Crisi energetica e carenza di materie prime, ecco cosa sta succedendo e quali sono le cause

Stiamo vivendo un caos economico che non ha precedenti nella storia recente, e che è stato generato in tutta la sua complessità da una serie di concause. Il primo motivo per cui la filiera produttiva si trova oggi in crisi è naturalmente legato alla gestione dell’emergenza Coronavirus, ma ad incidere in misura tutt’altro che marginale anche alcuni sfortunati eventi.

Produrre un’analisi completa e in grado di offrire delle prospettive realistiche circa il prossimo futuro invece di previsioni inaffidabili, non è affatto semplice. Quel che appare evidente e che è sotto gli occhi di tutti, è che la cosa andrà per le lunghe, il che significa che i prezzi dell’energia resteranno molto alti, e probabilmente saliranno ancora, la carenza di materie prime ci accompagnerà ancora per diversi mesi così pure l’inflazione.

In un articolo pubblicato su Bloomberg leggiamo il parere di Tyler Cowen, e l’esperto di economia ci spiega che ci tocca fare i conti con diverse cattive notizie. “i problemi della catena di approvvigionamento mondiale sono più persistenti e più gravi di quanto si pensasse in precedenza” ma soprattutto che “non c’è nessuna soluzione semplice” e “nessuno sa davvero quando la situazione migliorerà”.

In compenso, come viene evidenziato dallo stesso esperto, è almeno in parte possibile ricostruire in che modo siamo finiti in questa situazione senza precedenti, ed è qui che entra in gioco la gestione della pandemia Covid-19 e quegli sfortunati eventi cui accennavamo all’inizio che hanno riguardato sia i trasporti che l’energia e i chip semiconduttori di alta qualità.

Caos economico globale, il nodo trasporti

La prima causa evidente del drastico calo dell’efficienza della rete di trasporto merci è quella delle restrizioni imposte nei vari Paesi del mondo nel dichiarato intento di contenere la diffusione del Sars CoV-2, ma non è stato quello l’unico motivo per cui ora l’intera rete è ingolfata.

Su Bloomberg, nell’articolo di Tyler Cowen troviamo un’analisi abbastanza completa di quanto sta accadendo. “Un robusto commercio di beni durevoli ha messo a dura prova container, navi e operazioni portuali in tutto il mondo” ricorda Cowen, sottolineando l’impennata dei prezzi dei container che, come abbiamo visto qualche settimana fa, ha costretto alcune delle principali compagnie di trasporto a bloccare le tariffe.

“Il prezzo dei container è salito alle stelle e può essere più di 10 volte superiore a quello di appena due anni fa” leggiamo ancora su Bloomberg, dove si sottolinea anche che “molto commercio internazionale ha subito un forte rallentamento” e che “parte di esso non è più redditizio”.

Si è innescato in parole povere una sorta di effetto domino, per cui ogni effetto prodotto da una causa è a sua volta causa di un altro effetto. E nel caso specifico dei trasporti la situazione sopra brevemente illustrata ha prodotto il razionamento dei servizi relativi ai trasporti, e questo rallenta ulteriormente gli scambi di merci.

Ci sono molti fornitori che chiedono componenti commercializzati a livello internazionale, che sono indispensabili per completare la produzione e quindi la distribuzione dei relativi beni e servizi, e che si trovano costretti ad attese spesso difficili da preventivare.

E ancora una volta si torna al problema d’origine: le misure restrittive imposte in molti Paesi in chiave anti-contagio. Infatti come ci spiega Cowen “molte parti del mondo stanno affrontando carenze di manodopera, in quanto le persone non sono sicure di come riconfigurare il proprio futuro lavorativo post Covid, o in alcuni casi le misure introdotte dal governo impediscono loro di lavorare. Questo determina ulteriori ritardi nella rete di distribuzione”.

E come al solito le soluzioni scarseggiano. Una potrebbe essere quella di produrre un maggior numero di container, visto che costruire nuovi porti e nuove navi richiederebbe tempi decisamente più lunghi. Eppure anche questa opzione deve essere messa da parte dal momento che per la sua attuazione pratica necessiterebbe proprio di quelle reti commerciali e di trasporto efficienti su cui ora non possiamo contare.

