Siamo in un contesto di quantitative easing o di quantitative tightening? Probabilmente, nel secondo, con la nota di Filippo Lanza, gestore del fondo HI Numen Credit, Hedge Invest Sgr, che rammenta che ci troviamo comunque in una fase caratterizzata da ‘mini cicli’ alimentati da un lato dalla volontà da parte degli istituti monetari di rimuovere lo stimolo, e dall’altro di non accelerare i tentativi di normalizzazione, al fine di evitare i crolli che si sono già sperimentati. Ecco perché – Fed docet – spesso le banche centrali compiono accelerazioni e passi indietro piuttosto repentini.

In tale scenario bisogna però fare alcune distinzioni, andando a individuare quali siano i fattori che possono ridurre i margini di manovra degli istituti centrali.

Tra i primi, per esempio, si può ben citare il mercato del lavoro, vicino alla piena occupazione (o alla disoccupazione fisiologica) negli Stati Uniti. Questo dovrebbe determinare una maggiore pressione sul livello medio dei salari. In secondo luogo, l’esperto cita un problema di underinvestment nel settore del petrolio e delle commodity, che ha condotto a valori più elevati di molte materie prime. Un terzo aspetto concerne poi i deficit governativi in aumento e le politiche fiscali espansionistiche legate al populismo. Infine, non ultimo, l’incremento dei dazi commerciali, con la guerra tra Stati Uniti e Cina ancora ben lungi dalla risoluzione.

In tale scenario, i prezzi dei bond sono altresì influenzati dalla relazione tra acquirenti e venditori e dal tono ‘dovish’ o ‘hawkish’ della Federal Reserve. “Il motivo per il quale i tassi dei bond governativi sono rimasti bassi negli ultimi anni è che vi è stata un’enorme espansione dei bilanci delle banche centrali, che hanno giocato un ruolo fondamentale come acquirenti, comprando Titoli di Stato in modo incondizionato, senza avere vincoli di bilancio. Ora, invece, da un lato vi è un aumento dell’offerta, cioè delle emissioni da parte dei Governi; dall’altro, gli acquisti netti di asset da parte delle banche centrali sono in calo” – chiarisce Lanza.

Proprio in virtù di tali ragioni, è lecito affermare che forse il quantitative tightening è già in corso con proporzioni più ampie delle aspettative, con effetti evidenti sui Titoli di Stato, il cui mercato non potrà più contare sull’acquisto continuativo da parte degli istituti centrali.

In virtù di ciò, è lecito attendersi un effetto più duraturo e negativo proprio in Europa, dove la BCE ha fatto largo shopping di Titoli di Stato per molto tempo, salvo poi ridurre il livello di acquisti da 60-70 miliardi di euro di acquisti mensili a 10 miliardi di euro. Inoltre, la BCE ha un mandato molto più restrittivo rispetto a quello della Federal Reserve, e il Presidente Mario Draghi, ideatore del recente QE, è oramai a fine mandato. Tutto questo dovrebbe portare a un incremento della rischiosità sui Titoli di Stato europei anche in virtù del nuovo regime legale dell’ESM (o ‘Fondo Salva Stati’), adesso pienamente operativo.

Per tali motivi l’analista sostiene che sia molto improbabile che la BCE decida effettivamente in invertire la propria marcia, seguendo il nuovo approccio della FED. Il mercato fa dunque male a riporre grandi aspettative su un nuovo programma di TLTRO che, se sperimentato, sarà comunque molto più modesto del passato.

Dunque, Hedge Invest ritiene che l’attuale mini-ciclo iniziato proprio in seguito all’inversione di marcia della Fed, sia già giunto al temine. È pertanto arrivato il momento di vendere? Forse si, considerato che le condizioni finanziarie globali sono tornate ad essere molto di supporto e le banche centrali potrebbero dunque essere tentate di riprendere i propri sforzi di normalizzazione.

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