Disoccupazione Naspi: rivalutazione importo 2021 e rischio revoca, ecco a cosa bisogna stare attenti

In questo particolare periodo storico, con l’emergenza Coronavirus e soprattutto con la crisi economica causata dalle misure restrittive adottate dal governo italiano, una misura come la Naspi si rivela quanto mai di importanza fondamentale.

Tutti quei cittadini italiani che hanno perso il proprio posto di lavoro per cause che non sono ad essi imputabili, possono infatti presentare domanda per richiedere l’indennità di disoccupazione Naspi.

Con l’arrivo della pandemia di Covid-19 molti lavoratori hanno perso il proprio impiego prima che il governo imponesse alle imprese il divieto di licenziamento, ed anche per tutti questi casi la disoccupazione Naspi può essere un’ancora di salvezza, ma solo per un periodo di tempo limitato.

L’indennità di disoccupazione Naspi può anche essere definita come una assicurazione sociale per l’Impiego, il cui importo massimo viene ogni anno rivalutato per effetto della variazione comunicata dall’Istat. Per quel che riguarda il 2021 però non ci sarò alcun aumento come invece accaduto per gli anni precedenti. A novembre infatti l’Istat ha fatto sapere che l’indice di variazione dei prezzi si attesta sul -0,3.

Disoccupazione Naspi: quando è dovuta

L’attuale Naspi ha sostituito la vecchia assicurazione sociale per l’impiego Aspi e MiniAspi, ed è un indennizzo destinato a chi perde il lavoro per motivi che non dipendono dalla sua volontà, nonché, come previsto in deroga in questi mesi, a chi aderisce ad un accordo collettivo di licenziamento.

In generale la Naspi spetta a quei lavoratori sia nel pubblico che nel privato, che perdono il proprio posto in modo involontario, cioè a coloro che non hanno deciso ad esempio di dimettersi per trovare un nuovo impiego o per altre motivazioni.

Per quanto riguarda i lavoratori che hanno un posto nel pubblico possono accedere all’indennità di disoccupazione Naspi solo se erano in possesso di un contratto a tempo indeterminato. Niente Naspi invece per i lavoratori nel pubblico con contratto a tempo determinato.

A far scattare il diritto alla Naspi è quindi il licenziamento derivante dalla decisione del datore di lavoro di lasciare a casa un lavoratore per esigenze lavorative, come la soppressione di una figura nell’azienda, e quindi per giustificato motivo. Ma possono richiedere la Naspi anche i lavoratori che:

  • presentano le dimissioni per giusta causa: in questo caso infatti le dimissioni non sono da ritenersi volontarie, ma dovute a cause indipendenti dalla scelta del lavoratore il quale viene a trovarsi nella condizione di non poter più proseguire nel rapporto di lavoro.
  • presentano le dimissioni durante il periodo tutelato di maternità, cioè nel periodo compreso tra i 300 giorni prima del parto ed il compimento del primo anno di vita del bambino
  • concordano una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In questo caso l’interruzione del rapporto di lavoro deve svolgersi seguendo una procedura ben precisa che prevede la conciliazione in sede di ispettorato del lavoro della propria provincia
  • affrontano una risoluzione consensuale a seguito del rifiuto da parte del lavoratore di affrontare un trasferimento oltre i 50 km dalla precedente sede di lavoro, o comunque in una sede raggiungibile in tempi di percorrenza con i mezzi pubblici che superano gli 80 minuti
  • giungono al licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione
  • affrontano un licenziamento disciplinare.

E qui troviamo una novità, seppur temporanea, che estende fino al 31 marzo 2021 il diritto di richiedere la Naspi anche a quei lavoratori che perdono il posto a causa del licenziamento collettivo in presenza di accordo collettivo aziendale.

Quali sono i requisiti per la Naspi e come evitare la revoca

Per aver diritto all’indennità di disoccupazione Naspi non basta essere licenziati, oppure aver perso il posto di lavoro per una delle cause che abbiamo elencato nel paragrafo precedente. Infatti chi richiede la Naspi deve anche essere in possesso di alcuni requisiti ben precisi che riguardano la situazione economica e reddituale del richiedente.

