Regno Unito: 1,7 milioni di cittadini in quarantena e ovunque restano scaffali vuoti e attività chiuse

Il 19 luglio in Regno Unito si festeggiava il tanto atteso Freedom Day, il giorno della libertà segnato dalla fine della maggior parte delle misure restrittive introdotte in chiave anti-Covid. Sicuramente è stato compiuto un passo avanti, ma ci sono alcuni aspetti tutt’altro che irrilevanti che meriterebbero alcune considerazioni, aspetti ai quali peraltro è strettamente collegata la situazione che si è andata delineandosi in questi giorni.

Covid App mette in quarantena 1,7 milioni di cittadini britannici

Se da una parte la fine delle restrizioni quali obbligo di mascherina e distanziamento sociale non possono che rappresentare un cambiamento positivo, il fatto che sia ancora prevista la quarantena per i soggetti perfettamente sani qualora risultino positivi al tampone, non può che ricordarci in maniera inequivocabilmente chiara quanto lontana sia la normalità e con essa la libertà.

Con l’impennata del numero di persone risultate positive al Covid-19 e il conseguente esponenziale aumento dei nuovi casi registrati, in Regno Unito sono finiti in quarantena circa 1,7 milioni di cittadini.

I media nazionali e internazionali parlano di una sorta di effetto domino provocato dalla Covid App che il ministero della Salute britannico ha chiesto ai cittadini di scaricare e installare. Si tratta di una app che funziona secondo gli stessi principi della italiana Immuni che, però, si è dimostrata un colossale flop.

In Regno Unito invece sembra proprio che la app siano stati in tanti a scaricarla, ed ecco i risultati. Attualmente si contano, tra persone positive al Covid, e contatti stretti delle stesse che sono stati allertati dalla suddetta app, circa 1,7 milioni di persone costrette alla quarantena.

Stando a quanto riportato dai maggiori media, la app di tracciamento utilizzata in Regno Unito ha inviato, nella sola ultima settimana, qualcosa come 619 mila messaggi di allerta, ‘tappando’ dentro casa anche persone che hanno ricevuto la doppia somministrazione del vaccino.

In Regno Unito scaffali vuoti e locali chiusi

E quali sono i risultati? Con un così elevato numero di persone che restano a casa e che quindi non possono andare al lavoro, una parte delle attività produttive del Paese si è fermata. Manca il personale nei bar, nei ristoranti, ma soprattutto manca il personale nel settore dei trasporti e di conseguenza mancano i generi di prima necessità e per l’igiene della persona nei negozi.

Scaffali vuoti ovunque, mancano birra, frutta, verdura e prodotti per l’igiene personale, ma non solo. Persino alcune delle attività storiche come l’Hotel Ritz, che rimase aperto anche durante la seconda guerra mondiale quando il Regno Unito era sotto i bombardamenti nazisti, si trovano costrette a chiudere per carenza di personale.

Le immagini degli scaffali vuoti hanno fatto il giro dei social e dalle catene di distribuzione sono arrivati messaggi che avevano lo scopo di rassicurare i cittadini, garantendo che si tratta solo di episodi isolati e che non c’è nessun bisogno di lasciarsi prendere dal panico.

Molti supermercati intanto si sono trovati costretti ad assumere migliaia di lavoratori temporanei per evitare di dover abbassare le saracinesche, come nel caso di grandi nomi quali Iceland e Co-op. Altri marchi di garanzia come Tesco, Sainsbury e Waitrose si sono trovati a doversi scusare con la clientela per la “scelta limitata” nei loro punti vendita.

Covid App: se non si corre ai ripari “sempre più persone la cancelleranno”

Dal consorzio dei beni di consumo è arrivata la richiesta al governo di agire tempestivamente per permettere ai loro dipendenti e a chiunque sia in grado di esibire un test con esito negativo di tornare al lavoro.

“La situazione attuale è insostenibile. I negozi stanno chiudendo, gli orari di apertura vengono ridotti, la scelta della merce è estremamente limitata” ha spiegato Helen Dickinson, presidente del consorzio. Il timore è che vista la situazione alcuni datori di lavoro invitino i propri dipendenti ad ignorare i messaggi della app di tracciamento che avvertono dell’avvenuto contatto con un positivo. 

Le aziende provano a correre ai ripari garantendo ai propri dipendenti tamponi giornalieri per permettere loro di tornare al lavoro il prima possibile. Un sistema, quello del test e tracciamento dei contatti, che secondo l’ex ministro alla Salute Jeremy Hunt rischia di perdere il consenso dell’opinione pubblica se non si risolve in tempi brevi il problema dell’autoisolamento.

