Brexit, altro rinvio? Boris Johnson non ne vuole sapere: “meglio morto”

Non ha usato mezzi termini Boris Johnson, premier dei conservatori britannici, nel rispondere alla domanda su un eventuale ulteriore rinvio dell’uscita del Regno Unito dall’Europa. “I’d rather be dead in a ditch” è stata l’esatta espressione usata da Johnson, che in italiano si può tradurre più o meno con: “preferirei finir morto in un fosso” piuttosto che accettare un altro rinvio che sposterebbe la Brexit oltre la data del 31 ottobre.

Dopo la sconfitta ai comuni, e l’approvazione della mozione contro la Brexit No Deal, il leader Tory sposta la battaglia nelle piazze spingendo per un ritorno alle urne nel mese di ottobre. Le piazze oggi in particolare sono quelle della Scozia, un territorio ostile sia a lui che all’uscita della Gran Bretaglia dall’Eurozona. Qui ha portato le sue ragioni per le elezioni anticipate e per cercare di spingere le opposizioni ad approvare la sua mozione.

Intanto i giudici dell’Alta Corte britannica di Londra hanno di nuovo dichiarato legale la sospensione del Parlamento britannico per 5 settimane a partire dalla prossima, come Boris Johnson aveva preannunciato. La conferma da parte dei giudici è giunta in seguito al ricorso di militanti anti-brexit respinto in Scozia.

Gli avvocati dell’attivista Gina Miller, con l’appoggio di politici pro Remain di diversi partiti tra i quali l’ex premier John Major, hanno visto le proprie contestazioni respinte ed ora il caso passerà dal vaglio della Corte Suprema.

Boris Johnson per il voto anticipato

Johnson vuole il voto anticipato, ma non è la strada che avrebbe scelto, ritiene invece che sia l’unica ormai percorribile per sciogliere i nodi ed uscire da una situazione di stallo. In questa prospettiva, l’opposizione di Corbyn viene bollata da Johnson come un “insulto codardo alla democrazia”.

Il 9 settembre ci sarà il nuovo voto sulla mozione ed in caso di nuovo stop fornirà al leader Tory il giusto spunto per rilanciare il suo slogan “popolo contro palazzo”. Come ha già ampiamente spiegato in occasione della visita nello Yorkshire, Johnson ha ribadito che il testo anti no-deal Brexit votato ai Comuni dagli oppositori non è null’altro che la “legge della resa” di fronte a Bruxelles.

Tra coloro che avevano votato il testo vi erano anche 21 dissidenti del partito Conservatore, tutti di spicco e tutti poi conseguentemente espulsi. Tra gli espulsi figura anche Nicholas Soames, nipote di Winston Churchil. Proprio di Churchill tra l’altro, Johnson si considera l’erede politico, e di lui aveva elogiato la carriera nel libro in cui raccontava la sua biografia: “The Churchill Factor: How One Man Made History”.

Quella che Johnson definisce la legge della resa serve solo a moltiplicare i “rinvii e le tergiversazioni” a oltranza, a impedire la prospettiva di un accordo di separazione dell’Ue privo del backstop sul confine irlandese, e in sintesi ha la funzione di “rovesciare il risultato del più grande esercizio democratico della nostra storia” dice Boris Johnson “il referendum del 2016”.

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