Il Green Pass può discriminare? Ecco cosa dice il regolamento Ue n.953/2021

Stiamo assistendo ormai da diverse settimane ad una progressiva estensione dell’obbligo del Green Pass che, stando a quanto spiegano gli stessi esponenti della maggioranza di governo, serve a raggiungere un sempre maggior numero di persone vaccinate per conseguire l’obiettivo fissato all’80% degli over 12.

Il Green Pass in Italia, a differenza di quanto avviene nella maggior parte dei Paesi dell’Ue, è obbligatorio per una lista sempre più lunga di attività e luoghi pubblici, e questo rende materialmente impossibile, per chiunque non sia vaccinato o guarito dal Covid, condurre una vita sociale normale.

Chi non ha il Green Pass attualmente non può accedere ai luoghi della cultura, musei, mostre, fiere, congressi, non può andare a cinema o a teatro, non può assistere ad eventi sportivi o musicali dal vivo, non può esercitare il proprio diritto all’istruzione in quanto la frequentazione degli ambienti universitari è riservata ai possessori di pass verde, non può andare in palestra, o in piscina, o in un centro termale.

Nelle prossime settimane l’obbligo di Green Pass sarà esteso ulteriormente fino a raggiungere il personale delle ditte di pulizie, delle mense scolastiche, e persino i genitori degli alunni.

La discriminazione attraverso il Green Pass rispetta il Regolamento Ue?

È evidente, e d’altra parte nessuno osa negarlo, che l’istituzione dell’obbligo del Green Pass rappresenta un elemento di discriminazione in quanto taglia fuori dalla vita sociale chi opera scelte diverse riguardo la propria salute decidendo ad esempio di non sottoporsi alla vaccinazione contro la Covid-19.

Si tratta di una scelta legittima dal momento che, come sappiamo, non esiste alcuna legge che imponga la vaccinazione. Chi decide di ricevere la somministrazione del farmaco lo fa di propria volontà, firmando un consenso informato che farebbe bene a leggere sempre con molta attenzione.

Nessun obbligo e quindi nessuna responsabilità da parte dello Stato, né da parte delle case farmaceutiche, né da parte di chi somministra il farmaco che, lo ricordiamo ancora una volta, è nella fase 4 della sperimentazione e tuttora sono in corso alcuni degli studi di fase 3 i cui risultati saranno disponibili non prima della fine del 2022.

Il vaccino quindi non è obbligatorio né in Italia né in nessun altro Paese dell’Ue, ma chi non si vaccina, quanto meno in Italia, viene tagliato fuori dalla vita sociale e subisce quindi una pesante discriminazione, in quanto l’alternativa per ottenere il Green Pass sarebbe quella di un tampone ogni 48 ore circa che a differenza del vaccino ha un costo non indifferente finanche proibitivo per un’ampia fascia di popolazione.

Ma cosa dice il Regolamento Ue e perché è così importante sapere quali sono le direttive che impartisce agli Stati membri? Anzitutto rispondiamo a quest’ultima domanda ricordando che le fonti di diritto europee prevalgono sulle norme del diritto dei singoli Stati membri, il che significa che se il regolamento europeo stabilisce che il Green Pass non può discriminare i cittadini che non hanno voluto vaccinarsi, le norme nazionali dei Paesi membri dovrebbero essere in linea con tale direttiva.

A questo punto non resta che scoprire se il Regolamento Ue vieta la discriminazione attraverso il Green Pass oppure no, e per farlo proviamo a partire dalle considerazioni svolte su alcuni siti di informazione che hanno deciso di affrontare la questione.

“L’articolo 36 del regolamento Ue sul Green Pass non vieta la discriminazione dei non vaccinati”

“L’articolo 36 del regolamento Ue sul Green Pass non vieta la discriminazione dei non vaccinati”. È quanto leggiamo su Pagella Politica, un sito web di informazione online, testata giornalistica registrata specializzata in fact checking. Una fonte insomma che dovrebbe far luce su eventuali bufale e fake news e che, in questa prospettiva, prova a dire la sua sulla questione del Green pass e della discriminazione dei vaccinati.

Proviamo però a capire se il parere così sintetizzato su Pagella Politica è fondato su solide basi oppure no. Prima di tutto è doveroso prendere atto che secondo l’autore discriminare i non vaccinati è legittimo in quanto le leggi italiane che impongono l’obbligo del Green pass, discriminando i non vaccinati appunto, non sono in contrasto con il regolamento Ue.

Nel Regolamento Ue l’importanza della non discriminazione dei non vaccinati viene ripresa in diversi articoli (tra cui 11, 14, 33, 44) ma quello in cui viene espresso il concetto in maniera più chiara è l’articolo 36, o meglio Considerando 36, che recita:

“È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate”.

L’articolo 36 prosegue poi specificando cosa implica questa premessa e conclude: “il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati”. Ad ogni modo il Regolamento Ue 2021/953 completo è consultabile e disponibile anche per download cliccando qui.