La questione crisi energetica

Per introdurre questo secondo aspetto possiamo forse dire che non era esattamente il momento migliore per scommettere su fonti di energia alternativa, o magari non era il caso di mettere il mondo in lockdown per mesi, visto che avevamo deciso di scommettere sulle rinnovabili e ridurre l’utilizzo delle fonti di energia tradizionali, riducendo di conseguenza i livelli di scorta.

Insomma molti Paesi si sono esposti proprio nel momento sbagliato, ed ecco il risultato. Nel pezzo di Cowen pubblicato su Bloomberg leggiamo a tal proposito che “molti Paesi hanno cercato di passare a forniture di energia più verdi, ma senza prima disporre di alternative sufficienti. Giappone e Germania hanno deciso di abbandonare i loro precedenti impegni sull’energia nucleare e, più recentemente, la Cina ha visto carenze di energia”.

Eppure fino ad appena un anno fa dal punto di vista energetico sembrava che tutto filasse liscio, è stato con la ripresa post lockdown e post restrizioni che il gas naturale ha iniziato a scarseggiare.

La domanda aveva effettivamente subito un’improvvisa impennata, complice anche la forte spinta che si cercava di impremere sulla produzione per alimentare la ripartenza.

“La produzione e l’esportazione di gas sono state respinte nelle prime fasi della pandemia e la ripresa è stata più forte e più rapida di quanto previsto dal settore energetico” leggiamo infatti su Bloomberg. 

Ed eccoci all’aumento dei prezzi del gas, con un incremento che nell’ultimo anno ha raggiunto il 700% nel Regno Unito, e negli altri Paesi d’Europa le cose non vanno meglio, senza contare il rischio di rimanere a corto di fornitura, cosa quest’ultima che riguarda soprattutto i Paesi con le scorte a livelli particolarmente bassi e al tempo stesso più esposte a temperature rigide nell’invernata, come in primo luogo la Germania.

La questione energia riguarda poi da vicino la produzione, essendo un “input significativo nella produzione di molti altri beni e servizi” ed ancora una volta gli effetti sono a catena e finiscono con il coinvolgere altri settori dell’economia.

Il problema della carenza di chip

A scarseggiare in realtà sono diversi tipi di materie prime, ma in particolar modo a frenare la ripresa è la carenza di chip per computer di alta qualità. “L’economia globale dipendeva già troppo da due Paesi per l’approvvigionamento: Taiwan e Corea del Sud” spiega infatti Bloomberg.

E come mai ora ci troviamo in una situazione di tale carenza? “Sono successe tre cose” prova a risponderci Cowen “le fabbriche di chip sono state chiuse durante i blocchi, una serie di sfortunati disastri naturali ha danneggiato l’offerta di chip e la domanda di chip è aumentata con l’aumento della domanda dei consumatori di beni durevoli come automobili ed elettrodomestici”.

La causa principale, come vediamo, è ancora una volta la politica del lockdown con cui molti Paesi hanno deciso di gestire la diffusione del Sars CoV-2, e la sfortuna ci ha messo del suo. Le conseguenze le vediamo su tutti i prodotti che contengono chip, e in particolare sul mercato dell’automobile che ha subito un notevole rallentamento nella catena di produzione e di conseguenza di distribuzione. Ne deriva che i prezzi, sia dell’usato che del nuovo, sono rimasti alti.

Il quadro complessivo

In sintesi quindi troviamo da un lato i ritardi negli scambi, la carenza di materie prime e in particolare di chip, i maggiori costi commerciali e di trasporti, la crisi energetica. Dall’altro lato troviamo i consumatori soprattutto di Europa e Usa, che sono quelli che complessivamente hanno subito lockdown e restrizioni più severe, che hanno risparmiato notevoli quantità di denaro nel 2020 e che con la fine della fase più acuta dell’emergenza a partire dal 2021 hanno iniziato a spendere.

Sarebbe questa combinazione, secondo l’autore dell’articolo pubblicato su Bloomberg qualche giorno fa, ad aver alimentato l’inflazione dei prezzi. Forte domanda da una parte ma un’offerta che non riesce a recuperare dall’altra.

“E non è solo un problema che ha una soluzione facile e diretta, ma piuttosto una serie di percorsi interconnessi di caos economico e ritardo” dice Tyler Cowen, spiegando che “i problemi con la catena di approvvigionamento alla fine si risolveranno da soli, anche se nessuno può dire esattamente quando”.

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