Referendum sul taglio dei parlamentari, via libera dal Pd ma serve una nuova legge elettorale

Con le elezioni regionali ormai alle porte, il governo si prepara ad affrontare quello che lo stesso Partito Democratico ha definito un voto politico. Un voto politico in qualche modo sarà rappresentato anche dall’esito del referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari, concepito dal governo giallo-verde ed appoggiato ora anche dalla componente rossa.

Il Pd appoggerà il referendum, secondo quanto ha affermato il segretario Nicola Zingaretti, che in una intervista rilasciata a Il Corriere della Sera ha spiegato: “voteremo sì al referendum, sosteniamo da sempre la riduzione del numero dei parlamentare e per anni abbiamo presentato proposte di legge in questo senso”.

Non usa giri di parole il segretario dem, che però aggiunge una postilla: “tuttavia per votare Sì e far nascere il governo abbiamo chiesto modifiche circa i regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, per tutelare i territori, il pluralismo e le minoranze”.

Bisogna andare avanti insomma in quella che è la realizzazione della nuova legge elettorale, tanto più che con un parlamento prossimo (se vince il sì) ad una sfoltitura consistente, le ‘regole del gioco’ non possono rimanere le stesse.

E secondo Zingaretti è possibile approvare la riforma elettorale almeno in un ramo del Parlamento. “Se c’è la volontà politica si può fare molto” dice al Correire della Sera il segretario dem “quando si parla di democrazia e istituzioni tutti i momenti sono buoni. Naturalmente accanto a questo c’è la priorità del lavoro, della scuola, della crescita. Confido che si possa aprire tutti assieme una fase nuova dove la politica diriga i grandi processi di trasformazione in corso e non li subisca”.

Si avvicinano intanto le regionali, con un election day al quale mancano appena 3 settimane. L’esito del voto sarà molto importante, un po’ per il contesto del tutto inedito nel quale si colloca, ma anche per il suo innegabile valore politico.

Lo conferma anche il segretario del Pd, che afferma a tal proposito: “quando votano milioni di cittadini è sempre un fatto politico. Peserà sugli sviluppi della situazione italiana. Comunque, quello che cambierà sicuramente in meglio o peggio, sarà la vita dei cittadini delle Regioni investite dalla consultazione elettorale, per questo ovunque combattiamo per vincere”.

Come sarà la nuova legge elettorale?

Il problema della nuova legge elettorale, che in base all’accordo molto teorico raggiunto dalla maggioranza dovrebbe ispirarsi al modello tedesco, è la soglia di sbarramento al 5%, che lascerebbe fuori dalle sedi della politica i partiti che non sono in grado di raggiungere un’asticella fissata così in alto, come Italia Viva su tutti, che secondo quanto riportato dall’HuffingtonPost, ha già pronta la sua strategia.

Non ne fa un segreto in realtà Matteo Renzi, che è pronto ad appoggiare la proposta di un modello maggioritario per eleggere quello che lui stesso in tempo non sospetti aveva definito “il sindaco d’Italia”, se non si abbassa l’asticella che non è in grado di raggiungere con Italia Viva.

Un vero dramma per un politico che avrebbe smesso di fare politica se avesse perso il referendum del 2016, e che invece sta ancora lì a combattere per rimanre in Parlamento nonostante il suo partito galleggi a fatica intorno al 3% secondo gli ultimi sondaggi. Un segnale che dovrebbe indicare in modo abbastanza chiaro quanto l’idea di lasciare la politica non fosse poi così male.

Su queste dinamiche in atto tra gli esponenti delle varie forze politiche si adotta molta discrezione, ma secondo quanto riportato dall’HuffingtonPost, che cita fonti che lavorano al dossier, un tentativo di abbassare la soglia di sbarramento al 4% è effettivamente in atto.

Il 4% però non va ancora bene, perché la soglia sarebbe comunque troppo alta. A sottolinearlo è un parlamentare di LeU, che ha spiegato: “il 4% è una soglia ancora molto alta, che priverebbe di rappresentanza tutti quegli Italiani che voteranno partiti che saranno costretti a rimanere fuori. E potenzialmente parliamo di un sesto degli elettori”.

Il caso vuole che secondo i sondaggi LeU si trovi attualmente con percentuali di consenso vicine al 3%, proprio come Italia Viva.

Il premier Conte “non ha mosso un dito per sbloccare l’empasse” secondo il Pd

C’è intesta tra il Pd e il Movimento 5 Stelle sulla tabella di marcia per lavorare alla nuova legge elettorale. I dem infatti spingono perché si riesca ad arrivare ad un’approvazione in prima lettura prima della data del voto, il 20 settembre, e dai 5 Stelle arriva un sostanziale assenso. 

Luigi Di Maio ha infatti ribadito l’intenzione da parte dei pentastellati di rispettare gli accordi presi. Il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, ha spiegato che proporrà l’adozione del testo base martedì 1° settembre.

“far partire il confronto non risponde solo a un patto di maggioranza, ma restituisce prestigio e dignità alla politica” ha dichiarato infatti Brescia.

Almeno si dovrebbe riuscire a mettere per iscritto un testo di partenza. Su quel testo poi si potranno eventualmente apportare le opportune modifiche, ma il tentativo di procedere in tal senso è già stato fatto ed è sfumato all’inizio dell’estate. Pd e M5s infatti non avevano fatto i conti con Italia Viva che ha espresso parere contrario.

La colpa, almeno secondo il Pd, è di Giuseppe Conte che “non ha mosso un dito per sbloccare l’empasse”. E vista la situazione in cui si trova l’Italia all’indomani del lockdown, con una emergenza sanitaria che ha lasciato il posto ad una emergenza economica di storiche proporzioni, una legge di bilancio alle porte e l’apertura delle scuole ormai imminente, appare chiaro che ci sono altre priorità.

Difficile quindi che sulla nuova legge elettorale l’Aula si pronunci nell’arco delle prossime tre settimane, anzi proprio per via del momento delicato anche dal punto di vista politico, con il referendum sul taglio dei parlamentari oltre alle elezioni per il rinnovo dei consigli di 6 regioni. I dem però spingono comunque perché si arrivi almeno all’ok in Commissione, sebbene il suo valore sarebbe più che altro meramente simbolico.

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