Stando a quanto leggiamo in questo articolo (Considerando) è piuttosto evidente che non è possibile discriminare, né in modo diretto né indiretto, chi non ha ricevuto il vaccino per qualsivoglia ragione. Perché allora l’autore sostiene che il Regolamento Ue NON VIETA la discriminazione dei non vaccinati? Fortunatamente ce lo spiega.

“In primo luogo non esiste alcun articolo 36 del regolamento in questione: gli articoli sono in totale 17 e il 36 è un ‘considerando’ che non ha valore di norma, come vedremo meglio tra poco. In secondo luogo la ‘non discriminazione’ di cui si parla ha una portata definita e limitata sotto diversi punti di vista”.

Le ragioni insomma per cui è legittimo discriminare i non vaccinati, secondo l’autore, sono due:

  • L’articolo n.36 essendo un ‘considerando’ non ha valore di norma
  • La ‘non discriminazione’ di cui si parla è definita e limitata sotto vari aspetti

L’articolo 36 del regolamento europeo non ha valore di norma

Per quanto riguarda il primo motivo è molto facile dimostrare quanto l’affermazione dell’autore sia del tutto non attinente. Il Regolamento (UE) 2021/953 del 14 giugno 2021 nella parte I (Atti legislativi) elenca tutti gli articoli “considerando” dall’1 al 64, e successivamente i 17 articoli con le regole fondate sui principi dettagliati nella prima parte.

L’autore dell’articolo su Pagella Politica sembra voler declassare al livello di mere riflessioni prive di valore tutti i punti dall’1 al 64, i quali invece sono parte integrante del regolamento Ue come specificato sul documento pubblicato in Gazzetta Ufficiale che li inserisce nella parte I (Atti legislativi).

D’altra parte basta fare un confronto con quanto spiegato anche dalla Treccani, dove a proposito dei Regolamenti Ue viene specificato che “Il co. 2 dell’art. 288 TFUE stabilisce che ‘il regolamento ha portata generale … è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri’.”.

E con riferimento alla parte in cui si afferma che “il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi”, la Treccani specifica: “questo carattere indica il carattere pienamente vincolante dell’atto che in quanto tale è idoneo a disciplinare una determinata materia con una normativa completa, di natura generale ed astratta. Esso si impone nella sua interezza ai soggetti dell’ordinamento dell’Unione, istituzioni, Stati membri, singoli”.

E ancora viene spiegato che “il fatto che il regolamento sia obbligatorio in tutti i suoi elementi lo distingue dalla direttiva che ha, per lo Stato che ne è destinatario, un’efficacia dispositiva limitata al ‘risultato da raggiungere’. Tale carattere comporta che uno Stato membro non può applicare in modo incompleto o selettivo un regolamento, né può avvalersi di norme interne per limitare l’applicazione di un regolamento”.

In sintesi quindi è vero che “I ‘considerando’ motivano in modo conciso le norme essenziali dell’articolato, senza riprodurne o parafrasarne il dettato. Non contengono enunciati di carattere normativo o dichiarazioni di natura politica” ma nella qualità di elementi del regolamento enunciano dei principi che stanno a fondamento del regolamento stesso che presuppone di fatto il rispetto degli stessi. 

Infatti in una guida alla redazione dei testi normativi Ue viene specificato al punto 10.2 che: “la motivazione dei regolamenti, delle direttive e delle decisioni è obbligatoria. Essa ha lo scopo di informare tutti gli interessati sulle circostanze in cui l’autore ha esercitato la competenza relativa all’adozione dell’atto, nonché di dare alle parti delle eventuali controversie la possibilità di tutelare i propri diritti e alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di esercitare il proprio controllo”.

La ‘non discriminazione’ di cui si parla è definita e limitata sotto vari aspetti

L’autore spiega che “il regolamento si occupa di libertà di circolazione e dunque un’eventuale non discriminazione dei non vaccinati andrebbe considerata limitatamente a questo ambito”.

Per quanto sia sufficiente ricorrdare che la libertà di entrare in un determinato luogo pubblico che sia una mostra, una fiera o un campo di calcio rientri nell’ambito della libertà di circolazione, vi è anche un’altra precisazione da fare.

Il regolamento Ue 953/2021 non si occupa solo di libertà di circolazione, ma definisce i limiti di azione dei “certificati digitali Covid-19” specificando più volte che gli stessi devono essere “interoperabili e non discriminatori”.

Restando nell’ambito della libera circolazione l’autore dell’articolo su Pagella Politica spiega che la non discriminazione del considerando n.36 si riferisce alla possibilità per un non vaccinato di circolare come un vaccinato ottenendo comunque il green pass attraverso il tampone o la guarigione dal covid. Nel senso che il non vaccinato ha delle alternative e quindi per ciò stesso non è discriminato.

