Il conflitto Russia-Ucraina e il ruolo della Cina, perché conviene diversificare

In Cina il presidente Xi-Jinping sta per essere rieletto, nel frattempo gli Usa si avviano verso le elezioni di mi-term, e difficilmente rafforzeranno l’amministrazione di Joe Biden, che sempre meno convince non solo in patria ma anche all’estero.

Si tratta di due importanti eventi politici che possono segnare un cambio di direzione o anche un cambio di marcia nell’attuale conflitto che vede coinvolte Russia e Ucraina in prima linea, ma anche i Paesi Nato e l’Europa in particolare soprattutto sotto il profilo economico.

Nessuno si stupirebbe se con un eventuale coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto, ad esempio a seguito di una significativa svolta a favore della Russia, entrasse in gioco la Cina.

E tuttavia secondo alcuni media Pechino avrebbe sempre risposto picche alle richieste di inviare aiuti militari da parte di Mosca, il che farebbe pensare che Xi-Jinping preferisca mantenere un ruolo di neutralità, e forse interpretare ad un certo punto quello di peace-keeper.

Un ruolo che tra l’altro non sarebbe inedito per Pechino, visto che lo ha giocato in vari contesti di crisi in Paesi africani quali Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Repubblica Centro Africana. È noto comunque che la Cina ha interesse a coltivare i rapporti con l’Africa nella prospettiva di avere un partner economico strategico per la Belt and Road Initiative, un progetto in cui il governo di XI-Jinping ha già investito molto.

Ma tornando al ruolo della Cina nel conflitto tra Russia e Ucraina, se da una parte sembra non vi sia stata grande disponibilità (quanto meno ufficialmente) nella fornitura di armi all’alleato russo, dall’altra la Cina è tra i Paesi che si sono astenuti in occasione del voto sulla risoluzione dell’Onu tesa a condannare la cosiddetta “aggressione russa”.

La Cina in una fase economica delicata

Secondo alcuni osservatori le probabilità che la Cina e la Russia arrivino a formare una vera e propria alleanza, non solo sotto il profilo commerciale ma anche politico-militare, non sono particolarmente alte.

Si ritiene più probabile che la collaborazione tra i due Paesi non vada oltre il semplice commercio di beni e/o servizi, ma si tratta solo di ipotesi e supposizioni.

Intanto i mercati finanziari cinesi non se la passano benissimo, soprattutto per quel che riguarda i titoli tecnologici che continuano a reagire negativamente. I mercati temono soprattutto che un eventuale ulteriore rallentamento delle economie di sbocco della Cina, vale a dire Europa e Usa, possa incidere pesantemente. Il solo mercato interno, nonostante si rivolga ad 1,5 miliardi di persone, difficilmente potrebbe sostenere la crescita del Pil del Paese.

In questa fase il governo cinese ha diverse sfide davanti. Da una parte la gestione del Covid-19, che per qualche ragione continua ad essere affrontato con una politica di tolleranza zero con pesanti ripercussioni sull’economia del Paese.

Poi ci sono le tensioni con Taiwan, e quindi con gli Stati Uniti. Ma se la Cina potrebbe non avere alcun interesse in una escalation, gli Stati Uniti ancor meno, visto il già gravoso peso del sostegno economico e militare all’Ucraina.

In quel settore quindi è più facile che non vi sia alcun significativo sviluppo nel prossimo futuro, anche perché il mercato statunitense è molto importante per l’economia cinese. Si calcola che nel 2021 il commercio tra Cina e Usa sia aumentato del +28,7%, raggiungendo i 755,6 miliardi di dollari, con un surplus commerciale che ha toccato i 396,5 miliardi di dollari per un incremento del +22% circa.

Naturalmente per la Cina è molto importante anche il mercato europeo, e anche in questo caso i dati sono molto eloquenti. Secondo l’Eurostat nei primi 11 mesi del 2021 l’export della Cina versi i Paesi europei ha registrato un incremento di oltre il +20% fino a 421,8 miliardi di euro, mentre l’importazione dai Paesi Ue è aumentata del +11,4%, fino a raggiungere i 203,6 miliardi di euro. Complessivamente il surplus cinese verso l’Eurozona è aumentato del +30% fino a 218 miliardi di euro.

Questi numeri suggeriscono che l’economia russa e degli altri Paesi che vi orbitano intorno non è in grado di assorbire la flessione delle importazioni dei mercati di Ue e Usa.

Non vi sono dubbi quindi che alla Cina conviene preservare i rapporti commerciali con Usa ed Europa, e che sotto l’aspetto degli scambi commerciali un calo determinato dalla crisi economica dei Paesi occidentali possa produrre effetti negativi.

Non bisogna però dimenticare che in questa fase vi è in gioco molto di più, e che nel contesto di un significativo indebolimento delle economie occidentali vi sarebbe un inevitabile, e tra l’altro già ampiamente avviato, sbilanciamento dell’asse verso i Paesi del Brics (la recente conferma da parte del presidente del Sud Africa dell’interesse dell’Arabia Saudita di entrare a fare parte del Brics non è che un’ulteriore conferma del fatto che questo processo è in corso, nonché indice che potrebbe vedere una ulteriore accelerazione).

La Cina sta lavorando su più fronti, e non dobbiamo dimenticare che il 1° gennaio 2022 è partito operativamente il meccanismo del RCEP, vale a dire quell’accordo commerciale tra Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e i Paesi dell’Asean, volto alla progressiva eliminazione delle tariffe doganali tra i vari Paesi che ne fanno parte, per la creazione nel giro di 20 anni della più grande zona di libero scambio su scala globale.

Il quadro si presenta quanto mai complesso e variegato, ed è chiaro che in una situazione simile è estremamente difficile prevedere quali saranno i traffici economici mondiali tra 5 o 10 anni, e neppure è possibile prevedere quali saranno i rapporti di forza che, in questo momento, sembrano destinati a cambiare radicalmente.

In un simile contesto, sotto il profilo degli investimenti, la strategia che può risultare vincente è sicuramente quella che punta maggiormente sulla diversificazione, con value stocks che producono cassa e copertura del portafoglio.

E nel frattempo attendiamo di capire quali saranno le scelte delle banche centrali, e della FED in particolare, per contrastare l’inflazione e più in generale per sostenere l’economia. Ma soprattutto attendiamo di vedere i risultati in termini di crescita economica.

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