Guanti e mascherine monouso, aumenta ancora il livello di inquinamento dei mari

L’inquinamento da mascherine e guanti monouso utilizzati per prevenire il contagio da Coronavirus sta raggiungendo livelli fin troppo elevati.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology, a partire dall’inizio della pandemia vengono gettati via oltre 194 miliardi di dispositivi di protezione individuale al mese, dei quali 124 miliardi sono mascherine e i restanti 65 miliardi sono invece guanti monouso.

La maggior parte di questi dispositivi è prodotta utilizzando materie plastiche e quindi una volta utilizzati e gettati via, si vanno a sommare alla già elevata quantità di rifiuti in plastica che produciamo ogni giorno.

Molto spesso, invece di essere correttamente smaltiti, questi dispositivi vengono abbandonati nell’ambiente, infatti non è una novità, purtroppo, trovarne diversi in giro per i parchi, le strade o addirittura in spiaggia e nei fiumi.

Oltre alla minaccia sanitaria che l’abbandono di questi dispositivi comporta, in quanto possono veicolare il virus, occorre ricordare che impiegano circa 450 anni per decomporsi completamente, quindi gettarli via in maniera sconsiderata non fa altro che aumentare i già elevati livelli di inquinamento del pianeta, con disastrose conseguenze sull’ecosistema terrestre e marino.

Infatti più volte i pescatori hanno riportato casi in cui diverse mascherine sono state ritrovate impigliate nelle reti da pesca.

A denunciare questo fenomeno è Fedagripesca-confcooperative, la quale ha raccolto le testimonianze di diversi pescatori lungo le coste italiane. Ovviamente il rischio di contagio è praticamente nullo in quanto questi dispositivi restano in acqua per diversi giorni, ma comunque influenzano negativamente flora e fauna marina, con le rispettive economie.

La maggior parte dei dispositivi (e in particolare le mascherine monouso) è costituita da polistirene e polipropilene, e trattata con sostanze chimiche. Si tratta quindi di rifiuti plastici che una volta avviato il processo di degradazione vengono convertiti in micro- e nanoplastiche, che vengono ingerite dai pesci per poi arrivare sulle nostre tavole.

Attualmente è difficile fare un bilancio, ma già oggi nei nostri mari vengono rilasciate ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastiche, quindi è evidente che se a questo valore già elevato si dovessero aggiungere tutti i dispositivi non smaltiti correttamente, si arriverebbe a una cifra paurosa.

Secondo Opération Mer Propre, un’associazione francese, di questo passo nel Mediterraneo sarà più facile trovare mascherine che meduse.

Un pescatore del Tirreno ha dichiarato: “E’ impressionante la quantità di mascherine che porto a terra con le mie reti. In tanti anni che faccio questo mestiere di oggetti tirati su ne ho trovati tanti. […] Va trovata una soluzione perché così non possiamo andare avanti”.

Thailandia: nuovo progetto per ottenere mascherine riciclando reti da pesca

Intanto in Thailandia è stato avviato un progetto che consente di ricavare mascherine grazie al riciclo di reti da pesca, che rappresentano una delle tipologie di rifiuti più diffusi negli oceani.

Alcune organizzazioni locali, infatti, hanno deciso di ripulire le spiagge dalle plastiche e di riutilizzarle in modo utile, anche perché si è visto che i dispositivi ottenuti in questo modo sono efficienti tanto quanto quelli appena prodotti.

Si spera che un’iniziativa di questo tipo possa essere adottata anche in altri Paesi, tra cui l’Italia, perché rappresenterebbe un metodo efficiente per rimuovere gran parte dei rifiuti presenti nei mari.

Inquinamento sulle spiagge britanniche: l’accusa di SAS

Anche se smaltiti correttamente, i dispositivi non possono essere riciclati perché si tratta di rifiuti sanitari. Di conseguenza vengono accumulati nelle discariche e poi inceneriti, causando anche la liberazione di fumi potenzialmente tossici.

Una soluzione al problema potrebbe essere quella di utilizzare delle mascherine in tessuto che non devono essere gettate via dopo un solo utilizzo, quindi possono essere riutilizzate e questo ridurrebbe di parecchio l’impatto sull’ambiente.

Proprio a tal proposito, la SAS (Surfers Against Sewage), una ONG di surfisti ambientalisti britannici, ha annunciato di voler rendere noti i nomi delle aziende i cui dispositivi vengono ritrovati con più frequenza sulle spiagge britanniche.

Secondo l’associazione infatti, le imprese starebbero sfruttando la pandemia per tornare a utilizzare grandi quantità di plastica monouso, causando così un’impennata dell’indice di inquinamento di spiagge e fiumi.

Jack Middleton, di SAS, ha affermato: “Da quando il lockdown ha iniziato a essere revocato, abbiamo assistito a una nuova ondata di inquinamento da plastica che ha disseminato le nostre spiagge di guanti e mascherine usa e getta. Mentre negli ultimi mesi le PPE hano contribuito a salvare vite umane, ora dobbiamo prendere in considerazione come smaltirle correttamente per evitare che finiscano nei nostri fiumi e oceani e distruggano le nostre spiagge”.

“Siamo abituati a vedere bottiglie e sacchetti di plastica quando navighiamo, ma questo nuovo tipo di inquinamento da plastica è qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere“.

Charlotte England, una delle volontarie di SAS che partecipano alle pulize di massa a Bristol, lungo il fiume Avon, ha riferito alla BBC News: “Questo è un grosso problema perché prima del lockdown questi articoli non erano mai stati davvero in circolazione tra il pubblico in generale, erano limitati all’industria medica. Penso che ciò che serve sia una chiara guida del governo sulla promozione di mascherine riutilizzabili“.

“Hanno detto che sono sicure da usare, ma non credo che il fatto che siano un’alternativa ecologica alle maschere monouso sia stato ampiamente comunicato”.

Middleton ha infatti accusato il governo di aver utilizzato misure tali da aiutare varie aziende durante il lockdown, le quali ora “stanno minando la battaglia contro l’inquinamento da plastica”.

Ha poi aggiunto che il governo è “tornato indietro” rispetto ad alcuni progressi fatti in questi anni, come ad esempio la revoca del pagamento di 5 centesimi per i sacchetti di plastica, o il rinvio del divieto di cannucce, agitatori e bastoncini di cotone.

Dal 5 settembre al 18 ottobre, SAS lancerà una campagna chiamata “The Generation Sea: Plastic Protest“, che punta a incoraggiare l’azione di base in tutto il Regno Unito. Il progetto prevede la pulizia di 600 spiagge e fiumi, e man mano verranno resi noti i prodotti rinvenuti, al fine di mostrare al mondo quali sono le aziende maggiormente responsabili dell’inquinamento.

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