“È ora di consentire a chi è già stato vaccinato di evitare la quarantena facendo un semplice tampone, altrimenti sempre più persone cancelleranno la app” ha detto l’ex ministro rispondendo alla relazione parlamentare del ministro per i vaccini Nadhim Zahawi.

Restrizioni anti-Covid e il problema dei trasporti: i giovani rimasti senza patente

Se da una parte abbiamo un problema legato al fatto che si continuano a trattare come malati altamente contagiosi anche i cittadini perfettamente sani solo per il fatto che risultano positivi al tampone, dall’altro ci troviamo ad affrontare tutta una serie di ripercussioni nel medio e lungo periodo di chiusure e misure restrittive imposte nel corso dei mesi passati.

Una delle conseguenze delle misure di contenimento imposte in Regno Unito riguarda i giovani che avevano avviato un percorso per avviare la professione di autotrasportatore e che non hanno potuto completarlo perché interrotto dalle restrizioni imposte dal governo nell’ambito dell’emergenza Covid.

Secondo quanto riportato dai maggiori media britannici in questi giorni, tra i 15 e i 20 mila aspiranti autisti non sono riusciti a portre a termine il percorso formativo. Ai giovani rimasti ‘senza patente’ si vanno ad aggiungere poi quelle centinaia di autisti di camion che hanno preferito andare a lavorare come corrieri per la consegna a domicilio di prodotti acquistati su internet visto il boom dell’e-commerce.

L’impennata di incassi dei siti di vendita online ha prodotto infatti alcuni cambiamenti anche negli stipendi dei corrieri che si sono visti aumentare la paga fino a livelli simili a quelli di un autista a lungo raggio, con la differenza che nel caso dei corrieri si ha anche il vantaggio di poter tornare a casa tutte le sere.

Non solo scaffali vuoti ma anche rifiuti ammassati per strada

Il problema della carenza di lavoratori ed in particolare di autisti si ripercuote non solo sulla consegna dei prodotti di prima necessità nei supermercati, ma anche sul lavoro di ritiro dei rifiuti. Se da una parte abbiamo scaffali vuoti nei supermercati, dall’altra vediamo rifiuti ammassati per strada per mancanza di autisti di camion che si occupano della raccolta.

Un recente sondaggio ha rivelato che circa un terzo delle aziende di logistica del Regno Unito ha fatto o si troverà a fare i conti entro la fine dell’anno con le carenze di autisti, e almeno il 10 per cento di queste sembra convinta che questo problema rappresenterà un ostacolo per la ripresa economica del Paese.

La carenza di camionisti dipende anche dall’effetto Brexit

A complicare il quadro fin qui delineato ci si mette anche la Brexit, a causa della quale i camionisti europei non possono più andare a lavorare in Regno Unito con la stessa facilità di prima. Si crea così una pesante carenza di manodopera che alcuni suggeriscono si possa risolvere solo puntando su maggiore apertura all’immigrazione.

Allo stato attuale, secondo le ultime stime, in Regno Unito mancano all’appello circa 100 mila conducenti di camion. Le cause come abbiamo visto sono molteplici, e non dimentichiamo che molti di loro sono tornati a casa durante la fase acuta della pandemia e non sono tornati, e mentre da una parte abbiamo questa ‘uscita prematura’ dal lavoro, dall’altra abbiamo, come visto, la formazione dei nuovi camionisti bloccata.

Con la Brexit il Regno Unito ha creato una sorta di corsia preferenziale riservata solo ad alcune professioni, generalmente le più qualificate e le più carenti, ma tra queste non è stata inserita quella dell’autotrasportatore. Una scelta che non avrebbe prodotto le conseguenze che vediamo ora, se solo non fossero intervenute tutte le restrizioni e le chiusure in chiave anti-Covid.

Se quello del camionista non è mai stato un lavoro per tutti, comportando turni sfiancanti e una vita tutt’altro che all’insegna dei comfort, esercitare la stessa professione con tutte le restrizioni imposte nell’ambito dell’emergenza Covid-19 era diventato pressoché impossibile, senza servizi igienici e aree di sosta, per non parlare del picco di furti registrato ai danni degli autotrasportatori.

Non si possono certo biasimare quindi coloro che non erano più disposti a tutti questi sacrifici, e la maggior parte di quei circa 15-20 mila camionisti che lavoravano in Regno Unito ma provenivano per lo più da Paesi dell’Est, hanno deciso di tornare a casa.

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