Energia e clima, al via il piano italiano per dire addio al carbone entro il 2025 ma a delle condizioni

La direzione nella quale intende muoversi il Conte bis, per quel che riguarda i temi cari agli ambientalisti, non è cambiata. Rinunciare al carbone entro il 2025 però non è un obiettivo che l’Italia potrà raggiungere facilmente, e lo si evince chiaramente dal testo del Piano Nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec).

Nel testo pubblicato dal ministero dello Sviluppo Economico e predisposto con i ministeri di Trasporti e dell’Ambiente, si legge infatti che il Paese continuerà a muoversi verso il traguardo dell’addio al carbone entro il 2025, ma a delle condizioni.

Per gli ambientalisti è un passo indietro. L’obiettivo il cui raggiungimento è fissato per il 2025 non risulta infatti inderogabile, bensì “subordinato alla realizzazione di una serie di impianti e infrastrutture” si legge su ilfattoquotidiano.

La bozza del Pniec era stata varata circa un anno fa dal Ministero dello Sviluppo Economico. Nel testo definitivo si tiene conto però anche delle osservazioni fatte da Bruxelles, delle novità contenute nel decreto legge sul Clima, ma anche del Green New Deal ed in particolare di ciò che prevede per quel che riguarda gli investimenti in chiave sostenibile.

Nel documento come si presenta nella sua versione definitiva, che si compone di oltre 300 pagine, si legge che l’Italia ha programmato “la sua graduale cessazione della produzione elettrica con carbone entro il 2025, con un primo significativo step al 2023, compensata, oltre che dalla forte crescita dell’energia rinnovabile, da un piano di interventi infrastrutturali (in generazione flessibile, reti e sistemi di accumulo) da effettuare nei prossimi anni”.

“La realizzazione in parallelo dei due processi è indispensabile per far sì che si arrivi al risultato in condizioni di sicurezza del sistema energetico” si legge ancora nel testo del Pniec. Fatto sta che nel nostro Paese la generazione termoelettrica al momento è inferiore rispetto a quella degli altri Paesi europei, ma comunque superiore ai 30 TWh/anno, ferma ai livelli dell’inizio del nuovo millennio.

Attraverso la lettura del documento deduciamo quali sono le priorità per il Governo alla guida del Paese. “La dimensione della decarbonizzazione” deve andare “di pari passo con la dimensione della sicurezza e dell’economicità delle forniture”.

Bisogna puntare sempre di più sulle fonti di energia rinnovabili (Fer), se ne trova conferma nel Pniec, che sottolinea l’importanza di accelerare il passo nell’ambito degli interventi complessivi come accumuli, reti, generazione flessibile, e altre opere di rete, che dovranno essere realizzate entro il 2030.

Si cambia marcia quindi per quel che riguarda le installazioni eoliche e fotovoltaiche, il cui ritmo di crescità dovrà intensificarsi di cinque volte rispetto a quello attuale, in modo da arrivare a coprire il 30% dei consumi energetici entro la scadenza del 2030 appunto. Data entro la quale eolico e fotovoltaico, che oggi rappresentano circa il 34% della generazione elettrica, dovranno arrivare al 55,4%.

Stando a quanto definito attraverso il Pniec, risulta però lampante che per procedere con l’eliminazione del carbone sarà necessario apportare alcune indispensabili modifiche intrastrutturali, e queste dovranno essere avviate necessariamente tra il 2020 e il 2025.

Una di queste modifiche è la “nuova capacità a gas per circa 3 GW, di cui il 50% sostanzialmente connesso al phase out, coerentemente con la pianificazione e la regolamentazione (paesaggistica e ambientale) regionale, e nuovi sistemi di accumulo per 3 GW nelle aree centro-sud, sud e Sicilia”.

Ci sono poi altre modifiche necessarie, come il rinforzo della rete di trasmissione nel Polo di Brindisi (che è attualmente già interessato dal passaggio della produzione di energia elettrica da carbone a quello della produzione con gas metano), e la nuova dorsale adriatica per almeno 1GW di capacità di trasporto di gas.

Per quel che riguarda specificamente la Sardegna poi si sta valutando, sempre nella prospettiva del phase out del carbone “una nuova interconnessione elettrica Sardegna – Sicilia – Continente, insieme a nuova capacità di generazione a gas o capacità di accumulo per 400 MW localizzata nell’isola”.

È chiaro quindi che l’Italia sta scommettendo molto sul gas naturale, che resterà la fonte di energia primaria in questa fase di transizione energetica. Stando a quanto afferma il Pniec la nuova capacità di generazione del gas, che produrrà un seppur temporaneo aumento dei consumi, porterà in pochi anni alla copertura del fabbisogno.

