e Danimarca, potrebbe invece portare a un ulteriore ritardo di 9 giorni. Molti esperti ritengono che se si riuscisse a far slittare la data di almeno 6 giorni ogni anno fino al 2050, per soddisfare i consumi globali tornerà ad essere sufficiente ciò che la Terra riesce a rigenerare.

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