Ieri i prezzi delle materie prime hanno subito delle pressioni al ribasso, concomitanti al rialzo del dollaro USA, che si è rafforzato dopo la pubblicazione dei verbali del meeting FOMC di gennaio, in cui la Federal Reserve ha sostanzialmente dimostrato di ritenere che l’economia degli Stati Uniti sia in uno stato di buona salute. I mercati ora si aspettano che l’inflazione possa riprendere il suo corso, e che il FOMC annuncerà un altro aumento dei tassi d’interesse di riferimento al prossimo meeting del 21 marzo, il primo con il nuovo presidente J. Powell.

Complessivamente, il clima di mercato sembra essere piuttosto rialzista per i mercati del greggio. La maggior parte degli analisti sta esprimendo un discreto ottimismo su prezzi medi più alti per quest’anno, con un’alta probabilità percepita dei prezzi del Brent oltre la soglia di 70 dollari alla fine del 2018. I principali rischi per i prezzi del greggio sono ovviamente quelli geopolitici e, come abbiamo più volte ribadito negli ultimi mesi, la crescita della produzione di shale oil americano.

Tuttavia, diversi analisti hanno espresso maggiore ottimismo su revisioni al rialzo nella domanda globale. Il quadro macroeconomico e finanziario rimane d’altronde estremamente favorevole alla domanda di greggio sia sul mercato fisico che su quello di “carta”, e molti osservatori si aspettano che la produzione di petrolio greggio dal Venezuela continuerà a ridursi, semplificando così il compito dell’OPEC di mantenere alti livelli di conformità.

Ad ogni modo, nonostante l’attuale ottimismo sui mercati del greggio, l’Agenzia internazionale per l’energia ha avvertito che l’incremento dell’offerta di petrolio dai Paesi non OPEC potrebbe pienamente soddisfare la crescita della domanda globale nel 2019 e nel 2020. Pertanto, l’OPEC e gli alleati non OPEC potrebbero essere costretti a implementare i tagli all’output per un periodo molto più lungo di quanto annunciato in precedenza.

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