Chi sono i nuovi poveri del Covid: le vittime delle misure restrittive tra partite Iva e lavoratori in nero

Nelle più grandi città italiane l’arrivo del Covid-19, o per essere più precisi l’inizio di lockdown e misure restrittive, ha determinato un improvviso picco di richieste di aiuto. In città come Milano, Treviso, Napoli e Palermo il drammatico fenomeno viene percepito come delle vere e proprie ondate, mentre in città come Genova, Torino e Roma l’incremento delle persone che chiedono aiuto si mostra lento e costante.

Dalle Caritas diocesane fanno sapere che, per quel che riguarda le richieste di aiuto che hanno iniziato ad arrivare dall’inizio del lockdown ormai oltre un anno fa, le esigenze sono anche cambiate.

Ora tra le priorità pagare gli affitti arretrati per evitare lo sfratto

“Ai tempi del primo lockdown la priorità era il cibo” spiega Pierluigi Dovis, direttore dell’ufficio diocesano di Torino “una richiesta enorme: arrivavano i lavoratori in nero che avevano dovuto fermarsi da un giorno all’altro, le famiglie che non potevano più contare sul pranzo della mensa scolastica”.

Ora qualcosa è cambiato, e di certo non in meglio. “Ora l’urgenza è iniziare a pagare gli affitti arretrati per evitare lo sfratto quando sarà finito il blocco. Star dietro alle bollette. O potersi permettere una visita specialistica senza intaccare gli ultimi risparmi” spiega ancora Dovis.

Non possiamo dimenticare infatti che il numero degli Italiani in condizioni di povertà assoluta è aumentato di circa 1 milione di unità da quando è stato imposto il primo lockdown, arrivando a sfiorare i 5 milioni e mezzo di poveri, quasi il 10% della popolazione del Paese.

Abbiamo visto i dati Istat sul calo dei livelli di occupazione, e l’allarme circa il boom di case all’asta dovuto al mancato pagamento delle rate del mutuo. Questo è il prezzo del lockdown e della politica di restrizioni con cui in Italia si è deciso di gestire l’emergenza Coronavirus, ignorando l’esempio di altri Paesi che hanno avuto meno decessi Covid per numero di abitanti senza imporre misure restrittive.

Chi sono i nuovi poveri provocati da lockdown e misure restrittive

E chi sono i nuovi poveri, chi sono le persone che si sono ritrovate con l’acqua alla gola e che, spesso per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto chiedere aiuto alla Caritas per far fronte alle necessità basilari?  Si parla di facce nuove, da Nord a Sud nell’approfondimento de Il Fatto Quotidiano che ha preso in esame alcune grandi città.

A rivolgersi ai volontari della Caritas sono state persone che mai avrebbero pensato di non farcela da sole, e tra queste vi erano, secondo quanto raccontato dagli stessi volontari, piccoli commercianti, stagionali del turismo e della cultura ma anche professionisti con partita Iva ma non solo, organizzatori di eventi, tassisti, camerieri, parrucchieri, in poche parole l’intera classe media del settore terziario.

A finire sul lastrico a causa delle restrizioni imposte da oltre un anno ormai, sono anche i collaboratori domestici, che non avendo alcun contratto non possono lavorare in zona rossa o con il lockdown.

La Cei mette in piedi una sorta di welfare parallelo

Per aiutare tutte queste fasce di popolazione la CEI ha provato a mettere su una specie di welfare parallelo a quello messo in campo dallo Stato, quest’ultimo fatto di Ristori tutt’altro che adeguati e ben lontani dall’essere sufficienti a garantire le necessità di base delle famiglie che ne beneficiano, e di ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione che spesso arriva in ritardo, quando arriva.

Si pensa quindi di offrire ai nuovi poveri causati da lockdown e restrizioni un sostegno economico da una parte, ma anche progetti di riqualificazione professionale dall’altra, in grado di fornire un aiuto concreto nella ricerca di nuove opportunità di lavoro attraverso la stessa rete di volontari. In questo ambito sono stati quindi attivati dei tirocini e sono stati finanziati dei piccoli progetti di lavoro autonomo.

La disastrosa situazione di Milano

A descrivere la situazione di Milano a un anno dal primo lockdown è Francesco Chiavarini, portavoce della Caritas ambrosiana, il quela ha spiegato che “la prima scoperta è stata che a Milano c’era davvero tanta gente che tirava avanti lavorando in nero. Badanti, colf, parcheggiatori, idraulici con un piccolo giro di clienti… Quando hanno perso quel piccolo reddito sono stati i primi ad arrivare negli empori della solidarietà”.

