Negli ultimi giorni Quentin Fitzsimmons, gestore obbligazionario globale di T. Rowe Price, ha formulato alcune interessanti valutazioni sullo stato di salute dei mercati obbligazionari globali, sottolineando come – tra la crisi della valuta turca e argentina da una parte, e l’estrema volatilità dei Titoli di Stato italiani dall’altra – l’ultimo periodo è stato piuttosto movimentato. Ad ogni modo, almeno per il momento non si sono verificati segnali di un contagio che possa condurre a un ciclo di avversione al rischio più diffusa.
Piuttosto, la situazione internazionale sembra essere particolarmente varia, con alcuni Paesi come la Romania che sono rimasti piuttosto stabili, ed altri come l’Argentina che hanno subito un rapido deterioramento, come la Turchia, il Brasile, l’Indonesia e, più di recente, la Russia e il Sudafrica. Spesso a finire nel mirino sono stati i Paesi politicamente instabili o con un tale disavanzo delle partite correnti da preoccupare gli investitori per le difficoltà di finanziamento.
Sebbene sia prematuro – sottolinea il gestore – parlare della fine della volatilità (i rischi non mancano di certo), è vero che ci potrebbero già essere alcune opportunità piuttosto interessanti per gli emergenti. Potenzialmente infatti, alcuni Paesi sono stati penalizzati con valutazioni che hanno subito aggiustamenti eccessivi rispetto ai rischi associati: un esempio per T.Rowe Price è rappresentato dal Messico, così come dalla Colombia, altro Paese dai fondamentali interessanti.
Passando poi ai mercati sviluppati, nella maggior parte dei casi si è riscontrata una volatilità decisamente più contenuta rispetto ai mercati emergenti. Tuttavia, non tutti i Paesi sono stati immuni: si pensi alla corona svedese, che ha sottoperformato rispetto alle valute delle altre economie avanzate, o – per arrivare ai nostri confini – a quanto sta avvenendo in Italia, dove i timori legati alla politica hanno innescato deflussi significativi da parte degli investitori internazionali.
Infine, sul fronte dei mercati obbligazionari corporate, emerge un comportamento molto più selettivo da parte degli investitori. “Con il proseguire dell’inasprimento monetario negli USA in un momento in cui le altre principali banche centrali stanno riducendo i propri programmi di stimolo, la possibilità che l’‘effetto domino’ si trasformi in una condizione più sistematica di scarsa propensione per il rischio resta una preoccupazione fondamentale” – conclude l’analista.
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