Nel pieno del dibattito sulla nuova legge di bilancio, uno degli emendamenti più discussi è quello che punta a chiarire, per via normativa, che le riserve auree attualmente custodite e amministrate dalla Banca d’Italia sono proprietà dello Stato italiano, “in nome del popolo”. Si tratta di una proposta che sta generando grande attenzione, non solo a livello politico ma anche sul piano economico e istituzionale, perché tocca uno dei pilastri strategici della finanza nazionale: l’oro di Bankitalia.
L’emendamento, presentato dal capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan, è stato inserito tra quelli “segnalati”, ovvero destinati a una discussione prioritaria. Il concetto espresso è chiaro: l’oro della Banca d’Italia non sarebbe solo gestito dall’istituto, ma apparterrebbe formalmente allo Stato, rappresentato dal popolo italiano. Un tema che la presidente del Consiglio aveva sollevato già nel 2014, quando chiedeva di sancire per legge la proprietà pubblica delle riserve auree.
L’Italia tra i colossi mondiali dell’oro
Pochi sanno che l’Italia possiede uno dei patrimoni aurei più grandi al mondo. Con 2.452 tonnellate di metallo prezioso, il nostro Paese si colloca al terzo posto dopo Stati Uniti e Germania. Secondo i dati dell’ultimo bilancio di Bankitalia, il valore complessivo dell’oro italiano sfiora i 198 miliardi di euro, con un incremento significativo nell’ultimo anno, favorito dall’aumento delle quotazioni sui mercati internazionali.
Le riserve non sono conservate in un’unica sede: il 45% è custodito presso la sede centrale della Banca d’Italia a Roma, il 43% alla Federal Reserve di New York, mentre il restante 12% è suddiviso tra Svizzera e Regno Unito. Questa distribuzione internazionale è motivata da esigenze logistiche e strategiche, legate alla sicurezza e alla liquidabilità del metallo in caso di necessità.
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Il nodo europeo: chi gestisce davvero l’oro?
La questione più delicata riguarda però i rapporti con la Banca Centrale Europea. La Banca d’Italia fa parte del Sistema Europeo di Banche Centrali, che ha tra le sue funzioni proprio la gestione delle riserve ufficiali degli Stati membri dell’Unione. Questo significa che anche l’oro rientra nel perimetro delle competenze dell’Eurosistema.
Secondo l’interpretazione della Bce, le riserve auree nazionali non sono appannaggio esclusivo dei singoli Paesi, ma costituiscono una componente fondamentale delle riserve comuni dell’Eurosistema, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità finanziaria e alla tutela della moneta unica. In altri termini, Bankitalia sarebbe co-proprietaria delle riserve insieme alle altre banche centrali dell’area euro.
Qualora l’emendamento venisse approvato, è plausibile che la Bce possa chiedere chiarimenti e, nei casi più sensibili, intervenire formalmente. Non si esclude neppure che altri Paesi membri del Sebc possano esprimere perplessità o sollevare obiezioni sul piano giuridico.
Un dibattito tra economia, sovranità e norme europee
Il tema delle riserve auree non riguarda solo la proprietà formale, ma anche il loro utilizzo, la loro funzione strategica e il rapporto tra sovranità nazionale e vincoli europei. Se l’oro fosse riconosciuto come proprietà diretta dello Stato, la gestione e il controllo resterebbero comunque in capo alla Banca d’Italia, poiché le riserve auree svolgono un ruolo chiave nella tutela della credibilità finanziaria e nel sostenere eventuali operazioni di emergenza.
L’emendamento, quindi, non aprirebbe automaticamente alla possibilità di usare l’oro per finanziare la spesa pubblica, ma avrebbe soprattutto un valore politico e simbolico. Tuttavia, il dibattito è destinato a intensificarsi, perché tocca il delicato equilibrio tra autonomia nazionale e regole dell’Unione Europea.
In un momento storico segnato da tensioni economiche, inflazione e incertezza internazionale, il valore dell’oro appare più che mai centrale. E non solo come riserva finanziaria, ma anche come simbolo di patrimonio e identità nazionale.
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