Questo però è quello che è accaduto a inizio pandemia, solo che le cose poi hanno continuato a peggiorre, e tra marzo e dicembre 2020 la richiesta di aiuti è cresciuta del 120% a Milano e nell’interland. Chiavarini riferisce che gli empori e le botteghe della solidarietà, dove ognuno sceglie quello di cui ha bisogno, hanno distribuito cibo e indumenti a quasi 34 mila persone.

“Subito dopo abbiamo iniziato a vedere chi fino alla pandemia lavorava con contratti a termine nei settori più colpiti, come ristorazione e alberghi, e cassintegrati che avevano ricevuto così poco da non poter nemmeno fare la spesa. Poi le partite Iva e i professionisti, a cui i ristori magari erano arrivati, ma non bastavano” ha spiegato ancora Chiavarini.

Ed è lo stesso Chiavarini ad ammettere che si tratta appunto di nuovi poveri, persone che non si aspettavano di potersi trovare in una condizione simile dall’oggi al domani. “Parliamo di famiglie per cui rivolgersi alla Caritas è stato un vero dramma” ha spiegato il portavoce.

Adesso la situazione non è certo migliorata, ma adesso la strategia di intervento è cambiata, e se prima si pensava principalmente al cibo, ora si cerca di offrire dei contributi a fondo perduto per chi si è ritrovato senza reddito.

Il fondo San Giuseppe che è stato creato a inizio pandemia con il contributo del Comune di Milano, e poi alimentato da donazioni, ha aiutato 2.454 persone in tutta la Regione. Queste persone hanno ricevuto per tre mesi da un minimo di 400 ad un massimo di 800 euro al mese in base alla composizione del nucleo familiare.

A Genova tra i nuovi poveri, cassintegrati, percettori di RdC e lavoratori in nero

Anche a Genova la situazione si presenta drammatica, a descriverla per Il Fatto Quotidiano Lucia Foglino, coordinatrice dell’osservatorio povertà della Caritas del capoluogo ligure.

“L’aumento è continuo. Ogni settimana vediamo arrivare persone nuove. L’anno scorso abbiamo toccato le 6.200 presenze nei centri di ascolto, quasi tutti con una famiglia” ha spiegato la Foglino che ha poi fatto un rapido identikit dei casi più frequenti.

Tra coloro che si sono rivolti ai centri di ascolto “cassintegrati a cui il bonifico è arrivato tardi o non è arrivato proprio, percettori di reddito di cittadinanza che arrotondavano con lavoretti come baby sitting o aiuto domestico, lavoratori totalmente in nero – molto più numerosi di quel che ci aspettavamo  e badanti che hanno perso casa e lavoro”.

E anche in questo caso si è assistito ad un cambiamento nella tipologia di aiuto, che se prima consisteva prevalentemente in buoni spesa da usare nei negozi di alimentari, ora diventa il pagamento dell’affitto, delle bollette, servono i computer per la didattica a distanza, il denaro per versare i contributi Inps da lavoratore autonomo e i soldi per le spese mediche.

In questo dramma provocato dalla gestione dell’emergenza sanitaria non ci sono solo necessità materiali “sono cresciuti molto i disagi relazionali, l’ansia, gli attacchi di panico” spiega la Foglino, precisando “numeri non ne abbiamo ancora, ma l’impressione è che la pandemia abbia avuto un impatto pesante sulla salute mentale“.

A Torino preoccupazione per il prossimo futuro “stanno nascendo forme di insofferenza che potrebbero degenerare”

Il direttore dell’ufficio diocesano Caritas di Torino, Pierluigi Dovis, ha sottolineato la preoccupante impennata senza precedenti delle richieste di supporto relazionale e psicologico “il consumo di calmanti da banco ha avuto un aumento esponenziale” spiega dicendosi “molto preoccupato per quel che succederà tra qualche mese, quando per evitare sfratti e coprire le spese delle famiglie rimaste senza lavoro serviranno tante risorse”.

“Già oggi, in alcune zone più periferiche, vedo che dopo la paura e lo sconforto stanno nascendo forme di insofferenza che potrebbero degenerare” avverte Dovis. Abbiamo visto infatti in questi giorni cittadini disperati scendere in piazza a Roma per chiedere solo di poter tornare a lavorare, ricevendo ben poca attenzione mediatica e ben poche risposte dal mondo politico e dalle istituzioni.

Il dramma che la popolazione sta vivendo non trova un interlocutore, e questo può portare a situazioni potenzialmente esplosive. A Torino molti piccoli commercianti si sono trovati in tali difficoltà economiche che hanno dovuto anche loro rivolgersi alla Caritas, e come loro anche “stagionali del turismo, della cultura e delle fiere”.

