L’anno scorso è stato senza dubbio l’anno del Bitcoin. L’interesse di mercati finanziari per questa criptovaluta ha infatti alimentato una massiccia accelerazione del mercato. E, come se non bastasse questa (eccessiva?) eccitazione collettiva, alcuni speculatori hanno fatto un ulteriore salto investendo in progetti di criptovaluta attraverso un processo non regolamentato conosciuto come “ICO”, o offerta iniziale di moneta, in cui una startup vende il proprio token crittografico per raccogliere fondi.

Lo scetticismo che molti analisti hanno riposto in questo processo non è certamente casuale. Bitcoin.com ha esaminato gli ICO lanciati lo scorso anno, rilevando che delle 902 offerte monitorate da TokenData, ben 142 sono fallite prima di raccogliere fondi, e altre 276 sono fallite dopo la raccolta di fondi.

Il tasso di fallimento è dunque del 46%, ma le brutte sorprese non sono finite qui. Bitcoin.com ha infatti scovato altri 113 progetti che definisce “semi-falliti”, perché i loro team sviluppatori non sono più impegnati, o perché la loro comunità di base si è già dissolta. Aggiungendo anche questi progetti, il tasso di errore sale al 59%. Bitcoin.com afferma che il finanziamento totale dei progetti falliti a partire dal 2017 è stato di 233 milioni di dollari.

A ben vedere, si tratta di una mole di risorse enorme, anche se – in fondo – il tasso di fallimento potrebbe non sembrare scandaloso per chi ha familiarità con le startup. Il 75% di tutte le start-up sostenute dal tradizionale finanziamento di venture capital fallisce, e dal 30 al 40% di esse prende tutto il capitale dagli investitori. Tra tutte le nuove società avviate negli USA, ricorda Fortune, poco più del 20% non riesce a finire il primo anno.

I numeri ICO riescono a fare ovviamente di peggio, ma anche questo elemento potrebbe non sembrare sorprendente in un settore nascente. Tuttavia, i risultati sono comunque particolarmente preoccupanti per almeno altri due motivi.

Innanzitutto, dal momento che la mania della ICO nel 2017 non ha preso pienamente piede fino alla seconda metà dell’anno, un numero sproporzionato di fallimenti di ICO si è sviluppato in realtà in pochi mesi. E in secondo luogo, non tutti i progetti chiusi sono veri e propri fallimenti: molti non hanno prodotto alcun prodotto e un buon numero probabilmente non lo ha mai inteso fare. Alcuni progetti erano dunque, semplicemente, delle truffe: i fondatori sono spariti con i soldi che avevano raccolto, mentre altri sparivano lentamente, ma con lo stesso nefasto intento.

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