Saranno infatti gli impianti a gas a rendere di fatto possibile il disimpegno dal carbone. Essi “assicureranno la necessaria flessibilità al sistema, compensando l’incremento rilevante di produzione rinnovabile non programmabile e assicurando il mantenimento dei livelli di sicurezza, adeguatezza, resislienza e qualità del servizio”.

Ciò vuol dire che il phase out del carbone, che dovrebbe completarsi entro il 2025, è chiaramente subordinato alla crescita delle fonti alternative. Si legge infatti che avverrà “nei limiti e sempreché siano per tempo realizzati gli impianti sostitutivi e le necessarie infrastrutture, e una significativa accelerazione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica”.

Il testo del Pniec spiega che il phase out del carbone “potrà essere implementato attraverso, tra l’altro, la realizzazione di unità termoelettriche addizionali alimentate a gas; non sono al momento previsti sviluppi infrastrutturali a gas dall’estero ma solo un temporaneo incremento dei consumi di gas”.

Un percorso che passerà attraverso valutazioni di volta in volta necessarie nel merito delle modifiche strutturali eventualmente necessarie. Temi che verranno affrontati in appositi tavoli settoriali ai quali siederanno gli operatori, le autonomie locali, il Terna, le parti sociali e non ultime le associazioni ambientaliste e di categoria.

Il 31 gennaio scorso al Ministero di Economia e Finanza si è riunito un tavolo di confronto che ha trattato il tema dell’uscita dal carbone nell’ambito della produzione di energia elettrica in Sardegna. L’obiettivo della riunione era quello di definire quale debba essere l’approccio della Regione per far sì che il target sia raggiunto entro il 2025.

La sottosegretaria al ministero dello Sviluppo Economico, Alessandra Todde, ha affermato che “il Pniec ribadisce che il metano è fonte energetica di transizione per le aree produttive sarde. Il Governo sta sostenendo concretamente la ripresa industriale della Sardegna, che deve basarsi su una transizione sostenibile in termini ambientali, sociali ed occupazionali e su un costo dell’energia equo sia per gli imprenditori che per tutti i cittadini sardi”.

E questa è la parte che agli ambientalisti è piaciuta meno. Per il Wwf è chiaro che in Sardegna non si punterà a ridurre l’espansione del gas, al contrario si mira a potenziare l’offerta anche con la realizzazione di nuove infrastrutture, tra le quali non figura solo il Tap, già in via di completamento, ma anche l’EastMed, che ha invece lo scopo di portare in Italia il gas che arriva da Israele e da Cipro passando per la Grecia.

Il presidente del Coordinamento Free, Giovanni Battista Zorzoli, è evidente che il no al carbone dipende da tutta una serie di infrastrutture, come il cavo HVDC per la trasmissione di energia solare Sardegna-Sicilia-Sud. Opere queste che sono “difficilmente completabili entro il 2025” osserva Zorzoli, che parla di “una seria ipoteca sull’abbandono del combustibile fossile più clima-alterante“.

Una strategia, quella tracciata dal Pniec, che secondo Angelo Bonelli, coordinatore dell’esecutivo nazionale dei Verdi porterà al ritardo nella crescita dell’intero comparto delle rinnovabili. Sono “assenti misure concrete per investimenti nelle energie rinnovabili, il motore di nuove attività industriali, o per riconvertire settori colpiti dalla transizione energetica”, dice Bonelli.

Il coordinatore dei Verdi osserva poi che sebbene l’Italia abbia confermato di voler raggiungere nelle energie rinnovabili l’obiettivo del 30%, l’Europa chiede il 32, e “per la riduzione del gas serra al 2030 l’Italia prevede come obiettivo il 37% mentre la commissaria Von der Leyen ha parlato di target al 55% con raggiungimento di neutralità climatica nel 2050“.

Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. “Nel momento in cui cambierà la declinazione europea e ci darà un target più alto, cosa ormai evidente, noi rigenereremo il Pniec e alzeremo l’ambizione” ha rassicurato il ministro “oggi però ragioniamo su quello che abbiamo. Siamo quindi in evoluzione”.

Per il responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace, Luca Iacoboni, il piano del Governo è del tutto insoddisfacente. In sostanza si propone un piano già superato, e ci si limita a dire che può essere modificato e aggiornato in base ai target fissati dall’Europa.

“È l’ennesima volta che l’Italia perde l’occasione per esprimere una leadership nella lotta al cambiamento climatico” dice Iacobini, che poi definisce il testo del Pnec “semplicemente insufficiente a contrastare l’emergenza climatica in cui viviamo”.

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