Dovis ci fa alcuni esempi: “venditori di abiti da sposa e di abbigliamento sportivo, titolari di cartolibrerie e negozi di scarpe” e ci sono le situazioni già precarie prima del Covid che si sono inevitabilmente aggravate con lockdown e restrizioni. “Ci sono più genitori separati, cassintegrati, anziani o famiglie con bambini che non riescono a sostenere le spese per il dentista o hanno interrotto le cure per malattie croniche”.

E anche nel capoluogo piemontese mancano i soldi per pagare l’affitto, persino quello delle case popolari, anche perché se non pagano e “la perdono poi escono dal circuito”. 

“Tanti ci dicono che se non riaprono entro l’esate non riapriranno più” spiega ancora Dovis “aiutarli a trovare un altro lavoro è difficile, cerchiamo almeno di evitare che intacchino i pochi risparmi che ancora hanno”.

A Roma più di 7.400 persone in più in carico alle parrocchie

Dal primo lockdown, con un picco tra i mesi di aprile e maggio, a Roma si sono andate ad aggiungere altre 7.400 persone alle 40 mila già in carico alle parrocchie. Qui gli aiuti erano soprattutto rivolti a fornire generi alimentari attraverso pacchi alimentari e buoni spesa (nel 62% dei casi) o accesso agli empori della solidarietà (30% dei casi).

Sono arrivate moltissime richieste di aiuto da parte della comunità filippina che è passata da circa 660 persone assistite a oltre 1.860 con il numero complessivo che è di fatto triplicato in meno di un anno.

Nel mese di giugno è arrivata una donazione da 1 milione di euro da parte del Papa a cui poi si sono aggiunti 1 milione di euro del Comune di Roma e un altro milione della Regione Lazio. Con questi soldi è stato creato il fondo “Gesù divino lavoratore” che ha le stesse finalità del fondo San Giuseppe della Caritas ambrosiana.

A Palermo le richieste di aiuti sono aumentate del 50-60%

Il vicedirettore della Caritas don Sergio Ciresi ha spiegato che a Palermo “le richieste sono aumentate del 50-60%”. A chiedere aiuto erano “all’inizio soprattutto lavoratori in nero, ambulanti, badanti e colf. In autunno e inverno abbiamo visto un nuovo picco e ora siamo nel pieno della seconda ondata di aiuti”.

“Le attività commerciali, il settore turistico, la ristorazione, le palestre… Tutte le attività chiuse si stanno rivolgendo a noi. Certo, hanno ricevuto qualche bonus, gli sfratti sono bloccati e per i dipendenti c’è la cig, ma spesso hanno difficoltà ad affrontare qualsiasi spesa extra” spiega Ciresi “ci chiedono di pagare le utenze o la spesa, di acquistare farmaci”.

Anche qui si è provveduto ad organizzare corsi di formazione professionale per provare a far tornare nel mondo del lavoro chi ha perso l’impiego.

Napoli: “nell’ultimo anno abbiamo registrato un 80% di richieste in più”

Nel capoluogo partenopeo la situazione non è migliore di quella che vediamo nelle altre grandi città italiane. “Nell’utimo anno abbiamo registrato un 80% di richieste in più, dopo che nel 2019 le presenze nei centri di ascolto erano calate grazie a Rei e poi reddito di cittadinanza” spiega Ciro Grassini, responsabile dell’osservatorio regionale Caritas sulla povertà.

Il lockdown ha messo in ginocchio anche Napoli, infatti “con il Covid sono arrivati da noi non solo lavoratori in nero che hanno perso l’impiego” ha spiegato Grassini “ma anche titolari di attività commerciali, piccoli professionisti, ristoratori. Oltre ai cassintegrati che in attesa dell’assegno si sono trovati in difficoltà anche nel comprare il cibo, in una prima fase”.

La situazione poi ha avuto una sua evoluzione, e anche in questo caso non vi sono state svolte in senso positivo. Si registra un aumento dei casi di famiglie che non riescono più a pagare il mutuo, l’affitto o le bollette.

Grassini spiega che “con la copia del contratto paghiamo noi. Il problema è quando l’accordo è in nero. Allo stesso modo non possiamo far nulla per chi ha chiesto un prestito a usura: situazioni che, da quel che vediamo qui, stanno diventando più frequenti. Parliamo di persone che non sapevano a chi rivolgersi, hanno chiesto a un amico che magari ha consigliato di rivolversi a un conoscente… e alla fine si sono ritrovate in una spirale”.

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