Legge di Bilancio: un emendamento permette di andare in pensione 5 anni prima. Ecco chi potrà farlo e come

Si tratta di una novità importante per quei lavoratori che sperano di poter andare in pensione un po’ prima rispetto al ‘programma’. Una nuova misura introdotta in Legge di Bilancio 2021 con un emendamento, permette infatti il pensionamento anticipato senza penalizzazioni sull’importo dell’assegno.

La novità però non riguarda tutti i lavoratori, ma solo i dipendenti di aziende con più di 250 addetti, e ciò è reso possibile dal fatto che l’emendamento alla manovra economica va a modificare direttamente il contratto di espansione.

In sostanza quello che accade con questa nuova misura è che si interviene direttamente sul capitolo pensione del contratto di espansione. Stiamo parlando di quello strumento per mezzo del quale si gestisce il periodo che seguirà la fine del divieto di licenziamento e degli ammortizzatori sociali straordinari messi in campo dall’esecutivo per sostenere le fasce di lavoratori più colpite dalla crisi economica.

Con l’arrivo del Covid-19 e l’introduzione di misure restrittive che avrebbero dovuto contenere la diffusione del contagio, l’Italia è precipitata nella più grave crisi economica dal dopoguerra, e ciò ha reso necessario intervenire con misure di emergenza a sostegno del reddito di lavoratori, imprese e famiglie.

Per quanto riguarda la possibilità di accedere alla pensione anticipata, l’emendamento che in questi giorni è al vaglio del Parlamento la estende ai lavoratori di aziende con almeno 250 dipendenti, mentre fino ad oggi riguardava solo quelle con 500 o più dipendenti.

Pensione anticipata per una platea di beneficiari più ampia

Questo emendamento in sintesi estende la possibilità di andare in pensione in anticipo ad una platea di persone più ampia. Il lavoratore potrà quindi in questi casi accedere alla pensione anticipata in accordo con la propria azienda, ma per farlo dovrà essere in possesso anzitutto di un requisito: non dovrò avere davanti a sé più di 5 anni prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia.

Tra i requisiti di cui il lavoratore che intende andare in pensione anticipatamente dovrà possedere c’è anche quello di aver già maturato il requisito contributivo, oppure di aver diritto alla pensione anticipata. In questo secondo caso sarà obbligo dell’azienda versare un contributo mensile adeguato alle pensione maturata dal dipendente alla data di cessazione del rapporto per il periodo interessato dallo ‘scivolo’.

Nel frattempo sarà lo Stato a sostenere lo sforzo economico dell’azienda, riconoscendo al lavoratore una sorta di Naspi per una durata massima di 24 mesi.

Per le imprese con più di 500 lavoratori esisterà anche la possibilità di attivare altre 18 settimane di cassa integrazione con una riduzione delle ore lavorate fino al 30%. Invece per quel che riguarda le aziende con oltre 1.000 dipendenti, è prevista la possibilità di assumere un nuovo lavoratore ogni tre uscite beneficiando di altre 12 mensilità di Naspi, il che significa che otterranno un altro anno di sostegno da parte dello Stato.

Come andare in pensione con cinque anni di contributi

Non sono in pochi, specie in questa drammatica situazione di crisi economica causata dal lockdown e dalle misure restrittive adottate nel tentativo di contenere la diffusione del Coronavirus, a domandarsi quanti anni di contributi sono necessari per andare in pensione il prima possibile.

Se da una parte sappiamo che non è possibile andare in pensione senza aver mai lavorato, dall’altra scopriamo che esiste la possibilità di accedere ad un trattamento pensionistico anche con soli 5 anni di contributi maturati.

Ma chi può andare in pensione con 5 anni di contributi? Può farlo il lavoratore che rientri unicamente nel regime contributivo dell’assegno, oppure i lavoratori invalidi al 100%, ai quali spetta la pensione di invalidità di tipo previdenziale.

