Nel corso del 2018 le comunicazioni da parte dei funzionari della Federal Reserve sono state discretamente confuse, e non tanto per quanto concerne le intenzioni e gli orientamenti a breve termine, quanto piuttosto in relazione alla direzione della policy nel medio termine. I policy makers della Fed hanno di fatti cambiato idea più volte sulla distanza tra tassi e livello neutrale, e sono stati abbastanza incerti sulla necessità di dare o meno seguito a ulteriori misure restrittive.

A ricordarlo è un recente commento di John Bellows, Portfolio Manager e Research Analyst di Western Asset, affiliata Legg Mason, secondo cui, poi, i mercati dei tassi di interesse forward hanno amplificato tali oscillazioni verbali, tanto che i tassi overnight forward a 2 anni sono passati dal 2,2% di gennaio 2018 al 3,2% di ottobre 2018, prima di tornare al 2,2% a gennaio 2019.

Ma che cosa accadrà ora?

La posizione di Powell

Nel suo ultimo discorso di Jackson Hole, Powell ha illustrato un approccio che potrebbe diventare centrale nella strategia Fed. In tale discorso Powell ha infatti minimizzato l’importanza delle stime empiriche del tasso neutrale, soffermandosi piuttosto sull’importanza della dipendenza dai dati reali.

L’approccio potrebbe essere riassunto come una sorta di strategia wait-and-see, puramente attendista, con la quale i funzionari si basano sui dati effettivamente registrati e in particolar modo su quelli relativi all’inflazione. La strategia ricorderebbe così la policy attuata tempo fa da Greenspan, la quale – a ricordarlo è stato lo stesso Powell – ha permesso alla ripresa economica di continuare per ben 10 anni.

Se Powell sembra dunque aver tracciato la rotta, il problema principale è che questa migrazione verso la nuova strategia è stata incerta e titubante, e gli stessi membri della Fed hanno spesso confuso le acque, dimostrando poca coerenza.

La strategia Fed 2019

Guardando dunque al 2019, lecito domandarsi quale sarà la strategia Fed. Secondo l’analista, l’approccio di Jackson Hole dovrebbe prendere gradualmente piede, ponendo così fine alle vecchie strategie: la Fed dovrebbe dunque giungere a una strategia attendista nel verso senso della parola nel corso del 2009.

Sempre secondo l’esperto, è molto probabile che la preferenza verso tale alternativa strategia verrà resa sempre più chiara nei prossimi mesi, grazie a una serie concomitante di fattori. Il primo è che il rallentamento della crescita USA dovrebbe contribuire a convincere la Fed sul fatto che la policy monetaria non è più accomodante: la crescita economica statunitense ha sorpreso in positivo nel 2018, conducendo la Fed a sospettare che la politica adottata fosse più accomodante di quanto si pensasse, e che quindi fosse necessario un restringimento più deciso.

In secondo luogo, l’inflazione non dovrebbe raggiungere il target del 2% della Fed, ponendo così in discussione la solidità dei propri approcci. Dalla metà del 2009 la misura di inflazione preferita dalla Fed ha superato il livello obiettivo solo in quattro mesi, e uno soltanto di questi è stato negli ultimi cinque anni.

In terzo luogo, l’obiettivo generale della Fed sarà sempre più quello di proteggere e allungare la ripresa economica. Una recessione entro due anni sarebbe molto impegnativa per l’istituto di Powell. Infine, la reazione al rialzo di dicembre potrebbe divenire il giusto stimolo per adottare la nuova strategia in tempi brevi.

Rialzi dei tassi nel 2019?

Ora, considerato che l’inflazione al di sotto del target continua a stupire la Fed, e considerato che è ben possibile che l’inflazione rimarrà ancora a lungo sotto il target del 2%, è possibile che la strategia attendista dell’istituto monetario possa tradursi in nessun aumento dei tassi nel 2019.

Tuttavia, l’analista ci ricorda anche che – come abbiamo già avuto modo di osservare nel 2018 – l’evoluzione della Fed verso una nuova strategia attendista è stata incerta. Ne deriva che è possibile che anche nel 2019 possa esservi un altro rialzo…

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