Tuttavia possiamo davvero parlare di alternative? Un non vaccinato non può certo decidere di ammalarsi per poi guarire dal covid e avere così il green pass, può però decidere di sottoporsi al tampone, per quanto sia poco verosimile dover fare circa 15 tamponi al mese, non fosse altro che per i costi che attualmente si aggirano nella migliore delle ipotesi intorno ai 15/20 euro a tampone.

In questo caso quindi si esclude anche la seconda alternativa, se non altro per chi non è nelle condizioni economiche di sostenere questa spesa (per quanto anche i cittadini che hanno la possibilità di affrontare questa spesa sono comunque vittima di discriminazione in quanto devono pagare per avere ciò che i vaccinati hanno gratis).

Per tutti coloro che rientrano in questa categoria, e parliamo di milioni di cittadini, non esiste alternativa al vaccino per avere il Green Pass, ergo siamo di fronte ad una discriminazione contraria ai principi dettagliati nel regolamento Ue.

Infine l’autore su Pagella Politica conclude che “in presenza di motivi di salute pubblica, secondo il regolamento Ue gli Stati possono comunque imporre con norme nazionali ulteriori restrizioni alla libertà di circolazione, anche per chi fosse dotato di green pass europeo”, e se è per questo anche per chi fosse dotato di Green Pass italiano.

Non si capisce quale sia l’attinenza di quest’ultima parte con il punto della questione. Nell’ultimo esempio fatto dall’autore infatti saremmo di fronte ad una norma valida erga omnes, cioè per tutti con e senza tessera verde, e in quanto tale ovviamente non discriminatoria.

Cosa dice La Legge per Tutti sul regolamento UE 953/2021

Se la prima fonte che abbiamo consultato era datata 23 agosto, l’articolo incentrato sul Regolamento 953/2021 che troviamo su La Legge per Tutti è invece del 9 agosto. Non vi è che una manciata di giorni tra i due contenuti, che partono da considerazioni completamente diverse ma, incredibilmente, giungono alle stesse conclusioni.

Verrebbe quasi da dire che partono dalle stesse conclusioni ma cercano di motivarle in maniera completamente diversa. La conclusione, che come detto coincide, è che non vi è alcun contrasto tra la discriminazione operata con l’obbligo del Green Pass in Italia e quanto stabilito dal Regolamento Ue.

Come motiva quindi la sua posizione l’autore del pezzo pubblicato su La Legge per Tutti? Prima di tutto premette che “il regolamento Ue è fonte del diritto internazionale, direttamente applicabile in ogni Stato membro, compresa quindi l’Italia” e poi inizia a spiegare il contenuto dei “considerando” o “considerato” partendo dal n.6.

Al carattere “non normativo” dei considerando neppure un riferimento su La Legge per Tutti che, evidentemente, non vi trova alcun appiglio per giustificare l’operato del governo italiano sull’obbligo del Green Pass. Dopo il Considerato 6 viene quindi preso in esame il n.7, il n.8, il n.13 e si arriva finalmente al n.36.

Ed è qui che l’autore dà il meglio di sé in quanto sostiene che “Il Considerato 36 auspica solo l’assenza di discriminazioni – dirette o indirette – delle persone non ancora vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti Covid-19 è attualmente somministrato o consentito (come i bambini), o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate”.

Peccato che questo testo sia incompleto in quanto mancante di una parte fondamentale che era andata ‘perduta’ nel processo di traduzione in italiano. A causa di un errore infatti, commesso in buona fede senza ombra di dubbio, non era stata tradotta la parte in cui venivano inclusi tra le categorie di soggetti elencati anche coloro che semplicemente non avessero voluto sottoporsi al vaccino.

A questo link possiamo vedere in Gazzetta Ufficiale la correzione di cui stiamo parlando e di cui nell’articolo apparso su La Legge per Tutti invece non si parla affatto. Si noti tra l’altro che la correzione in Gazzetta Ufficiale risale al 5 luglio 2021, oltre un mese prima dell’articolo apparso su La Legge per Tutti.

In ogni caso la sensazione – e teniamo a sottolineare che si tratta solo di una sensazione – è che fino a che per dimostrare che discriminare i non vaccinati attraverso il Green Pass in Italia è una pratica del tutto legittima, in quanto non in contrasto con il Regolamento Ue, era sufficiente citare l’articolo 36 che non includeva i soggetti che non hanno voluto ricevere il vaccino, non c’era bisogno di sforzarsi più di tanto e ci si fermava lì.

Da quando è venuto fuori che c’era stato un errore di traduzione e che il Regolamento Ue in realtà diceva chiaramente che “è necessario evirare la discriminazione diretta o indiretta delle persone che non sono vaccinate” per vari motivi tra cui “perché hanno scelto di non essere vaccinate” allora pur di giungere alla stessa conclusione hanno avuto inizio delle vergognose arrampicate sugli specchi.

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