Il primo passo per richiedere la Naspi è certificare lo stato di disoccupazione. Il disoccupato si deve recare pertanto presso il centro per l’impiego dove rilascerà la dichiarazione di immediata disponibilità (DID) senza la quale non si può avere accesso alla prestazione. Infatti nella domanda per la Naspi che viene inviata all’Inps deve essere indicata la data in cui è stata rilasciata la DID.

Per quanto riguarda gli altri requisiti, iniziamo dal requisito contributivo, in base al quale il disoccupato deve poter far valere almeno 13 settimane di versamento di contributi nei quattro anni che hanno preceduto la richiesta della disoccupazione Naspi.

È fondamentale che il lavoratore abbia percepito una retribuzione per ogni settimana lavorata non al di sotto dei minimi stabiliti dalla legge che variano in base all’inquadramento e al settore, e vanno da 38,21 euro al giorno fino a 135,48 euro al giorno.

Rientrano nella contribuzione anche i periodi di contribuzione figurativa come per esempio per la maternità, per quando si manca dal lavoro per accudire i figli per malattia ed in caso di prestazione di lavoro all’estero.

Quanto al requisito reddituale si riferisce al fatto che il richiedente deve aver prestato almeno 30 giornate di lavoro effettivo, vale a dire di presenza effettiva sul posto di lavoro, nel corso dei 12 mesi che precedono la richiesta della disoccupazione Naspi.

La Naspi in ogni caso può essere erogata per un massimo di 24 mesi, e la durata dell’indennità dipende dal numero di settimane di contribuzione in capo al lavoratore nei 4 anni precedenti la richiesta.

Una volta che si inizia a percepire la Naspi però bisogna fare attenzione ad alcuni obblighi se non si vuole rischiare di perderla. Ci sono diversi motivi per cui un disoccupato potrebbe perdere la Naspi, a cominciare dal mancato rispetto dell’obbligo di comunicare eventuali novità lavorative all’Inps.

Il beneficiario del sussidio è infatti tenuto a comunicare all’Inps eventuali variazioni di lavoro intervenute nel periodo di erogazione della Naspi. Nel caso in cui le novità in ambito lavorativo permettano comunque di continuare a beneficiare della Naspi, il disoccupato deve infatti ricordarsi di comunicarlo all’Inps.

Ogni anno inoltre, entro il mese di marzo, chi percepisce la Naspi deve ricordarsi di comunicare la stima del reddito che percepirà in caso di attività lavorativa che risulta compatibile con la Naspi. La comunicazione deve essere inviata anche nel caso in cui il beneficiario non percepirà alcun reddito in tal senso.

Naspi ed attività lavorativa: ecco come continuare a prendere la disoccupazione

Generalmente chi percepisce la Naspi non svolge un’attività lavorativa, ma non sempre percepire un reddito derivante da una qualche attività lavorativa determina la perdita del diritto di ricevere l’assegno di disoccupazione.

Anzi è persino possibile, se si lavora e si percepisce al tempo stesso la Naspi, aumentare le proprie entrate mensili. La Naspi, nel caso in cui il beneficiario svolga un lavoro compatibile con il sussidio, si riduce però di una percentuale anche piuttosto significativa.

Se chi percepisce la Naspi ha anche un lavoro, l’importo dell’indennità di disoccupazione si riduce infatti dell’80% dell’importo che si percepisce attraverso l’attività lavorativa. Ciò avviene nei seguenti casi:

  • quando si svolte attività autonoma che genera un reddito che non eccede i 4.800 euro annui
  • quando si firma un nuovo contratto di lavoro subordinato con importo che non supera gli 8.000 euro all’anno, a patto che il datore di lavoro non sia lo stesso col quale si aveva il rapporto di lavoro al termine del quale è stata richiesta la Naspi, e non sia superiore ai 6 mesi.

In questi casi quindi si può percepire la parte restante della Naspi ed al tempo stesso svolgere un lavoro il cui reddito si andrà a cumulare con l’entrata derivante dalla disoccupazione. L’evento di avvio dell’attività lavorativa però deve essere tempestivamente comunicato all’Inps, il termine è fissato a 30 giorni dall’avvio dell’attività.

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