Nei prossimi giorni le quotazioni del dollaro saranno pesantemente condizionate da ciò che avverrà sul fronte azionario, che a sua volta rifletterà o meno una crescente o calate avversione al rischio.
Tuttavia, attenzione a non sottovalutare l’importanza che avranno i dati fondamentali. I dati sui salari USA di inizio febbraio, riferiti al periodo di gennaio, stanno infatti accendendo il focus sui numeri dell’inflazione relativa allo stesso mese. Anche se gli analisti ritengono più ragionevole considerare un eventuale ritardo nell’effetto sui prezzi, non si può affatto escludere che già nei dati in uscita questa settimana possa in realtà evidenziarsi una dinamica inflazionistica più vivace.
Per quanto concerne le previsioni, le stime degli analisti vedono per il momento un aumento mensile dello 0,3% (e di 1,9% su base annuale), dopo lo 0,2% di dicembre. Escludendo le componenti più volatili (come quelle relative al settore di alimentari e di energia) l’indice dei prezzi core è atteso in crescita dello 0,2% m/m (e di 1,7% a/a).
Ricordiamo, in tal proposito, come nell’aggiornamento del dato relativo al mese di dicembre i prezzi core fossero stati spinti dai servizi abitativi e sanitari. Mentre i primi, influenzati soprattutto dagli affitti, dovrebbero restare su un trend rapido, i secondi potrebbero invece rallentare a gennaio.
Gli osservatori si dicono infine convinti che la tendenza dei prezzi core sarà la variabile principale per prevedere il ritmo dei rialzi dei tassi nel 2018. Infatti, la crescita dei salari, se non accompagnata da un corrispondente aumento della produttività, andrà a tradursi in un incremento del costo del lavoro unitario, imprimendo una spinta sui prezzi alla produzione e al consumo. A tal proposito, gli ultimi dati, seppur riferiti al quarto trimestre 2017 e annualizzati, indicano un leggero calo della produttività (-0,1% dal 2,0%) e un’accelerazione del costo del lavoro unitario (+2% da -0,1%).
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