tasse

L’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti sulla gestione degli investimenti finanziari per chi decide di trasferirsi definitivamente all’estero. Con la risposta n. 208 del 14 agosto 2025, l’amministrazione finanziaria ha confermato che chi sposta la residenza fuori dall’Italia può mantenere il proprio deposito titoli presso intermediari nazionali senza dover modificare il regime fiscale prescelto.

La questione era stata sollevata da un cittadino italiano che, dopo essersi trasferito in Thailandia all’inizio del 2025 con un visto di residenza decennale e iscrizione all’Aire, si interrogava sulle conseguenze fiscali del cambio di residenza sui propri investimenti. In particolare, il contribuente voleva sapere se fosse costretto ad abbandonare il regime del risparmio amministrato per passare a quello dichiarativo.

Le preoccupazioni del contribuente emigrato

Il caso riguardava una situazione piuttosto comune: un investitore italiano che aveva scelto il regime del risparmio amministrato per i propri titoli e che, una volta trasferitosi all’estero, temeva di dover affrontare cambiamenti obbligatori nella gestione fiscale dei propri investimenti. Le sue preoccupazioni si concentravano principalmente su due aspetti critici.

Il primo riguardava la possibilità di dover necessariamente optare per il regime dichiarativo, che comporta maggiori adempimenti e complessità nella gestione delle imposte sulle plusvalenze. Il secondo aspetto, ancora più delicato, concerneva il rischio che il cambio di regime potesse innescare la tassazione immediata delle plusvalenze accumulate ma non ancora realizzate sui titoli in portafoglio.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate

L’amministrazione finanziaria ha fornito una risposta rassicurante, spiegando che il trasferimento di residenza all’estero non comporta automaticamente l’obbligo di modificare il regime fiscale prescelto per gli investimenti. Chi ha optato per il risparmio amministrato può continuare a beneficiarne anche dopo aver spostato la propria residenza fiscale fuori dall’Italia.

Questa posizione si basa su una valutazione approfondita del quadro normativo esistente, in particolare delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 461 del 1997. La normativa prevede due sistemi alternativi per la tassazione delle plusvalenze: il regime dichiarativo e quello del risparmio amministrato, ciascuno con caratteristiche e modalità operative specifiche.

Il regime dichiarativo comporta l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 12,50% sulle plusvalenze, da versare secondo le modalità previste per le imposte sui redditi. Il regime del risparmio amministrato, invece, consente il pagamento dell’imposta direttamente attraverso l’intermediario che gestisce il deposito titoli, semplificando notevolmente gli adempimenti per l’investitore.

Il trattamento particolare per i non residenti

Un aspetto particolarmente interessante della risposta riguarda il trattamento riservato ai contribuenti non residenti. L’Agenzia ha ricordato che per questa categoria di soggetti, il regime del risparmio amministrato è considerato quello “naturale” e si applica automaticamente anche senza una specifica opzione da parte dell’interessato.

Questa previsione deriva da una circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 1998, che ha chiarito come l’imposta sostitutiva venga applicata direttamente dall’intermediario, salvo rinuncia esplicita dell’interessato al regime semplificato. Tale meccanismo riconosce la maggiore complessità che i non residenti potrebbero incontrare nella gestione diretta degli adempimenti fiscali.

Nessuna tassazione automatica in caso di cambio

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla risposta riguarda le conseguenze di un eventuale cambio di regime. L’Agenzia ha specificato che la revoca dell’opzione per il risparmio amministrato non costituisce un evento che determina automaticamente la realizzazione di plusvalenze tassabili.

Questo significa che se un contribuente decidesse di passare dal regime amministrato a quello dichiarativo, tale scelta non comporterebbe la necessità di pagare immediatamente le imposte sulle plusvalenze maturate ma non ancora realizzate sui titoli in portafoglio. Le plusvalenze continuerebbero a rimanere “latenti” fino al momento della loro effettiva realizzazione attraverso la vendita dei titoli.

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