L’Italia si prepara alla ripartenza, ma i capoluoghi italiani sono pronti? Ecco cosa emerge dal report di EY

La Fase 2 potrebbe iniziare il 4 maggio, data per la quale mancano ormai meno di 2 settimane, ma alcuni capoluoghi italiani avranno una ripartenza più facile di altri, almeno questo è ciò che emerge dall’ultimo report di EY, nel quale vengono incrociati gli indicatori di resilienza dello Smart City Index, vale a dire fattori sanitari, economici e sociali, coi dati relativi al contagio da Covid-19.

In questo modo è possibile suddividere i capoluoghi italiani in quattro fasce, in base a quanto le città siano pronte ad affrontare la ripartenza. Ne risulta che per alcune la Fase 2 sarà affrontata facilmente, in altre sarà invece una ripartenza lenta, frenata o peggio critica, laddove ad un elevato numero di contagi si affianca un basso livello di resilienza.

  • Ripartenza facile: sono le città in cui il numero dei casi registrati è rimasto piuttosto contenuto e si può contare anche su infrastrutture adeguate e tecnologie già pronte. Il connubio basso contagio/buona resilienza permetterà a questi capoluoghi una ripartenza facile, e rientrano in questo cluster prima di tutto Cagliari, Bari e Lecce.

    Ci sono anche altre città, tra cui alcune del centro-nord, come Pisa, Siena, Pordenone, Udine, Perugia, Livorno, e ancora per il Sud e isole, Cosenza, Potenza e Sassari.

  • Ripartenza lenta: sono le città in cui la ripartenza sarà tutto sommato agevole, soprattutto per via del basso livello dei contagi, ma in questi capoluoghi a differenza di quelli inseriti nel primo gruppo, non si può fare affidamento su un buon livello di resilienza.

    Tra le città con infrastrutture di mobilità e comunicazione non sufficientemente elevato ma con un basso numero di casi di coronavirus registrati rientrano molte città del sud, come Caltanissetta, Caserta, Crotone, Napoli, Catania, Palermo, Foggia, Brindisi e Taranto. Inoltre tra quelle a basso contagio ma scarsa resilienza ci sono Viterbo, L’Aquila, Prato e Roma.

  • Ripartenza frenata: in questo gruppo troviamo soprattutto le città del nord, dove da un lato abbiamo un elevato numero di contagi, ma dall’altro una buona resilienza. Sono quindi i capoluoghi più “smart” come Milano, Bergamo, Brescia, Piacenza.

    In queste città i cittadini possono contare su buoni sistemi di mobilità, reti TLC e reti di sensori molto avanzate, ma sono frenate dall’alto numero dei casi di Covid-19 registrati, che hanno comportato alti livelli di ospedalizzazione e causato carenza di medici di base sul territorio. In questo gruppo ci sono anche Venezia, Torino, Firenza, Genova, Parma, Bologna, Padova, Pavia e Trento.

  • Ripartenza critica: qui le condizioni per la ripartenza presentano lo scenario peggiore, vale a dire alto numero di contagi/bassa resilienza. In questi capoluoghi le reti di trasporto pubblico sono poco capillarei, e il car sharing è poco diffuso, le coperture TLC risultano limitate, non ci sono abbastanza sensori sul territorio e mancano le piattaforme centrali di controllo attraverso cui raccogliere i dati.

    In questo gruppo si vanno a trovare Cremona, Lodi, Lecco, Alessandria, Verbania, Savona, Bolzano, Forlì, Varese, Belluno, Ancona e Como che generalmente non occupano i primi posti nella classifica delle smart city italiane.

Una ripartenza che quindi rappresenterà una sfida più o meno difficile, come spiega Marco Mena, Senior Advisor di EY, responsabile dello Smart City Index.

“Non è detto che le città più resilienti riescano a trarre più vantaggi dalla ripartenza, perché molte di esse hanno una situazione più complessa da affrontare. Tutte le città devono sfruttare gli investimenti fatti nella smart city negli ultimi anni e capitalizzarli verso la ripartenza, facendo sistema tra i soggetti coinvolti. Chi è in una situazione critica di contagio farà molto più fatica a muoversi in quest’ottica, mentre le città che hanno il contagio sotto controllo hanno maggiori probabilità di sfruttare la ripartenza e tornare più velocemente alla situazione che definiremo “new normal” che sarà comunque molto diversa da quella precedente”.

Noi stimiamo che più del 20% dei capoluoghi italiani non sarà in condizione di cogliere immediatamente questa opportunità, ma farà molta fatica, perché non ha le infrastrutture e le tecnologie adatte ad affrontare la complessità della ripartenza” spiega ancora il professor Mena.

Secondo Andrea D’Acunto, Mediterranean Government and Public Sector Leader di EY, le città italiane dovranno definire i piani della ripartenza, che avranno ovviamente una declinazione locale molto spinta. In altre parole ogni città, in base alle infrastrutture di cui dispone, ed in base a tutti i fattori presi in considerazione nel report, valutarà in che modo affrontare la ripartenza.

Queste città, non solo avranno bisogno di “tener conto della situazione del contagio e dello stato delle infrastrutture urbane” ma “dovranno lavorare imprescindibilmente su altri fattori, come la comunicazione per influenzare i comportamenti dei cittadini, la rifocalizzazione dei fondi nazionali ed europei sugli investimenti su infrastrutture e servizi e lo snellimento delle decisioini per favorire la collaborazione con i soggetti privati in grado di capitalizzare sulle infrastrutture e sviluppare i servizi”.

In conclusione, spiega D’Acunto, diviene “indispensabile la velocità nel mettere a punto le concessioni e lanciare i servizi per adattarsi al cambio di abitudini e creare il ‘new normal’ delle città”.

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