
La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale che ridefinisce le responsabilità delle imprese nei rapporti commerciali. Con la sentenza n. 17522 del 30 giugno 2025, i giudici di legittimità hanno chiarito che il destinatario di una fattura ha l’obbligo di verificare l’identità del soggetto emittente quando emergono elementi sospetti nell’operazione commerciale. Questa decisione rappresenta un punto di svolta nella lotta contro l’evasione fiscale e le operazioni soggettivamente inesistenti.
La pronuncia nasce da un caso concreto che ha visto protagonista una società a responsabilità limitata operante nel settore del commercio all’ingrosso di computer e software. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società indebite detrazioni IVA relative all’anno d’imposta 2014, sostenendo che le operazioni erano soggettivamente inesistenti, ovvero effettivamente avvenute ma presso un fornitore diverso da quello indicato in fattura.
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Il percorso giudiziario e il ribaltamento della decisione
Il caso ha attraversato tutti i gradi di giudizio con esiti contrastanti. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia aveva dato ragione alla società, accogliendo il ricorso contro l’avviso di accertamento. Anche in secondo grado, i giudici avevano confermato l’orientamento favorevole all’azienda, sostenendo che non spetta al contribuente svolgere attività investigative sui propri partner commerciali.
Tuttavia, la Cassazione ha ribaltato completamente questa impostazione, cassando la sentenza d’appello e stabilendo nuovi criteri di valutazione. I giudici supremi hanno infatti ritenuto che la pronuncia di secondo grado fosse “errata in punto di diritto” perché contrastante con i principi consolidati in materia di detraibilità IVA e ripartizione dell’onere probatorio.
La redistribuzione degli oneri probatori
La decisione della Suprema Corte ha delineato con precisione la ripartizione delle responsabilità probatorie tra Amministrazione finanziaria e contribuenti. L’Agenzia delle Entrate deve dimostrare, anche attraverso elementi indiziari, non solo l’inesistenza del fornitore, ma anche che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in un sistema di evasione fiscale.
Una volta che l’Amministrazione ha fornito prove sufficienti basate su elementi oggettivi e specifici, il contribuente deve dimostrare di aver agito in buona fede e di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore professionale accorto. Questo standard di diligenza deve essere valutato secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tenendo conto delle specifiche circostanze del caso.
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Gli indici di anomalia che fanno scattare l’obbligo di verifica
La Corte ha specificato che il contribuente destinatario della fattura non è tenuto, in condizioni normali, a conoscere la struttura interna e le condizioni operative del proprio fornitore. Tuttavia, sorge un preciso obbligo di verifica quando emergono indici anomali nell’operazione commerciale che possano far sorgere dubbi sull’identità del soggetto emittente o su potenziali evasioni fiscali.
Questi indizi assumono particolare rilevanza considerando il carattere professionale e strutturale della presenza dell’imprenditore nel proprio settore di mercato. L’aspettativa fisiologica è che i rapporti commerciali tra operatori del settore siano caratterizzati da continuità, profittabilità e possibilità di reiterazione nel tempo.
Le conseguenze pratiche per le imprese
La pronuncia della Cassazione ha implicazioni immediate per tutte le imprese italiane. Non è più sufficiente conservare fatture formalmente regolari o utilizzare mezzi di pagamento tracciabili per dimostrare la legittimità delle operazioni. La giurisprudenza ha chiarito che questi elementi vengono spesso utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie.
Le aziende devono quindi sviluppare procedure interne più rigorose per la valutazione dei propri fornitori, soprattutto quando si presentano elementi di anomalia. Questo comporta un maggiore impegno nella due diligence commerciale e nella documentazione delle verifiche effettuate, al fine di dimostrare l’adozione della massima diligenza professionale richiesta dalla legge.
Il principio stabilito dalla Cassazione rafforza il sistema di tracciabilità dell’IVA e rappresenta un deterrente significativo contro le operazioni soggettivamente inesistenti, elemento fondamentale per la tutela delle entrate erariali e la lealtà della concorrenza tra operatori economici.
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