Pensioni: quota 100 verso il capolinea e si fa strada l’ipotesi di Quota 41. Ecco come funziona

Il tema della riforma delle pensioni è stato rimandato fino ad ora, ma non potrà essere procrastinato ancora a lungo. L’emergenza coronavirus, con tutto ciò che ha comportato sia per la gestione dell’aspetto strettamente sanitario, che per i problemi legati al lockdown ed alle sue conseguenze economiche, ha tenuto l’esecutivo fin troppo impegnato.

La riforma delle pensioni riparte a settembre con il confronto coi sindacati

La questione della riforma delle pensioni insomma ora non può più essere rimandata, e proprio nelle prossime settimane il dibattito entrerà nel vivo con due appuntamenti in particolare.

A fine luglio il confronto sulla riforma del sistema previdenziale era già stato aperto, e appena ci lasceremo alle spalle il mese di agosto si provvederà come prima cosa a riprendere il discorso, anche perché Quota 100 scadrà nel giro di un anno o poco più ed occorre trovare un’alternativa valida, il che, va da sé, non è semplice.

Gli appuntamenti di settembre per la riforma delle pensioni sono due, come accennato, uno fissato all’8 settembre ed uno il 16 settembre. Si tratta dei due tavoli di confronto tra l’esecutivo nella persona della Ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo (M5s) e i sindacati.

Secondo quanto riportato dai maggiori giornali italiani, il primo incontro si focalizzerà soprattutto sul breve termine e sulle misure da inserire nella Legge di Bilancio 2021. Il secondo incontro invece si prefiggerà di individuare obiettivi nel lungo termine.

Quota 100 vicina alla scadenza e il problema dello “scalone”

Si tratta di uno dei principali ostacoli da affrontare con il superamento di Quota 100, la riforma fortemente voluta dalla componente leghista del primo governo Conte. Quota 100 volge allo scadere, infatti la sua validità terminerà il 31 dicembre 2021, fra poco più di un anno il che significa che il tempo stringe.

Ma come funziona il sistema delle pensioni con Quota 100? Si può andare in pensione a 62 anni di età a patto di avere 38 anni di contributi, totale appunto 100.

Con la fine di questa forma di pensionamento anticipato però si viene a creare immediatamente un dislivello improvviso, cioè il cosiddetto “scalone”. Il ‘grande scalino’ è rappresentato dal fatto che si passerebbe dalle regole per il pensionamento anticipato di Quota 100 al pensionamento a 67 anni (5 anni in più) a partire dal 1° gennaio 2022.

Pensioni: si passa da Quota 100 a Quota 41?

Il problema quindi è trovare un sistema che permetta un pensionamento anticipato ma che al tempo stesso sia sostenibile nel lungo periodo. Una proposta arriva dalla ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che lancia l’idea di Quota 41, vale a dire 41 anni di contributi versati e la possibilità, con questo presupposto, di andare in pensione indipendentemente da quale sia l’età anagrafica del lavoratore.

L’idea del pensionamento con Quota 41 piace anche ai sindacati, che sarebbero disposti ad accettare la formula ipotizzata dal ministero del Lavoro, ma sottolineando che si presenterebbe la necessità di procedere ad una riforma del sistema previdenziale che sia in grado di garantire la flessibilità.

Quali sono i punti deboli di Quota 41?

L’idea di Quota 41 sembra nient’affatto male, ma per raggiungere questo risultato la strada è irta di insidie e ostacoli da superare. Il primo problema potrebbe essere rappresentato proprio dalle possibili penalizzazioni sul fronte dei futuri assegni mensili, che rischiano di finire per essere leggermente ridimensionati.

Per sostenere il costo che una riforma come quella di Quota 41 richiederebbe, si è pensato alla possibilità di eliminare dal calcolo della pensione la quota retributiva. In tal caso il calcolo dell’assegno verrebbe fatto esclusivamente con il metodo contributivo.

Quindi chi verrebbe maggiormente penalizzato da una riforma di questo tipo? Indubbiamente i primi ad essere penalizzati sarebbero tutti coloro che hanno iniziato la loro vita lavorativa prima della riforma Dini che risale al 1° gennaio 1996.

Infatti per quei soggetti per i quali i periodi di lavoro svolti fino alla fine del 1995 rientravano fino ad oggi nel calcolo con il sistema retributivo, si ritroverebbero con il calcolo dell’assegno con il metodo contributivo anche per gli anni precedenti il 1996.

Il risultato sarà inevitabilmente una riduzione dell’assegno pensionistico con un impatto negativo che sarà tanto più pesante quanti più contributi sono stati versati prima del 1996. Ad essere meno penalizzati saranno invece quei lavoratori che hanno accumulato meno contributi prima della fine del 1995.

Ora come ora in ogni caso si tratta solo di ipotesi che sono state ventilate, ma di certo chiaramente non c’è ancora nulla. Il dibattito politico sulla riforma del sistema pensionistico, come accennato, riprenderà con gli incontri di settembre tra ministero del Lavoro e sindacati, e solo allora potremo iniziare a farci un’idea più precisa di quale potrebbe essere la strada che verrà imboccata dopo la fine di Quota 100.

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