Ma si può ottenere la pensione di vecchiaia con 5 anni di contributi? Facciamo prima un passo indietro, a quando in Italia si è passati dal regime retributivo al regime contributivo. A scandire questo passaggio è stata la riforma entrata in vigore il 1° gennaio 1996, con la quale ai lavoratori vengono offerte due opzioni per andare in pensione, cose che prima non era prevista.

Queste opzioni però valgono solo per quei lavoratori che rientrano interamente e completamente nel regime contributivo, ed una di queste è proprio quella che permette di andare in pensione con 5 anni soltanto di contributi contro i 20 anni richiesti dalla misura ordinaria.

In questo caso però stiamo parlando di contribuzione effettiva, vale a dire quella obbligatoria, volontaria e da riscatto. Non si tiene conto quindi, per il calcolo dell’assegno pensionistico, della contribuzione figurativa. Infine bisogna ricordare che per accedere alle pensione di vecchiaia contributiva bisogna soddisfare il requisito riguardante l’età anagrafica, ed in questo caso si tratta di 71 anni.

Pensioni: nuovi limiti reddituali 2021, ecco cosa cambia da gennaio

La circolare Inps n. 158 del 29 dicembre 2020, chiarisce alcune modifiche che riguardano il tema delle pensioni, nello specifico vengono rese note le nuove tabelle dei limiti di reddito familiare da applicare ai fini della cessazione o riduzione della corresponsione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione della pensione per il 2021.

Gli effetti della rivalutazione dei limiti reddituali si potranno riscontrare sull’importo degli assegni pensionistici a partire dal 1° gennaio 2021, e con essa la rivalutazione dei limiti di reddito mensili per l’accertamento del carico ai fini del diritto all’assegno stesso.

Ma a chi si rivolge la circolare dell’Inps con le indicazioni relative a quanto sopra illustrato? Le novità riguardano i soggetti esclusi dalla normativa sull’assegno per il nucleo familiare, e cioè:

  • i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e piccoli coltivatori diretti, per i quali continua ad essere valida la normativa sugli assegni familiari
  • i pensionati che risultano iscritti alla Gestione speciale per i lavoratori autonomi per i quali continua ad essere applicata la normativa delle quote di maggiorazione di pensione.

Dall’Inps fanno sapere comunque che per quanto riguarda i soggetti sopra elencati, la cessazione del diritto alla corresponsione dei trattamenti di famiglia, per effetto della rivalutazione dei limiti reddituali, non produce la cessazione di altri benefici riconosciuti per familiari a carico o conviventi e/o diritti ad essi connessi.

L’Inps nella circolare n . 158 del 29 dicembre 2020 spiega che i limiti di reddito familiare presi in considerazione ai fini della cessazione o della riduzione della corresponsione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione delle pensioni da lavoro autonomo, vengono rivalutati ogni anno in ragione del tasso di inflazione programmato con arrotondamento ai centesimi di euro.

Si specifica quindi che la misura del tasso di inflazione programmato che viene preso in considerazione è dello 0,8%. Ciò significa che, in applicazione delle vigenti norme per la perequazione automatica delle pensioni, il trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti è stato fissato a partire dal 1° gennaio 2021 per l’intera durata dell’anno a 515,58 euro al mese.

Per ciò che riguarda tale trattamento, vengono considerati specifici limiti di reddito mensili ai fini dell’accertamento del carico, che corrisponde alla non autosufficienza economica del familiare, e ai fini del riconoscimento degli assegni familiari. Tali limiti di reddito mensili risultano fissati per tutto l’anno 2021 secondo i limiti reddituali di seguito elencati:

  • 726,11 euro per il coniuge, per un genitore, per ciascun figlio o equiparato
  • 1.270,69 euro per due genitori ed equiparati.

Le procedure di calcolo delle pensioni, sono comunque state aggiornate in conformità coi nuovi limiti reddituali fissati per il 2021.

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